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Pubblichiamo il testo (apparso sul sito del Movimento della Scuola) che un gruppo di insegnanti ha elaborato su un tema che nell’ultimo anno è stato al centro delle attenzioni (e delle preoccupazioni) di gran parte degli insegnanti e “pilastro” dell’insegnamento a distanza versione DECS: l’ormai pressoché universale obbligo di utilizzare piattaforme digitali come Moodle.
Il documento è stato elaborato da un gruppo di lavoro nato in seno alla Scuola Media di Agno, composto da Daniele Demarta, Renato Giovannoli, Stefania Maina, Andrea Croci. Lo hanno poi sottoscritto altri dieci colleghi della Scuola media di Agno (Red)

1. Emergenza o nuova normalità?

Il lockdown dovuto alla pandemia ha fatto sì che l’uso della piattaforma Moodle (insieme a quello di Microsoft Teams) fosse reso obbligatorio per tutti i docenti e che essa acquisisse durante il periodo della scuola a distanza un’importanza centrale nelle pratiche didattiche. L’emergenza sanitaria giustificava questa situazione, che per altro, sia nel sentire comune dei docenti, sia secondo i risultati di alcune ricerche scientifiche, ha dato, soprattutto per gli allievi delle fasce sociali più disagiate, frutti educativi molto scarsi.

Con il ritorno alla scuola in presenza, non si è però tornati alla situazione precedente, quando Moodle era utilizzato a titolo personale, con buoni risultati ma in un contesto di piena libertà, da una minoranza dei docenti. Esso non solo è diventato una struttura stabile e “ufficiale”, ma in alcune sedi si è potuta notare una certa pressione sul corpo insegnante perché continuasse a utilizzarlo per rendere disponibili agli allievi e alle loro famiglie schede, dispense, esercizi e altri supporti didattici.

È difficile non avere l’impressione che da parte di alcune componenti dell’istituzione scolastica vi sia la volontà di implementare l’uso della piattaforma, e di renderla, se non a breve, a medio termine, anche in assenza di emergenze sanitarie, un elemento fondamentale della struttura scolastica. Da qui nasce un interrogativo: forse il progetto era già in agenda e l’emergenza sanitaria ha permesso di accelerarne la realizzazione?

2. Una premessa filosofica

Nel corso degli ultimi cento anni si è spesso discusso se le innovazioni tecnologiche siano soltanto degli strumenti neutrali o, piuttosto, modifichino gli stessi fini di cui sarebbero i mezzi. Contro chi difendeva la tesi del carattere puramente strumentale dei mass media, già negli anni Sessanta del secolo scorso Marshall McLuhan rispondeva con il fortunato slogan secondo cui “il medium è il messaggio”. Ci pare che in questa paradossale affermazione ci sia una parte di verità, soprattutto se consideriamo che, per quanto riguarda gli insegnanti, il messaggio è ciò che chiamiamo “educazione”.

Crediamo illusoria l’idea che gli strumenti che utilizziamo nel rapporto educativo con i nostri allievi siano meri mezzi e pensiamo che, al contrario, determinino il carattere e la qualità della scuola. D’altra parte, non vi è alcuna evidenza scientifica che la tecnologizzazione dell’insegnamento migliori la relazione educativa, e la nostra esperienza ci dice che in molti casi invece la peggiora. In particolare, temiamo che nel contesto di un insegnamento altamente tecnologizzato l’attenzione che docente e allievi dovranno riservare agli strumenti tecnici (mezzi) eroderà almeno in parte i contenuti educativi (fini). Detto in termini di teoria dell’informazione, il canale tenderà a prevalere sul messaggio, sull’emittente e sul ricevente, e anche se i contenuti disciplinari e le competenze trasversali da insegnare e apprendere resteranno sulla carta gli stessi, subiranno necessariamente dei condizionamenti negativi.

Crediamo anche che questa eventualità avrebbe dovuto essere considerata, almeno come ipotesi, dalle istituzioni, tanto più che molti campanelli d’allarme erano già suonati a proposito della diffusione dell’informatica e dei nuovi media nella vita quotidiana degli allievi, e che l’introduzione progressiva degli strumenti informatici nella scuola avrebbe dovuto essere accompagnata da una riflessione condotta su due fronti: quello della ricerca scientifica e filosofica e quello della consultazione del corpo docente, che avrebbe potuto arricchire il dibattito con la propria esperienza.

