Francia. Il Paese e la sinistra a un bivio

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Dall’inizio di settembre, in Francia si stanno verificando contemporaneamente una crisi sociale, una crisi politica e l’inizio di una nuova mobilitazione popolare, segnata dalle giornate del 10 e 18 settembre e dalla preparazione di una nuova giornata il 2 ottobre, mentre il Paese è senza governo in seguito alla destituzione di quello di François Bayrou da parte dell’Assemblea nazionale, lo scorso 8 settembre.
La caotica crisi politica ha avuto diverse ricadute dalla rielezione di Macron nel 2022. All’epoca era riuscito a ottenere solo 250 seggi (la maggioranza assoluta è di 289) per il suo blocco parlamentare all’Assemblea nazionale, non avendo, all’epoca, né voluto né ottenuto un accordo con i Repubblicani (62 seggi).
Dopo il movimento dei Gilets Jaunes nel 2018/2019 e la potente mobilitazione sindacale delle pensioni del 2023, il malcontento sociale non ha fatto che crescere in Francia, scontrandosi con i governi di Macron senza riuscire a ottenere soddisfazione. L’attuale crisi politica è quindi essenzialmente il risultato della crisi sociale, manifestatasi fin dalla crisi finanziaria del 2008. Il peso elettorale dei due principali partiti che hanno guidato i governi per oltre 40 anni, i repubblicani a destra (LR) e i socialisti a sinistra (PS), è crollato tra le elezioni presidenziali del 2012 e quelle del 2022. I voti cumulati del PS e dei Repubblicani sono passati, tra queste due scadenze, dal 56,81% al 6,53% dei voti al primo turno. Macron pensava di sfruttare questa finestra di opportunità per occupare lo spazio lasciato libero, creare una nuova forza politica e accentuare le riforme liberali. Oggi è il presidente più disapprovato della Va Repubblica e tutti sono consapevoli che il macronismo non sopravviverà alla fine del quinquennio di Macron nel 2027… o forse anche prima, se sarà costretto a dimettersi.
La speranza costruita nel 2022 con la formazione a sinistra di un fronte elettorale antiliberale (NUPES) strutturato attorno a La France insoumise non è proseguita nei due anni successivi. La paralisi della NUPES nel 2023/2024 ha portato alla sua frammentazione in quattro liste alle elezioni europee del 9 giugno 2024, portando Macron a sperare di conquistare l’ala destra del PS per il suo blocco parlamentare e uscire dalla paralisi. Mentre il RN era arrivato largamente in testa a queste elezioni con il 31% dei voti, Macron aveva tentato un colpo di poker decidendo di sciogliere l’Assemblea nazionale. Di fronte alla minaccia del RN, sperava di riunire una maggioranza allargata a destra e a sinistra nelle elezioni legislative che seguirono… o forse apparire come un “baluardo democratico” alla presidenza di fronte a un primo ministro RN e a una maggioranza RN all’Assemblea. Ma, lungi dal portare a un raggruppamento attorno ai candidati di Macron, i quindici giorni di campagna che hanno preceduto le elezioni hanno visto emergere una mobilitazione sociale e politica a sinistra, con la ricostruzione di un raggruppamento su un programma antiliberale, il Nuovo Fronte Popolare (NFP), che si è imposto politicamente e in termini di numero di seggi di fronte al RN e a Macron, impedendo all’estrema destra di ottenere la maggioranza all’Assemblea… e riducendo ulteriormente lo spazio del blocco macronista, che ha perso altri 53 seggi.
Negando il risultato delle elezioni popolari e rifiutandosi di nominare un primo ministro del NFP, Macron si è da allora trincerato dietro la sua minoranza parlamentare nominando primi ministri personaggi provenienti dal suo «blocco centrale», che dispone al massimo di una minoranza di 240 seggi con il sostegno dei LR. Da un anno a questa parte, si sono succeduti tre primi ministri fedeli a Macron, che hanno beneficiato delle proroghe concesse dal RN o dal PS per resistere alcuni mesi ed evitare di essere rovesciati troppo rapidamente da una mozione di censura. La costante di questi governi è stata la persistenza di una politica reazionaria e antisociale, riprendendo i temi della sicurezza e della xenofobia del RN. Il malcontento sociale aveva costretto il PS, il 13 dicembre 2024, a votare con il resto della sinistra la censura di Michel Barnier, nominato tre mesi prima, quando quest’ultimo aveva voluto imporre un bilancio che comprendeva 60 miliardi di tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse, che ovviamente colpivano le classi popolari.
François Bayrou, fedele a Macron, ha potuto sostituire Barnier nel dicembre 2024 solo grazie alla compiacenza del PS e del RN che, nonostante il loro voto di censura al precedente governo, hanno voluto mostrare un atteggiamento responsabile, non «bloccando l’adozione di un bilancio per la Francia». I sei mesi successivi hanno visto il mantenimento di una frammentazione delle forze sindacali e della sinistra politica. Il PS e il sindacato CFDT hanno accettato una parvenza di dialogo sociale in un “conclave” con i datori di lavoro che avrebbe dovuto rivedere la riforma delle pensioni, mentre Bayrou aveva imposto un quadro di riferimento che indicava chiaramente che non era possibile cambiare politica e tornare all’età pensionabile di 64 anni.

