Pubblichiamo di seguito il testo distribuito alla manifestazione di solidarietà con il popolo siriano insorto, organizzata a Losanna sabato 11 febbraio. Sta intanto continuando il bombardamento dei quartieri popolari di Homs, i cui abitanti assediati mancano di tutto: cibo e medicinali elementari, oltre a quelli indispensabili per curare le centinaia di feriti, che si aggiungono alle circa 450 vittime decedute nel corso dell’ultima settimana, solo in questa città.
Il depistaggio è organizzato dal regime di Bachar el-Assad. Venerdì 10 febbraio 2012, giorno di preghiera e quindi di manifestazioni, due attentati con autobomba hanno provocato almeno 25 morti e oltre 170 feriti ad Aleppo, città in cui è presente la “minoranza cristiana”, che subisce tutti i ricatti del regime. L’esplosione – avvenuta in una zona controllatissima dalle forze di sicurezza – è stata subito attribuita, secondo i media ufficiali siriani che hanno il monopolio del’informazione interna, alle “bande terroriste”, come il potere dispotico definisce qualsiasi oppositore. L’attentato ricorda stranamente quelli della mattina del 23 dicembre 2011, sempre con autobomba, che avevano provocato 44 morti e 150 feriti. Le esplosioni erano avvenute in pieno centro a Damasco, vicino a complessi vari delle forze siriane di sicurezza. Il potere aveva accusato immediatamente Al-Qaeda di esserne stata responsabile. Ricordiamo che aveva appena fatto il suo ingresso in Siria la missione della Lega Araba, il 23 dicembre, con alla testa il generale sudanese Mohammed Ahmed Mustapha al-Dabi, ex capo dei servizi segreti del Sudan, implicato nella guerra del Darfour e consigliere di Omar el-Bechir, il presidente sudanese ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra contro l’umanità. La prima “ispezione” della missione, posta sotto il controllo di forze poliziesche e militari, si sarebbe quindi svolta a Damasco, sui luoghi dell’attentato attribuito ad Al-Qaeda! Un depistaggio accecante.
Gli osservatori più seri, come i Comitati locali di coordinamento – che organizzano le manifestazioni – hanno posto subito una domanda: come mai, quel 23 dicembre 2011, le autorità avevano scoperto i responsabili solo mezz’ora dopo il loro arrivo? Solo il fatto di avanzare quella domanda è bastato a indicare gli effettivi responsabili di quel crimine, specialisti in manipolazioni di ogni genere. Con questo tipo di manovra, come nel caso di Aleppo lo scorso 10 febbraio 2012, il potere dispotico cerca di passare per “la vittima dei terroristi”. Specialista in queste macabre messe in scena, il clan Assad pretende di fornire presunte prove – che verranno riprese dai tanti “antimperialisti” della teoria del complotto – che non è lui a esercitare la violenza, ma “forze oscure”, strumentalizzate da ancora più oscuri poteri “stranieri”! L’oscurità vera sta colpendo quanti/e si trovano nel profondo di un inferno insopportabile a Homs.
Il testo che riportiamo trova il suo complemento nell’articolo Siria: punto di non ritorno, inserito nel sito (http://www.mps-solidarieta.ch/index.php?option=com_content&view=article&id=437:siria-punto-di-non-ritorno&catid=85:maghreb&Itemid=57). Ultima osservazione, prima di chiudere. Varie potenze imperialiste hanno intrattenuto incessantemente per anni rapporti di vicinato reciprocamente “vantaggiosi” con il clan Assad (padre, figli e altri), tranne qualche scontro ben controllato. La guerra proclamata dal regime tirannico contro la maggioranza insorta della popolazione, che non piega la schiena, determina una mutata situazione. Da questo deriva la revisione, esitante, del sistema dei passati rapporti economico-politici. Ciò non cambia in alcun modo – con la sua dimensione di ingerenza, come sempre – la natura del rapporto tra l’oppressore statale, con tutti i suoi fulmini repressivi, e gli oppressi, uccisi, torturati, feriti. (Redazione di A l’Encontre)
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I principali strumenti di comunicazione di massa riportano i bombardamenti con cannoni e mortai dei quartieri di Homs, dal 3 febbraio 2012, più di una volta presentandoli come una “guerra tra due eserciti”. Un cittadino di Homs, Waleed Farah, non fa che ricostruire i fatti: «Non si tratta di una guerra tra due eserciti: è una guerra tra un esercito e dei civili. Sentiamo esplodere gli obici. Abbiamo la sensazione di trovarci al fronte. La situazione è spaventosa per i civili». Fornisce via telefono satellitare la propria testimonianza a The Guardian (8 febbraio 2012). Come altri testimoni, da mesi, insiste sul ruolo degli snipers: i tiratori scelti dell’esercito di sicurezza. Prendono di mira le ambulanze, più esattamente le vetture che cercano di trasportare feriti gravi; bambini che attraversano la strada; un gruppo di persone che cercano, in segreto, di seppellire, di notte, le persone assassinate. Costringere una popolazione a seppellire clandestinamente i propri morti è l’illustrazione più pura e più terrificante della natura della dittatura del clan Assad.
