I sindacati cristiani (Travail suisse) affermano, in una nota di pochi giorni fa, che i risultati delle trattative condotte in questi ultimi mesi per gli adeguamenti salariali a partire dal prossimo gennaio sono «insufficienti ». Un gentile eufemismo per dire che, complessivamente, ai salariati spetterà poco o nulla: piuttosto nulla che poco.
Risultati deludenti
Un’analisi che prenda in conto i settori maggiori oggetti di trattativa (senza dimenticare che per la stragrande maggioranza dei salariati non esistono contratti, salari e trattative di riferimento e che lì è il padronato, in modo unilaterale, a fissate aumenti e salari) mostrano quanto poco sia stato ottenuto, in particolare se si compara questi risultati con le richieste che le stesse organizzazioni avevano fissato a fine estate nelle tradizionali conferenza stampa.
In quella occasione si era giustamente insistito sulla contraddizione tra una situazione economica tutto sommato abbastanza positiva (nella misura in cui aumenti del PIL oscillanti tra l’1 e il 2% sono diventati criteri su cui fondare una giudizio positivo sullo sviluppo dell’economia) e il fatto che ai lavoratori in questi ultimi anni fosse andato molto poco di questo sviluppo positivo. Contrariamente, ad esempio, alla progressione dei profitti padronali, sia sotto forma di utili che di dividendi redistribuiti, resi ancora più preziosi dalle disposizioni fiscali che hanno fortemente sgravato gli utili aziendali.
Ricordiamo che l’USS (Unione Sindacale Svizzera) aveva rivendicato aumenti complessivamente oscillanti tra il 2 e il 3% (ad esempio 2,5% per Posta e Swisscom, 2% per le FFS, quasi il 3% – 150 franchi per tutti – nell’edilizia). Ora, fa i conti Travail suisse, arriviamo grosso modo, in media, all’1%.
Offensiva padronale senza reazione
Questa tornata di negoziati salariali avrà però permesso di constatare come il clima sociale sia sempre più attraversato (è una tendenza in atto ormai da qualche tempo) da un’offensiva padronale che punta ad una diminuzione dei costi e ad uno svuotamento di quel che resta sia dei contratti collettivi di lavoro che delle pratiche sindacali ad esso legate (ad esempio le trattative per gli adeguamenti annuali).
In questo senso vanno segnalati due elementi.
Il primo, già constatato anche in passato, è il potente ritorno del salario al merito. Gruppi potenti come Migros, La Posta, le FFS, Swisscom , nonché la maggior parte dei grandi settori industriali ragionano ormai da tempo solo in termini di aumenti individuali fondati su quello che loro chiamano merito. Un numero sempre più ristretto di salariati può far valere un diritto ad un aumento salariale, poiché gli adeguamenti individuali non si configurano come dei diritti soggettivi del singolo lavoratore, ma come aumenti a disposizione del datore di lavoro per compensare i lavoratori che egli ritiene, arbitrariamente, “meritevoli”.
Ma accanto a questo aspetto ve n’è un secondo ancora più pesante. E cioè che le trattative per gli adeguamenti salariali (e anche per quelle contrattuali) appaiono sempre più dei rituali privi di qualsiasi rapporto con la realtà concreta dei salariati e nei quali di fatto il padronato impone in modo unilaterale il proprio punto di vista. La reazione sindacale, se così possiamo chiamarla, non va ormai al di là del comunicato stampa di “indignazione”, “rammarico”, “protesta”. Nulla che abbia una rilevanza concreta nei rapporti di forza reali.
Esemplificativo di questa ultima situazione quanto sta accadendo, con puntuale ripetitività, nel settore dell’edilizia, dove il padronato interrompe, con pretesti di vario genere, le trattative per poi imporre, nelle aziende, adeguamenti salariali unilaterali, assolutamente inconsistenti.
Anche quest’anno lo scenario sembra ripetersi e da ormai un paio di mesi, dopo un paio di incontri inconcludenti, le trattative sono interrotte. Come andrà a finire, concretamente, è difficile dirlo. Alla fine il padronato magari potrà anche arrivare ad un accordo se riterrà opportuno contribuire a “salvare la faccia” alle direzioni sindacali in cambio di un accordo materiale insignificante. Di certo di gran lunga più basso dei 150 franchi per tutti che le organizzazioni sindacali, in particolare UNIA, avevano propagandato in lungo e in largo.
Ma quel che ancora più lascia di stucco è l’assoluta incapacità delle direzioni sindacali a reagire a questa linea sindacale. E qui tocchiamo con mano quel “declino” sindacale, in particolare di UNIA che – nella precedente veste di SEI – aveva dato un contributo importante alla rinascita di un sindacalismo di lotta, seppur tra esitazioni e difficoltà. La reazione sindacale, dicevamo, è stata praticamente nulla se si tralasciano un paio di piccole manifestazioni (poco più che presidi allargati) di cui non è rimasta traccia alcuna.
Naturalmente su questa situazione pesa il contesto economico e sociale difficile; ma pesano anche l’inettitudine e la logica sindacale difesa dai clan che in questi ultimi anni si sono succeduti alla testa dell’organizzazione sindacale, sia a livello nazionale che a livello locale. Inettitudine e logica sindacale errata di cui oggi i lavoratori pagano un conto assai salato.