Questa divisione delle forze sociali e politiche e il rifiuto dichiarato del RN di affrettare una nuova censura hanno potuto dare a Bayrou l’impressione di avere il margine di manovra necessario per perseguire gli obiettivi di austerità e di taglio dei bilanci sociali. Ma all’inizio di luglio 2025, gli annunci relativi al bilancio 2026 hanno avuto un effetto incandescente nel Paese, manifestando la volontà di ridurre il deficit di bilancio dal 5,4% al 4,6%, per arrivare al 3% nel 2029. Con il pretesto di un livello “catastrofico” del debito pubblico, l’obiettivo era quello di imporre un bilancio che riducesse di 44 miliardi la spesa pubblica con numerosi attacchi sociali: la perdita di 2 giorni festivi per imporre due giorni di lavoro gratuito, il congelamento dell’importo delle prestazioni sociali e delle pensioni, attacchi alle assenze per malattia, la volontà di ridurre l’indennità di disoccupazione, nuovi tagli di posti di lavoro nel settore pubblico.
La caratteristica essenziale di questo progetto di bilancio era soprattutto che non comprendeva alcuna misura di giustizia fiscale mirata ai redditi elevati, in nome della “preservazione degli strumenti di produzione” che costituirebbero il patrimonio dei più ricchi e del mantenimento della politica dell’offerta.
Per sei mesi, il governo e i grandi media hanno cercato di imporre le questioni dell’ordine pubblico, della sicurezza e della lotta all’immigrazione come le preoccupazioni essenziali della popolazione, con un duo ministeriale alla Giustizia e all’Interno (il macronista Gerald Darmanin e il LR Bruno Retailleau) accaniti nel coltivare i temi dell’estrema destra per preparare le loro eventuali candidature presidenziali nel 2027. François Bayrou, da parte sua, ha riproposto l’ossessione dell’invasione del Paese da parte dei migranti. Ma negli ultimi mesi, le questioni sociali sono tornate a imporsi nel dibattito pubblico come le preoccupazioni essenziali della popolazione.
Durante l’estate, una questione fiscale e una questione di bilancio sono diventate esigenze politiche: una diversa ripartizione della fiscalità che colpisce i più ricchi, in particolare con l’introduzione della “imposta Zucman” (che mira a creare un’imposta minima del 2% sui patrimoni superiori a 100 milioni di euro, 1’800 nuclei fiscali) e la messa in discussione della prima voce di bilancio “di fatto” dello Stato, i 270 miliardi di aiuti vari versati alle imprese, soprattutto a quelle più grandi, che hanno aumentato notevolmente i profitti e il pagamento dei dividendi negli ultimi quindici anni. Queste due richieste riflettono fedelmente la rabbia sociale, la crisi del potere d’acquisto e dell’accesso ai servizi pubblici vissuta dalle classi popolari.
In Francia, dal 2003 al 2022, lo 0,1% più ricco ha visto aumentare il proprio reddito medio del 119%, più del doppio rispetto al resto della popolazione. Allo stesso tempo, il tasso di povertà è passato dal 12,4% al 15,4% tra il 2004 e il 2023 (INSEE, con una soglia del 60% del tenore di vita mediano). Sebbene la Francia sia al di sotto della media UE (16,2% nel 2024), l’andamento del suo tasso è inverso rispetto all’evoluzione europea.
La crisi sociale ha origini lontane. Gli attacchi liberali, come in molti paesi, hanno messo in discussione i salari, i bilanci sociali, i servizi pubblici, la protezione sociale e il sistema sanitario. In Francia, la “politica dell’offerta” è stata ufficialmente attuata dal 2014, durante il quinquennio socialista di François Hollande. Il suo obiettivo principale è stato quello di ridurre la tassazione sulle imprese (imposte sulla produzione) e sui grandi patrimoni, alleggerire i contributi sociali e creare un intero sistema di aiuti ed esenzioni. I vari rapporti redatti dall’inizio del 2020 consentono di quantificare l’importo complessivo degli “aiuti” alle imprese a 270 miliardi di euro nel 2025, la prima voce, di fatto, del bilancio dello Stato, mai contabilizzata come tale (ma stabilita dal rapporto del CLERSE di Lille nel 2019, commissionato dalla CGT e da France Stratégie). In questo senso, la Francia va ben oltre i sistemi in vigore negli altri paesi europei. Negli anni ’90, questo “bilancio” ammontava solo a 30 miliardi. Oggi comprende 91 miliardi di esenzioni dai contributi sociali sui salari, oltre 100 miliardi di agevolazioni fiscali (crediti d’imposta per la ricerca, aliquote IVA ridotte, norme fiscali derogatorie, ecc.), 50 miliardi di aiuti diretti (cfr. la sintesi di Aron e Michel-Aguirre in “Le Grand Détournement”, Allary Editions, 2025).
Tutte queste politiche hanno aggravato l’ingiustizia sociale, il deterioramento dei servizi pubblici, le disuguaglianze a vantaggio dei più ricchi che si sono progressivamente accentuate, creando un profondo malcontento popolare. Questo malcontento si è espresso con forza negli ultimi anni, durante il movimento dei Gilets Jaunes nel 2018, e con estrema forza nel 2023 durante l’immensa mobilitazione durata sei mesi contro la riforma delle pensioni che mirava a posticipare di due anni l’età pensionabile, da 62 a 64 anni. Il Rassemblement National ha cercato di polarizzare a proprio vantaggio questo malcontento, individuando nelle spese a favore degli immigrati o nel peso delle norme europee le cause delle difficoltà delle classi popolari, ma la percezione dei privilegi fiscali e dell’accaparramento della ricchezza da parte dei più ricchi ha preso il sopravvento negli ultimi mesi.
L’ossessione dei grandi gruppi capitalisti e, ovviamente, dei politici di destra e di estrema destra è quella di frenare questo malcontento popolare ed evitare che la sinistra possa polarizzarlo ulteriormente. Ciò porta sempre più grandi imprenditori a pensare che una soluzione stabile alla crisi attuale possa venire solo da un’alleanza tra destra ed estrema destra, sull’esempio del governo Meloni.
La situazione del movimento sociale e della sinistra politica è complessa in Francia.
L’annuncio del bilancio 2026 ha suscitato una rapida reazione da parte degli ambienti militanti, in un contesto in cui poche settimane prima si era affermata la frammentazione del fronte sindacale e l’incapacità dei principali partiti di sinistra di continuare a presentare un fronte comune.