Una tempesta di obici si abbatte sui quartieri di Bab Amr e di Badaya a Homs, sulla cittadina di Zabadani, vicino al confine libanese, o anche sulle zone abitate di Idlib, nel nord della Siria, o di Duma, grande periferia di Damasco. Questa pratica mette in chiaro la rabbia del clan dispotico che teme di perdere ciò che da tempo ha espropriato: un paese, le sue risorse e le ricchezze prodotte dalla sua popolazione. È un odio di classe in forma autocratica, assoluta, cieca; quando il futuro gli appare incerto ed oscuro.
Di fronte a quest’odio, come non capire il processo di autodifesa che si è affermato basandosi sulle coraggiose defezioni dei soldati dell’esercito ufficiale? (si veda sul sito alencontre.org, la rubrica A l’Encontre TV, il video “Nell’inferno della repressione”).
“Organizzare la tortura negli ospedali”
In questo avvio di XXI secolo, la barbarie assume numerose maschere. Eccone alcune, per farla breve. Quella dei droni invisibili dell’esercito statunitense che uccidono, alla cieca, civili al confine tra Afghanistan e Pakistan. Quella dei “tiratori scelti” dello Stato sionista che prendono di mira un contadino che cerca di raccogliere qualche limone del suo orto, cui ha accesso solo aggirando un “moderno” muro”. Quella di Putin che ha concluso il XX secolo e iniziato il XXI con una guerra “esemplare” in Cecenia: un oppositore ceceno non è un essere umano, ma un ostacolo da abbattere, un semplice numero, come i prigionieri del Gulag registrati negli archivi del KGB, oggi parzialmente aperti.
Quella dei fondamentalisti e settari confessionali pronti a fare esplodere bombe micidiali in mezzo alla folla che si raduna, ad esempio nella città irachena di Kerbala, quarto luogo santo degli sciiti. Sullo sfondo di queste esplosioni diventate “banali”, sta la selvaggia spartizione della rendita petrolifera, in un paese devastato da una guerra imperialista.
Ma la maschera che camuffa la ferocia cade definitivamente allorché l’onnipotenza dispotica organizza morte e tortura negli ospedali. L’8 febbraio 2012, l’Ong Medici senza frontiere, basandosi su 16 testimonianze di medici e feriti siriani, denuncia il terrore di Stato esercitato contro i feriti quando la gravità della loro condizione li costringe a essere portati in un ospedale siriano. La direttrice di ricerca presso la Fondazione Medici senza frontiere, Françoise Bouchet-Saulnier, dichiara: «La Siria diventa un gigantesco centro di detenzione a cielo aperto perché il solo fatto di essere ferito porta ad essere sospetto e accusato: sospetto, prima ancoro di essere bisognoso di cure». Poi insiste sulla revisione del dispositivo legale dello Stato siriano per “inquadrare meglio” questa repressione: «Lo Stato si batte con tutte le armi del diritto nazionale. I nuovi regolamenti hanno rafforzato l’obbligo di notificare i ricoveri e hanno aggravato le sanzioni contro i medici, mentre in situazioni di conflitto, in cui l’etica professionale viene prima di tutto il resto, i medici sono dispensati dal farlo».
Resistere a un terrore del genere è impossibile se non con l’adesione massiccia di molteplici settori della popolazione. I Comitati di coordinamento locali hanno organizzato da vari mesi mobilitazioni, hanno promosso il movimento a tappe, di sciopero generale e di disobbedienza civile, dal dicembre 2011. È con lo stesso sostegno sociale che alcuni medici siriani, del settore pubblico e privato, assistenti, studenti di medicina hanno organizzato coordinamenti medici per garantire cure ai feriti, in condizioni drammatiche. Garage, cucine, cantine si sono trasformati in “pronto soccorso” in cui la maggior parte degli interventi si eseguono senza anestesia, in cui mancano i materiali e i farmaci più elementari per terapie vitali.
Alle origini dell’insurrezione
Troppo spesso i commenti dei media parlano della Siria, non dei siriani e delle siriane. Mettendo in risalto la peculiare e importante posizione regionale del paese sostituiscono la “geopolitica” all’analisi e alla comprensione dei motivi sociali e politici di questa insurrezione popolare, che non ha cessato di estendersi dal marzo 2011. Una sollevazione che si sviluppa dalla periferia – Deraa, dove la popolazione si è sollevata dopo aver preso atto che tanti suoi ragazzi erano stati torturati in quel marzo –fin nei quartieri popolari di Damasco ed anche di Aleppo.
