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Anche quest’anno BancaStato non è riuscita a liberarsi dalle sue vecchie e consolidate negative abitudini.

 

La prima è quella di mettere in evidenza l’utile netto conseguito, anziché l’utile lordo come fanno tutte le altre banche della Svizzera: un modo sicuramente più serio per mettere in evidenza l’attività svolta dalla banca.

La seconda è quella di aumentare il versamento a favore dello Stato allo scopo di addormentare i Gran Consiglieri, mostrando loro una situazione finanziaria migliore della realtà.

È noto, come abbiamo appena detto, che il vero andamento di una banca lo si può desumere soltanto dall’utile lordo e non dall’utile netto.

L’utile netto è infatti manipolabile a piacimento: basta non risparmiare, non effettuare accantonamenti, non aumentare le riserve legali, non ammortizzare le spese passate e i costi futuri ed ecco che un pessimo andamento può essere trasformato in una ridente e positiva  realtà.

Ancora una volta,  BancaStato, dopo aver strappato a fatica un modesto utile lordo del 4%, spara in prima pagina un utile netto raddoppiato.

 

Riserve e accantonamenti sono ridotti a zero o poco più. Da notare che in questa situazione di crisi finaziaria mondiale, istituti di credito simili, come la BancaMigors, la BancaCoop, la Banca Raiffeisen o la Banca popolare di Sondrio (che ha addirittura destinato tutto l’utile alle riserve legali) mettono il classico  fieno in cascina.

BancaStato risponde di non averne bisogno perché, a detta del Direttor Bulla, il suo bilancio sarebbe sano e non ci sono crediti a rischio. Speriamo che abbia ragione anche se la boccia di cristallo non l’ha in mano nemmeno lui.

Non bisogna poi dimenticare che BancaStato ha  dovuto recentemente mendicare dallo Stato molti milioni di franchi per aumentare il capitale sociale, cioè il capitale in dotazione che ne costituisce la base. Ovviamente, come d’abitudine, la colpa è stata attribuita alla finanza internazionale e alle conseguenti imposizioni degli accordi Basilea III, i quali per colpa dell’UBS hanno obbligato tutte le banche ad aumentare il capitale di riserva.

In realtà Basilea III c’entra poco o nulla, mentre il pazzesco acquisto della Unicredit Suisse, ora ridenominata Axion Bank c’entra, eccome.

 

«Weissgeldstrategie», oppure strategia dei soldi neri?

 

Mentre tutta la piazza finanziaria svizzera sta lottando per «rifiutare» i soldi stranieri frodati al fisco, BancaStato si è fatta infinocchiare dalla Banca Unicredit di Milano che aveva fretta di sbarazzarsi della sua filiale svizzera farcita di soldi in nero.

Il costo pagato di 57 milioni di franchi è ormai ridotto a zero, poiché nessuno oggi sarebbe disposto ad acquistare simile colabrodo.

Accumulando una perdita enorme, BancaStato è già stata costretta a chiudere la sua filiale di Zurigo, svendendola al miglior offerente per fare cassa. Fra poco finirà per chiudere anche l’ufficio principale di Lugano.

Se non si è esperti in materia, non c’è peggior clientela che quella dei paesi dell’est molto presente in Axion Bank.

 

Da Barbuscia a Bulla

 

L’opacità della gestione di BancaStato è ben rappresentata dal pasticcio settembrino ai vertici della direzione generale.

Dopo aver tentato di camuffare il licenziamento di Donato Barbuscia con un corso di specializzazione, si sono susseguite tutte una serie di bugie che impediscono ancora oggi di scoprire la verità.

In realtà Barbuscia è stato oggetto di un pesantissimo mobbing che lo ha portato a doversi sottoporre  anche a cure psichiatriche. A un certo punto, non si sa se per rabbonirlo o per farlo tacere, lo si è  buttato fuori dalla porta della banca mantenendolo come impiegato fino a luglio 2012, ma con             il     permesso di costituire una propria società anonima  e lavorare come indipendente. Insomma un    pasticcio leggermente maleodorante .

Chiamato all’improvviso a succedergli, Bernardino Bulla è già considerato un Direttore generale di transizione.

Le sue dichiarazioni contro l’acquisto di Axion Bank mostrano un fragile difesa: Bernardino Bulla teme che alla fine del 2012 gli verrà attribuita la colpa della fuga dei capitali italiani a Singapore e di quelli russi presso gli altri istituti di credito di Lugano, cosicché si sente obbligato a metter le mani in avanti.

Nel frattempo il molto manovrabile Fabrizio Cieslakjevic attende il richiamo della foresta della partitocrazia.