A partire dal 15 luglio, attraverso i social network Facebook, TikTok, X, l’hashtag #bloquonstout si è imposto per un blocco totale e illimitato del Paese il 10 settembre, con un gruppo Telegram che ha rapidamente raccolto 10’000 persone. Una popolarità spontanea, che ha segnato sia l’esasperazione sociale sia, a sinistra, la frustrazione di molti ambienti militanti nel vedere l’incapacità della sinistra di organizzarsi di fronte all’ondata reazionaria del governo e alla crescente minaccia del RN. Questo movimento poteva ricordare i Gilet Gialli, ma è stato rapidamente caratterizzato da una presenza strutturante di militanti sindacali e della sinistra radicale, contrastando il tentativo di OPA da parte di reti di estrema destra come “Les Essentiels”. A differenza del 2018, il movimento è stato accolto con simpatia dalla sinistra, dalla CGT e da Solidaires. Ciò che è stato spettacolare è stata la proliferazione di assemblee locali di preparazione, più di un centinaio, che hanno riunito in piena estate migliaia di militanti, una moltitudine di iniziative decentralizzate previste per il 10 settembre con iniziative di blocco. L’iniziativa ha visto rapidamente convergere organizzazioni del movimento sociale, come ATTAC e Les Soulèvements de la Terre. Nonostante la data, i giovani si sono fortemente mobilitati in assemblee generali preparatorie in una ventina di città universitarie. In totale, la giornata ha riunito più di 200.000 persone, con una grande partecipazione dei giovani, almeno 430 blocchi (circonvallazioni, luoghi strategici) e importanti manifestazioni in molte città. Mobilitando 80.000 forze di polizia, il ministro dell’Interno aveva dato istruzioni di attaccare immediatamente i blocchi stradali o dei siti e i blocchi delle scuole superiori o delle università.
Anche se il movimento non è proseguito nei giorni successivi, è servito da fermento per la preparazione del 18 settembre. Senza invitare tutti al 10 settembre, tutti i sindacati si sono riuniti alla fine di agosto per indire una giornata di sciopero e mobilitazione contro il bilancio Bayrou e per la giustizia fiscale e la sospensione della riforma delle pensioni. Era la prima volta che si realizzava una tale unità dal 2023.
Sebbene l’importanza della mobilitazione del 18 (1 milione di persone secondo i sindacati) non abbia raggiunto le cifre delle manifestazioni del 2023, lo sciopero è stato massiccio alla RATP e alla SNCF, nell’istruzione nazionale e nell’energia. Sulla scia del 10 settembre, si sono svolte 276 azioni di blocco sulle strade pubbliche e 135 tentativi di blocco di siti, molto rapidamente repressi, oltre a numerose azioni nelle scuole superiori e nelle università.

