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expopolisIn questo ultimo mese di expo, la propaganda di regime ha assunto toni e misure insopportabili. Tranne pochissime e isolate voci (citiamo a questo proposito l’ottimo articolo di Gianni Barbacettto e Marco Maroni pubblicato su Il Fatto del 31 ottobre) i commentatori hanno magnificato i successi di questa esposizione: la bellezza, la ricchezza di contenuti, la potenza dell’italian work, la lungimiranza di governo, tecnici e politici locali. Un mix di orgoglio nazionalista e celodurismo ideologico con scopi e intendimenti precisi.

I dati però, anche quelli pubblicati dai più accesi sostenitori di Expo, dicono altre cose, ma su questo torniamo dopo. Ci interessa prima di tutto mettere in luce come, proprio in questo ultimo mese, la propaganda su Expo abbia solidi legami con la situazione politica interna.

Non si spiegherebbe altrimenti la continua e massiccia emissione di autoproclamatori spot televisivi finanziati da Expo e che stanno invadendo i nostri schermi. Non solo ciò è funzionale alla propaganda renziana sull’Italia che ha superato la crisi grazie alle “riforme” del mostro di Firenze, è anche e soprattutto funzionale ad un intervento diretto sulle prossime elezioni amministrative e, in particolare, su quelle milanesi (a quelle romane ci si è pensato altrimenti).

Da tempo Renzi punta su Giuseppe Sala, il plenipotenziario di Expo, come suo candidato sindaco a Milano. Ha bisogno di una persona che riporti alla normalità una situazione che non è di suo gradimento (nonostante gli sforzi che Pisapia ha fatto nel tempo per omologarsi alla sua politica). Tanto più nel momento in cui l’oramai certo allargamento anche a Roma della scadenza amministrativa, dà alle prossimi elezioni locali una valenza politica generale. Vincere o meno queste elezioni avrà un peso significativo sull’operato e la vita del governo e Renzi non ama perdere.

Il nome di Giuseppe Sala rimbalza da mesi dentro le stanze della politica milanese. Fino a ieri lui si è sempre detto contrario (il prossimo sindaco, tra le altre cose, dovrà gestire i lasciti di Expo e Sala è tra i pochi che hanno conti in mano). Due giorni fa, dopo la martellante propaganda sulle meraviglie di Expo, ha invece cominciato a mostrare interesse a questa prospettiva. Nel corso della sua nomina nel Consiglio di amministrazione della Cassa Depositi e Prestiti, l’ente che assieme al Comune di Milano dovrà coprire i buchi di Expo, ha dichiarato che questo non impedisce un suo ruolo come sindaco di Milano.

E’ evidente che questa nomina suona come garanzia del fatto che non sarà abbandonato nella gestione del dopo-expo. A questo punto stanno venendo allo scoperto settori della sinistra (sic!) milanese che nel dibattito apertosi in questi mesi sulle prossime elezioni amministrative sono rimasti defilati evitando di schierarsi tra i candidati di bandiera delle primarie (Majorino o Fiano). Pisapia ha continuato a mettere l’accento sulla necessità che la prossima amministrazione porti a compimento i progetti dell’attuale giunta arancione (ma la tonalità sembra più gialla che arancio…). Ecco che la cerimonia di chiusura dell’Expo ha avuto il sapore di una incoronazione di Giuseppe Sala e lo stesso discorso di Pisapia, letto tra le righe, andava in questa direzione. Il giorno dopo alcuni assessori della attuale giunta (Rozza, Maran del PD e Tajani di Sel) venivano dati per sostenitori di una ipotesi di ticket Sala -Tajani: garantita così formalmente la continuità della giunta e concretamente i profitti dei poteri forti della città.

E’ vero successo?

Torniamo però ad Expo. Il dopo Expo sarà infatti un nodo centrale della politica della futura giunta. L’operazione è costata 2.400 milioni di euro, fatti salvi alcuni contenziosi extra costi che dovrebbero fare lievitare ulteriormente la somma: 1,3 miliardi di euro per la costruzione del sito, 960 miloni per la gestione dell’evento e 160 miloni per l’acquisto delle aree (7 volte il loro valore di mercato). In realtà andrebbero aggiunti altri 12 miliardi di euro per infrastrutture varie (tra cui la m4 di Milano) costruite per favorire Expo. Il più delle volte si tratta di opere inutili se non dannose che hanno cementificato e distrutto il territorio e per di più in diversi casi non ancora completate.

!4-15 miliardi di euro che ricadranno sulla fiscalità generale (pensate a quante scuole si potevano ristrutturare o costruire con quella cifra, o quanti argini di fiume messi in sicurezza…). Il dibattito che si è sviluppato sugli ingressi, deve essere chiaro, riguarda solo la parte di gestione dell’evento (960 milioni di euro), il resto è a perdere.

Anche questo dato però è truccato e, per quello che interessa i milanesi, sarà quello più grave. Se il grosso dei costi sarà coperto dalla fiscalità generale e quindi da tutti gli italiani che pagano le tasse, alcune voci ricadranno invece solo sui milanesi (compresi quelli della città metropolitana): i costi delle aree per i quali Regione e Comune si sono indebitati con le banche per 200 milioni di euro e i costi di gestione che ricadono sulla Expo Spa (perciò, in base ai pacchetti azionari, per il 20% sul comune, per il 20 sulla Regione Lombardia, il 10 sulla città metropolitana, il 10 sulla Camere di Commercio di Milano e per il 40 sul governo, dunque, ancora sulla fiscalità generale).

