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apace-palestina«Ora è giunto il vostro momento di avere paura». E’ ciò che mi diceva qualche giorno fa una giovane studentessa palestinese dell’università di Betlemme, e aggiungeva: «Se fossi coraggiosa, anch’io attaccherei un colono o un soldato, ma sono troppo paurosa per essere pronta a morire»… Gli attacchi spontanei all’arma bianca, coltello da cucina o cacciavite che sia, fanno emulazione, e questo malgrado il fatto che siano ormai diventate operazioni suicide, visto l’ordine dato da Netanyahu di sparare per uccidere su chiunque attacchi un israeliano.

Chiedendo ai cittadini di uscire armati e di servirsi dell’arma senza esitazioni, Netanyahu vuole dare l’impressione che ci sia una risposta a questo nuovo tipo di attacchi, ma i risultati lo contraddicono.
Sia in Cisgiordania, sia a Gerusalemme, o anche in territorio israeliano, gli attentati proseguono e le forze di sicurezza non possono fare nulla, visto che i giovani, spesso i giovanissimi che assalgono dei passanti non rispondono agli ordini di qualche organizzazione. L’attacco può arrivare in ogni momento e in ogni luogo.

Discorsi minacciosi, atti repressivi
Le indicazioni del governo hanno creato un vero e proprio Far West. Tutti sparano su tutti: è già capitato che dei poliziotti abbiano sparato su altri poliziotti, pallottole vaganti hanno ferito passanti israeliani, un immigrato eritreo è stato linciato a morte perché dei passanti l’avevano scambiato per un arabo… E la lista si allunga di giorno in giorno.
La paura di cui parlava la studentessa è tangibile: la sera, le strade sono deserte, così come i centri commerciali, compreso a Tel Aviv, nonostante la sua distanza dalla “linea del fuoco”, e anche in pieno giorno i negozi del grande mercato di Mahame Yehuda di Gerusalemme non fanno incassi.
Per dare l’impressione di controllare la situazione, il primo ministro continua a fare discorsi minacciosi e a promettere una nuova serie di misure repressive. Per il momento, è riuscito solo a separare Gerusalemme Ovest dai quartieri palestinesi di Gerusalemme Est con muri di blocchi di cemento, cosa che suona piuttosto grottesco per chi ha condotto la campagna elettorale accusando i suoi avversari… di voler dividere Gerusalemme! In realtà, Netanyahu è stato obbligato ad imporre un ritorno allo statu quo sulla spianata delle Moschee e a rafforzare il ruolo della Giordania su quell’area, al di là dell’accordo raggiunto tra il re Hussein di Giordania e Moshe Dayan nel 1967, il celebre “statu quo”.
Tra le misure repressive, occorre ricordare anche la minaccia di ritirare il permesso di soggiorno a decine di migliaia di palestinesi di Gerusalemme Est che vivono nella periferia della città.

Una minoranza che si mobilità per la solidarietà

L’estrema estrema destra al governo approfitta della situazione per avanzare nuove proposte e scrivere nuovi progetti di legge liberticidi, in particolare contro minoranza palestinese e i suoi partiti politici. Ancora una volta, la deputata Haneen Zoabi è nel mirino. La vice-ministra degli Esteri Tzipi Hotovely ha deciso di girare il mondo per ricordare che “i palestinesi non esistono” e che “Dio ha dato la Palestina al popolo ebraico e a lui solo”…
Le misure repressive hanno il sostegno della grande maggioranza della popolazione israeliana, l’opposizione del centro-sinistra (il cosiddetto «Campo sionista») gioca perfino al rialzo e critica il governo per “mancanza di fermezza”. Un centinaio di morti palestinesi in un mese sembra non essere abbastanza per il suo leader Yitzhak Herzog…
Se ci sono state manifestazioni che chiedevano al governo un po’ più di moderazione, la maggioranza di quello che era, non più di 15 anni fa, il “movimento per la pace” preferisce spendere le proprie energie nella celebrazione di massa del ventesimo anniversario dell’assassinio di Yitzhak Rabin… Questo, invece di unirsi alle mobilitazioni combattive della minoranza palestinese di Israele che, grazie all’unità costruita durante l’ultima campagna elettorale, moltiplica le azioni di solidarietà con le loro sorelle e i loro fratelli della Cisgiordania.