Dopo lo sciopero in Ticino di lunedì 15, martedì 16 e mercoledì 17 è toccato agli edili di Ginevra scioperare. Lo hanno fatto, come in Ticino, con grande determinazione e partecipazione. Si vedrà, nei prossimi giorni e sulla base delle prossime mobilitazioni, quali saranno gli esiti di questo duro scontro. Qui di seguito una prima riflessione a partire dallo sciopero in Ticino. (Red)
Lunedì 15 ottobre è partita dal Ticino la mobilitazione degli edili contro i pesanti attacchi decisi dalla Società Svizzera Impresari Costruttori (SSIC). Nei prossimi giorni e settimane si attiveranno a turno i muratori degli altri cantoni. Nel nostro cantone la rabbia di questa categoria di lavoratori si è tradotta in un’importante partecipazione: più di 3’300 edili sono confluiti a Bellinzona, ossia circa il 40% della forza lavoro impiegata. La stragrande maggioranza dei cantieri ha chiuso i battenti. Si tratta evidentemente di una reazione vigorosa da parte degli edili attivi in Ticino, per nulla scontata. Infatti, da ormai, un decennio la precarizzazione del settore della costruzione è avanzata a grandi passi, in particolare grazie al ricorso del lavoro interinale. Senza contare l’enorme esercito di riserva industriale, fornito dall’edilizia italiana in totale e lunga crisi, che gli impresari ticinesi possono usare per peggiorare le condizioni di lavoro locali e, soprattutto, quale arma di pressione quotidiana per spezzare la resistenza dei muratori impiegati sul mercato ticinese.
Come detto, adesso è il turno di altri cantoni. Se in Ticino la mobilitazione è stata molto positiva, non è detto che lo stesso avvenga nelle altre regioni del Paese. Decenni di pace sociale del lavoro, di “partenariato sociale”, pesano come macigni sulla fiducia fra lavoratori e sindacati e, soprattutto, incidono sulla capacità di mobilitare, di auto-organizzare i lavoratori e di sviluppare una conflittualità collettiva capace di modificare i rapporti di forza. E ciò è particolarmente evidente nei grandi cantoni della Svizzera tedesca, ossia nelle regioni politicamente determinanti per il settore nazionale dell’edilizia. Ed è necessario considerare che i soli cantoni di Zurigo, Berna, Lucerna e Argovia raggruppano quasi il 40% della forza lavoro totale nel settore dell’edilizia principale…
Il padronato vuole colpire con estrema durezza…
Mai come in questo rinnovo del Contratto Nazionale Mantello dell’edilizia (CNM), gli impresari costruttori hanno sferrato un attacco violento ai diritti e alle condizioni di lavoro degli edili. Ricordiamo le principali rivendicazioni padronali. In primo luogo, gli impresari svizzeri vogliono un sistema di ore flessibili di 300 ore all’anno, ciò che comporterebbe la possibilità di lavorare 6-7 ore nei mesi invernali, recuperando queste ore nei mesi estivi, con giornate quindi di 12-13 ore. Questa estensione degli orari non sarebbe naturalmente più pagata con i supplementi salariali… In secondo luogo, la SSIC propone la possibilità di trasformare dei lavoratori delle classi B e A in manovali (classe C) qualora i primi passassero da una ditta a un’altra, anche se titolare di una classe A da 30 anni! Ciò significherebbe delle perdite salariali anche dell’ordine di 800 franchi lordi mensili. In terzo luogo, propongo la cancellazione del divieto di lavorare in caso d’intemperie, rendendo ancora più insopportabile un lavoro già di per sé stesso estremamente usurante. Infine, la misura potenzialmente più distruttiva: la possibilità di ingaggiare per la durata di 4 mesi degli “stagisti” che non sarebbero sottoposti al CNM, in particolare ai minimi salariali che questo impone! E l’accettazione di questo pacchetto rivendicativo è la condizione per trovare un accordo sul mantenimento a 60 anni del prepensionamento…
… in un contesto produttivo eccezionale!