I 21 milioni di ingressi dichiarati sembrano tanti ma in realtà sono una cifra ben lontana da quella necessaria per coprire i 960 milioni dei costi di gestione. Infatti il dato (peraltro inferiore in termini assoluti a quasi tutte le edizioni precedenti) si riferisce agli accessi avvenuti e misurati dai famosi tornelli. Quello che i tornelli non dicono è quanti di questi accessi sono stati a pagamento e a che livello di prezzo. Oltre ai circa tre milioni di accessi dei lavoratori e operatori vari che, ovviamente, non pagavano, abbiamo una massa sterminata di persone che sono entrate pagando il biglietto serale
(5 euro contro i 39 del biglietto diurno), per non contare la quantità significativa di biglietti scontatissimi che girava nel corso degli ultimi due mesi. Aggiungiamo ancora le visite collettive, in particolare quelle delle scolaresche, con biglietti fortemente scontati, abbonamenti vari e chi più ne ha più ne metta. Il risultato economico effettivo è quindi molto lontano dalla bisogna.

Anche prendendo per buone le dichiarazioni ufficiali, i 21 milioni di visitatori moltiplicati per i 22 euro del prezzo medio dichiarato portano a 462 milioni di euro che aggiunti ai 300 (sempre dichiarati) che vengono da pubblicità, affitti e altro, danno un totale di 762 milioni di euro: anche così mancano all’appello 198 milioni di euro.

A questi conti vanno poi aggiunti i costi di costruzione della M4 che hanno gà indebitato il comune di Milano a botte di 100 milioni di euro l’anno per molti anni a venire.

Il tentativo di vendita dei terreni (oggi con il valore aggiunto delle strutture di urbanizzazione) che doveva coprire una parte consistente di questo buco è per ora andato deserto. Troppo si sta costruendo in città e in una fase economica in cui è proprio l’edilizia uno dei settori maggiormente colpiti. E’ difficile pensare che a breve termine ci possa essere una soluzione positiva. Ecco allora che vengono avanzati progetti in cui sono altri enti pubblici a intervenire: dalla nuova cittadella universitaria del Politecnico alla cittadella dell’amministrazione pubblica in cui concentrare tutti i pubblici uffici di Milano. In poche parole si cerca di spalmare il debito su altre strutture che pagherebbero con i soldi dei cittadini, peraltro creando altre problematiche sull’utilizzo delle attuali sedi di queste strutture (che succederebbe al quartiere di Città Studi per esempio?)

Che fare?

Il dramma vero è che di fronte a tutto questo non c’è nessuna risposta. Il movimento “no Expo”, che stava faticosamente e controcorrente prendendo forma, è stato praticamente cancellato dagli incidenti di piazza del primo maggio scorso. Il resto della sinistra “radicale” sta ancora sostenendo la giunta Pisapia (pur con malumori e mal di pancia) e nei vari abboccamenti sul terreno delle prossime elezioni amministrative, si guarda bene dal mettere a critica quello che è successo a Milano nel corso di questa amministrazione. Non parliamo del movimento sindacale che o è stato succube della impostazione istituzionale (CGIL in primis) o incapace di rispondere con iniziative unitarie anche di fronte alle precettazioni antisciopero del prefetto Tronca (lo stesso che gestirà il giubileo al posto del sindaco Marino della Roma commissariata).

La “discesa in campo” di Sala mette la sinistra milanese in una condizione di estrema difficoltà. Diventa improponibile una alleanza di qualsiasi genere con il PD e partecipare alle primarie sperando in una ripetizione del fenomeno Pisapia corre il rischio di impantanare chiunque segua questa strada in una alleanza mortale. Presentarsi in modo autonomo, senza una identità chiara, ma anzi ammiccando a quanto di buono (!!!) avrebbe fatto la giunta Pisapia, sarebbe un orizzonte incomprensibile all’elettorato di riferimento di questa sinistra.

Nessuno in questo momento sta provando a percorrere la strada che sarebbe necessaria, e cioè riprendere in tutta la città una discussione che affronti i nodi dello sviluppo urbano legato ai bisogni reali dei lavoratori, dei giovani, delle donne, degli anziani, degli immigrati. Una prospettiva che metta al suo centro la lotta contro il piano di stabilità e i tagli dei servizi sociali, e che dia impulso a forme reali di partecipazione popolare nella gestione della vita dei quartieri.

Occorrerebbe partire dal lavoro svolto dalle decine di comitati sorti nella città contro vari provvedimenti o progetti della giunta Pisapia, dai comitati per il diritto alla casa, dai centri di aggregazione giovanile e culturale. Occorrerebbe costruire un fronte di tutte queste soggettività, formare assieme un fronte di lotta e un progetto di governo della città. Oggi più che mai non si può restare in mezzo al guado. Questa sarà la proposta che porteremo al dibattito sulle prossime elezioni comunali.