Il deprimente spettacolo che stanno offrendo i maggiori partiti politici sul seguito da dare alla vittoria dell’iniziativa “Prima i nostri” la dice lunga sulle loro reali intenzioni: non far nulla per contrastare il dumping.
Le ragioni alla base di questo atteggiamento sono presto dette: fautori dell’iniziativa (UDC) e contrari (PLRT, PPD, etc) non vogliono in realtà combattere il dumping.
Pensano infatti che una spinta verso il basso dei salari sia assolutamente necessaria per, usando le loro tradizionali espressioni, far sì che il Ticino resti “competitivo”. Mai si sognerebbero di “mettere i bastoni tra le ruote” al padronato e alle loro imprese, impegnati in una messa in concorrenza dei lavoratori della quale il dumping è il risultato finale. E per realizzare questa messa in concorrenza un forte offerta di manodopera è una condizione fondamentale.
Così, dopo l’esito del voto, l’UDC e i suoi amici della Lega non sanno più che pesci pigliare. Certo, perché per poter fare anche poche delle cose che loro hanno proposto che lo stato faccia (ad esempio impedire dei licenziamenti di sostituzione) dovrebbe proporre di modificare le leggi di questo paese, in particolare di modificare quelle leggi che di fatto impediscono che qualsiasi licenziamento abusivo (e licenziare qualcuno per sostituirlo con qualcun altro pagato molto meno – qualsiasi sia la sua nazionalità- è un vero e proprio abuso) possa essere revocato.
Senza proposte di questo genere (l’UDC potrebbe farle a livello nazionale e potrebbe forse anche averla vinta, visto che su simili proposte potrebbe contare su un appoggio forse maggioritario nel Parlamento nazionale) quelle dell’UDC, dal quella approvata il 9 febbraio di due anni fa a quella approvata il 25 settembre in Ticino, non sono altro che strumenti di propaganda xenofoba e filo-padronale, tese ad accrescere la divisione e la concorrenza tra i salariati, impedendo così la nascita di qualsiasi sentimento di solidarietà e di unità decisivo per qualsivoglia mobilitazione in difesa dei propri interessi.
Quanto agli altri partiti di governo, il loro obiettivo è tentare di bloccare il consenso elettorale e popolare che UDC e Lega cercano di alimentare con queste campagne; da qui la loro volontà di non far nulla, ribadendo sostanzialmente l’inapplicabilità – nel quadro giuridico esistente – delle proposte leghiste, per metterne in luce il carattere puramente propagandistico e strumentale. Il dumping, per loro, non è un problema, ma la soluzione del problema della “competitività” del Ticino.
È in questo contesto che abbiamo avanzato alcune proposte che riprendono la logica che avevamo sviluppato attraverso la campagna e l’iniziativa “Basta con il dumping salariale in Ticino”. Ma le proposte e gli interventi istituzionali sono certamente utili a tenere aperto il dibattito, ad evitare che la politica padronale passi sotto silenzio. Ma, nel quadro politico e con i rapporti di forza costituiti, è difficile anche solo immaginare che emerga qualche misura positiva.
E allora, come sempre, è sul terreno sociale che dovrebbe venire una risposta. Al momento in cui chiudiamo questo numero del giornale non sappiamo ancora se e come la vicenda dei gessatori sfocerà in misure di lotta concrete. Perché è proprio questa la via da battere contro il dumping salariale e sociale che, lo descriviamo nell’articolo a pag. 2 di questo giornale, si è affermato con buona pace delle organizzazioni sindacali e delle famose commissioni paritetiche tanto amate da Christian Vitta.
Una mobilitazione in questo senso, seppur limitata ad un piccolo settore, sarebbe comunque un segnale importante della volontà di mobilitazione e di lotta: la via maestra per sconfiggere il dumping salariale e sociale.