In questa “repubblica socialista”, dai tratti monarchici, al momento della morte del padre dittatore, Hafez el-Assad, il clan ha scelto un erede dalle caratteristiche diplomaticamente presentabili: Bachar el-Assad. Le controriforme neoliberiste, avviate fin dagli anni Novanta, si sono allora accentuate.
I risultati: una nuova alleanza tra corrotti insediati nelle strutture statuali e capitalisti emersi sia da organismi statali o semistatali del partito Baas, sia dal settore privato vero e proprio. La rete di assistenza pubblica si va esaurendo rapidamente (beni alimentari sovvenzionati o distribuiti a prezzi bassi, ad esempio), per essere ben presto soppressa.
La popolazione delle campagne, sempre più impoverita, si sposta verso le città.
Durante un breve periodo, 2000-2001, sembra annunciarsi una primavera. Si manifesta una nuova generazione di oppositori laici, che riflette un ampio ventaglio di forze più o meno di sinistra. Sarà presto repressa.
Riemerge nel 2011. I Fratelli musulmani, da parte loro, sono stati sempre duramente repressi. Dopo gli inizi del 2011 si forma un fronte sociale e politico antidittatoriale. Esso è eterogeneo, per definizione. Ma la sua forza sta nel radicamento in strati sociali sempre più larghi. Ecco l’inizio del processo insurrezionale: vale a dire, la sollevazione che punta a rovesciare il potere dispotico che occupa il paese. Un potere tanto “stabile” da essere garantito, per anni e anni, dal rispetto diplomatico delle potenze occidentali.: al punto di essere invitato a Parigi, nel 2008, alla sfilata militare del 14 luglio. Bachar el-Assad troneggiava al fianco di Mubarak, del presidente monarca Sarkozy e della presidente finlandese Tarja Halonen.
All’epoca, il governo israeliano sapeva che, aldilà della retorica antisionista, il regime di Damasco garantiva la tranquillità sui confini del Golan. Quanto al governo russo, continua a poter disporre dell’accesso all’unica base navale militare nella regione, quella di Tartus. E la Siria resta un mercato di esportazione delle sue armi.
Tale configurazione geopolitica è messa in discussione dalla sollevazione popolare, e questo suscita un trambusto diplomatico. Alcuni hanno il cinismo – oltre ai propagandisti d’estrema destra e ai mistificatori “antimperialisti” e “antisionisti” allineati al regime di Damasco – di manifestare qualche reticenza più o meno esplicita nel sostegno incondizionato da offrire alle masse insorte, per la conquista dei loro diritti.
Una reticenza manifestata con quale pretesto? La possibilità che, un domani, i Fratelli musulmani abbiano un’influenza maggioritaria nel quadro di una “democrazia liberale” che si traduca in elezioni più autentiche delle attuali? La possibilità, effettiva, che componenti del Consiglio nazionale siriano si leghino a potenze imperialiste, come se se il regime di Assad non lo fosse già, per proprio conto?
Un sostegno incondizionato
Quando un popolo insorge contro una dittatura e si organizza a questo scopo, conquista, attraverso terribili sofferenze, il diritto di decidere il proprio futuro, come sta già facendo opponendosi in larga maggioranza a qualsiasi intervento militare straniero. Esso contrae anche il diritto di costituire e aderire a varie forze sociali e politiche e di abbattere il sistema a partito unico. È ottenendo i propri diritti che può sfuggire agli scontri intercomunitari e confessionali fomentati dal regime attuale, che in questo modo prende in ostaggio i sunniti, gli alawiti, gli sciiti, i kurdi, le varie tendenze cristiane, i drusi o ancora gli armeni ortodossi.
Per ottenere questa conquista, è preliminarmente costretto a rovesciare la dittatura. Qualsiasi reticenza di fronte a questo primo obiettivo equivale, di fatto, a negare al popolo insorto l’insieme dei diritti che possono derivare dalla vittoria contro la dittatura. In altri termini, questo significa sostenere, esplicitamente, o di fatto, il clan Assad e i suoi fidi.
In questo senso,la nostra solidarietà è incondizionata. Non si subordina alla messa in scena diplomatica. Le diverse potenze puntano infatti, in primo luogo, a trovare una soluzione di continuità che garantisca che parti dell’apparato statale e militare permangano.
(Traduzione a cura di Titti Pierini per il sito http://antoniomoscato.altervista.org/)