Nel 2013 la JP Morgan Chase & Co., una grande società finanziaria, incriminata dal governo americano in quanto considerata una delle principali responsabili della crisi dei subprime, pubblicava un rapporto sul tema della regolazione dell’area dell’euro, nel quale si invitavano gli Stati del Sud dell’Europa a introdurre riforme strutturali improntate all’austerity, accompagnandole con altrettante incisive riforme degli impianti costituzionali.
Si riferiva a quelle costituzioni, adottate dopo la caduta dei fascismi, ritenute influenzate dalle idee socialiste, con eccessivi diritti riconosciuti ai lavoratori e con un potere governativo troppo vincolato dalla sovranità parlamentare. Il governo Renzi ha preso alla lettera questo invito e con una serie di “riforme” si è messo in regola. Nel marzo del 2014 è stata approvata la riforma del sistema elettorale (Italicum) che assegna la maggioranza dei deputati alla Camera (54%) al partito che ottiene il 40% dei consensi. Se al primo turno nessun partito raggiunge quella quota si va al ballottaggio tra i primi due classificati. Poi è stato introdotto il Jobs Acts, destinato ad affievolire, fino a quasi cancellarle le tutele normative riguardanti il lavoro. Recentemente sono state approvate sostanziali modifiche all’impianto costituzionale del 1948. La JP Morgan Chase & Co può stare tranquilla. Renzi e il suo governo hanno fatto, bene e in fretta, i compiti assegnati. La liquidazione di storiche tutele del lavoro, la riforma del sistema elettorale fanno parte di un disegno complessivo che ha come scopo quello di precarizzare la forza-lavoro, spogliare il Parlamento del suo potere legislativo a favore di esecutivi più forti, decisionisti. Il Senato eletto viene abolito e sostituito con un organismo nominato da cricche politiche, non potrà più decidere la fiducia o la sfiducia al governo, vedrà ridotto il suo potere legislativo, compiti che spetteranno solo alla Camera dei deputati.
Mettendo assieme queste tre “riforme” emerge un quadro allarmante, una nuova narrazione dei principi della carta costituzionale che può declinarsi in questo modo: invece di “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, si dovrebbe dire che essa è ormai una repubblica oligarchica fondata sul diritto aziendale; là dove si dice che la sovranità appartiene al popolo, si dovrebbe scrivere che essa ormai è dei mercati, i quali la esercitano nei modi e nelle forme più opportune, prima e al di sopra della legge. Come prevede l’articolo 138 della Costituzione, la riforma approvata senza la maggioranza dei due terzi in seconda lettura va sottoposta a un referendum entro tre mesi dalla pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale». A breve termine quindi, visto che un Parlamento supino e anche trasformista ha approvato la riforma costituzionale, si andrà alle urne. Il “nostro” capo di governo ha dichiarato di voler fare di questo referendum un plebiscito sulla sua persona: per Renzi o contro Renzi e, in quest’ultimo caso, ha detto di essere pronto a dimettersi. L’esito di tale referendum è tuttora incerto. Comitati per il “no” alla riforma costituzionale si stanno costituendo, ma la possibilità di bloccare la riforma, dipenderà dal saper porre in evidenza che non si tratta solo di una astratta questione di diritto costituzionale, bensì di un attacco formidabile ai diritti dei lavoratori e ai principi stessi della democrazia liberale, che avviene sotto la pressione delle leggi dei mercati, la famosa mano invisibile, che passa dal campo della produzione a quello del controllo politico, sociale, individuale, imponendo regole dettate dai bisogni del funzionamento dell’attuale sistema capitalistico.