Uno degli aspetti salienti delle manifestazioni è stata la forte presenza di giovani, un posto di rilievo riservato alla solidarietà con la Palestina, alle associazioni femministe, ai collettivi Pink Bloc, alle rivendicazioni climatiche. È indice di una convergenza militante che è una caratteristica della situazione attuale.
La sera del 18 settembre, l’Intersyndicale aveva dato al nuovo primo ministro, Sébastien Lecornu, macronista proveniente dai LR, un ultimatum di 5 giorni per rispondere alle sue richieste. La riunione si è tenuta martedì 23 settembre senza, ovviamente, alcun impegno. Di conseguenza, l’Intersyndicale ha indetto una nuova giornata di sciopero per il prossimo 2 ottobre, ricevendo il sostegno di tutti i partiti del NFP. Questa unità intersindacale è l’espressione della pressione che grava sulle direzioni sindacali, così come lo è l’appello immediato dei partiti, compreso il PS che cerca comunque tutti i segnali di apertura provenienti dal nuovo primo ministro.
La mobilitazione sociale e la crisi politica continueranno a combinarsi nelle prossime settimane. Ma è chiaro che l’unità politica a sinistra è lungi dall’essere mantenuta, poiché ciascuno dei partiti è impegnato sia nella preparazione delle elezioni comunali che nell’eventualità di un nuovo scioglimento. La France insoumise punta apertamente sulle dimissioni di Macron, ritenendo che il terreno delle elezioni presidenziali sia più favorevole a LFI, mentre il Partito socialista cerca di ristrutturarsi come forza indipendente dal NFP, spinto dalla sua ala liberale. Ma la linea reazionaria dei governi Macron, comprese le dichiarazioni di bilancio fatte sabato 27 settembre da Sebastien Lecornu, lascia poco spazio a un orientamento di dialogo con i macronisti.
Nelle ultime settimane si è quindi assistito alla ricostruzione di un rapporto di forza favorevole alla sinistra sindacale, sociale e politica, ma si tratta di qualcosa ancora precario perché determinato dalle provocazioni del governo in assenza di una politica unitaria e di iniziative comuni dei partiti del NFP. L’Intersyndicale agisce in modo unitario sotto pressione e i partiti del NFP non sono una forza trainante per organizzare e stimolare un orientamento alternativo alla politica di austerità di Macron. Tuttavia, il terreno fertile per una tale prospettiva esiste e il programma del NFP avanzava alcune piste in questo senso.
Chiaramente, solo la forza del movimento sociale potrà, per il momento, creare il rapporto di forza necessario e cristallizzare l’attuale malcontento sulla base della lotta contro l’austerità, mettendo a tacere gli orientamenti razzisti e securitari del RN. Nessuno sa come evolverà la situazione istituzionale nelle prossime settimane, censura, scioglimento… Ma il movimento di mobilitazione deve darsi delle scadenze per creare il rapporto di forza che imponga l’unità e permetta di bloccare le politiche di austerità.
Diverse questioni politiche saranno al centro delle prossime settimane:
– Spingere al massimo le capacità di auto-organizzazione, di iniziative unitarie dal basso che si basano sulle reti costituite intorno al 10 settembre,
– Mettere in primo piano le richieste di ridistribuzione della ricchezza, rese popolari dall’imposta Zucman, ma anche la questione dei beni comuni, della necessità della proprietà pubblica dei settori essenziali della produzione.
– La questione del debito e della dipendenza dai mercati finanziari come giustificazione delle politiche di austerità. Il debito contratto per distribuire regali fiscali e sussidi ai gruppi capitalisti è ovviamente un debito illegittimo, che serve a speculazioni sui mercati.
– La questione di un governo che rompa con l’austerità e soddisfi le richieste espresse dalle classi popolari. Ma questo pone anche l’ovvia questione democratica: le istituzioni della Ve Repubblica, il potere presidenziale, il sistema elettorale sono tutti strumenti volti a frenare l’espressione democratica. Ciò pone ancora una volta, come durante i Gilet Gialli, la necessità di abbattere le istituzioni della Ve Repubblica e di eleggere un’Assemblea costituente con sistema proporzionale integrale.

La minaccia di un’ascesa al governo del Rassemblement national (RN) è più presente che mai, vista l’attuale cacofonia della sinistra politica. Ma può, come nel giugno 2024, imporre con più forza la costruzione di un fronte politico e sociale che esprima le esigenze popolari e proponga una politica di rottura con l’austerità capitalista.

*articolo apparso su viento sur il 27 settembre 2025

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