L’offensiva padronale attuale ha un solo obiettivo: conservare il tasso di profitto eccezionale registrato nel settore dell’edilizia dal 2004, quando la produzione edile ha conosciuto un vero e proprio decollo. Dal 2004 al 2017, la cifra d’affari del settore ha conosciuto una crescita del 45%, da 44,956 a 68 miliardi di franchi.
Un’ascensione praticamente ininterrotta, in tutti i settori d’intervento (costruzione d’infrastrutture, residenze e industriali). Per le imprese con la maggior redditività, il tasso di profitto si aggira attorno al 10-15% su base annua. E l’alta congiuntura nell’edilizia – un ciclo così lungo non si è mai registrato dalla metà degli anni ’70 – sembra perdurare ancora. L’istituto economico basilese BAK prevede una leggera contrazione (-0,9%) della produzione per il 2019 ma una crescita annua dello 0,3% per il periodo 2020-2024.
In questo contesto c’è solo un grosso problema immediato: l’aspra concorrenza fra le imprese edili avviene attraverso un costante abbattimento dei prezzi. Gli impresari per recuperare il loro margine di profitto hanno praticamente una sola via percorribile: aumentare in maniera netta il tasso di sfruttamento della forza-lavoro, tenuto conto che i guadagni in produttività nel settore edile sono piuttosto limitati e di lenta realizzazione. È così che si spiega l’assalto furioso al CNM. Inoltre gli impresari ragionano già in prospettiva, ossia quando la congiuntura molto probabilmente girerà – dopo il 2024 – provocando una contrazione della produzione. Anche in questo caso, i margini di profitti dovranno essere salvaguardati riducendo i salari e ottimizzando il tempo di lavoro.
In Ticino si lotta anche per il contratto collettivo cantonale dell’edilizia!
La grande mobilitazione in Ticino ha una duplice importanza: salvaguardare il CNM ma anche il contratto collettivo cantonale dell’edilizia (CCL-TI). Infatti gli edili ticinesi beneficiano dell’esistenza di un contratto collettivo cantonale migliorativo rispetto a quello nazionale. Per esempio, il CCL-TI vieta il lavoro al sabato, limita la flessibilità (legandola comunque alle intemperie), pone dei limiti importanti all’uso dei lavoratori interinali sui cantieri, circoscrive certe forme di “mala-edilizia” (maggiore controllo sui contratti a tempo parziale), ecc. Il CCL-TI dovrà pure essere rinegoziato a fine 2018, dopo l’eventuale rinnovo del CNM. Il contratto ticinese costituisce un boccone che la direzione nazionale della SSIC non ha mai digerito del tutto.
E questo per una ragione molto evidente: qualsiasi padrone è contrario a contratti che limitano, certo parzialmente, il raggio d’azione del loro potere. È un cattivo esempio. Per questa ragione la SSIC nazionale sta mettendo pressione affinché questi contratti collettivi cantonali spariscano dal panorama elvetico. E una parte degli impresari ticinesi sostengono questo orientamento.
La mobilitazione dei 3’300 edili ticinesi è dunque importante anche sul “fronte locale”. Una partecipazione limitata a questa giornata avrebbe ulteriormente rafforzato la convinzione dei padroni ticinesi ad attaccare il contratto collettivo cantonale. Certo, non basterà una giornata di mobilitazione, anche se ben riuscita, per scoraggiare la volontà padronale, per farla desistere dai suoi obiettivi. Infatti, qualora la direzione nazionale della SSIC dovesse spingere fino in fondo la sua offensiva, imponendo l’adozione della maggior parte delle sue rivendicazioni, non esitando a questo scopo ad andare verso un periodo più o meno lungo di vuoto contrattuale, si assisterebbe anche in Ticino a un rafforzamento degli attacchi frontali nei confronti del contratto cantonale. E allora gli edili ticinesi e i loro sindacati dovranno essere pronti, e soprattutto capaci, ad innalzare conseguentemente il livello dello scontro, della conflittualità sociale. Non ci sono alternative.
* sindacalista UNIA