3. Una premessa giuridica

A questa premessa metodologica occorre aggiungerne una giuridica. L’articolo 46 della Legge della scuola (“Libertà d’insegnamento e autonomia didattica“) afferma che “al docente sono riconosciute la libertà d’insegnamento e l’autonomia didattica, nel rispetto delle leggi, delle disposizioni esecutive e dei piani di studio” e che “il docente deve svolgere la sua attività nel rispetto dei diritti degli allievi, tenuto conto della loro età, della particolarità del rapporto educativo e del carattere pluralistico della scuola”. Ci chiediamo come la generalizzazione e l’obbligo di utilizzare metodologie didattiche come quelle implicite nell’uso di Moodle e di altri strumenti tecnologici possano permettere l’applicazione di questo articolo di legge. Se la messa tra parentesi di questo diritto poteva essere giustificata durante il lockdown, è evidente che in situazione di normalità esso debba non solo continuare a essere riconosciuto ma anche difeso da ogni tentativo di limitarlo.

Va da sé che nel quadro della libertà dell’insegnamento e dell’autonomia didattica Moodle, come ogni altro strumento didattico che non vada contro le leggi e le disposizioni esecutive e non sia lesivo dei diritti degli allievi, ha pieno diritto di cittadinanza, ed è con questa consapevolezza che alcuni di noi ne facevano uso anche prima dell’emergenza sanitaria.

4. Come uno strumento “educativo” può rivelarsi diseducativo

Se dunque nel contesto di autonome e ben ponderate scelte didattiche tali strumenti hanno dato buoni frutti, crediamo che in generale, e soprattutto per quanto riguarda alcune materie di insegnamento, essi abbiano piuttosto un carattere diseducativo.

Il maggiore rischio è quello di una “meccanizzazione” e dunque di una disumanizzazione del lavoro del docente e dunque del rapporto docente-allievo. Non è solo questione di buoni sentimenti e di rapporti umani, i quali pure hanno un ruolo importante nel rapporto educativo. A essere minati sono gli stessi fondamenti del rapporto didattico.

La scuola pubblica del Canton Ticino ha tra le sue finalità “lo sviluppo armonico di persone in grado di assumere ruoli attivi e responsabili nella società”, l’educazione della “persona alla scelta consapevole di un proprio ruolo attraverso la trasmissione e la rielaborazione critica e scientificamente corretta degli elementi fondamentali della cultura in una visione pluralistica”, lo sviluppo del  “senso di responsabilità” (Legge della scuola, art. 2). Il nostro timore è che, se si dà per scontato che i docenti carichino in Moodle schede fatte, schermate di lavagne, soluzioni di compiti ed esercizi, impegni da rispettare e date nel calendario, gli allievi saranno invitati a partecipare in maniera sempre più passiva alla scuola. Prendere appunti e mantenere alta l’attenzione verrà considerato superfluo, “tanto c’è tutto in Moodle”. Si perderanno o verranno indeboliti così quegli elementi del rapporto educativo tesi all’insegnamento di alcune importanti abilità e competenze strettamente collegate alle finalità della scuola indicate dalla Legge: la capacità di ascoltare, di confrontarsi con docenti e compagni su materiali distribuiti in classe, di rielaborare e di sintetizzare (o anche solo di riassumere, il che non è poco) in maniera personale e attiva ciò che si è udito, di elaborare strategie per “recuperare” lezioni perdute a causa di una malattia.

Vi è inoltre il rischio di una deresponsabilizzazione dell’allievo e della sua famiglia e di un venir meno tra gli allievi della solidarietà nei momenti di bisogno. Se “tanto c’è tutto in Moodle”, che necessità c’è di fare attenzione alle consegne, di programmare i propri impegni nel diario, di portare materiali o compiti al compagno malato e, per quanto riguarda le famiglie, di collaborare con l’istituzione scolastica, di cui sono una componente, senza ridurla a una mera dispensatrice di servizi?  L’articolo 1 della Legge della scuola afferma: “La scuola pubblica è un’istituzione educativa al servizio della persona e della società”, ma appunto essa è un’”istituzione educativa”, e per questo il termine “servizio” non va inteso, e ci auguriamo che non lo sia mai, in un senso svilente che presupponga in primo luogo la soddisfazione delle richieste di un’”utenza”.

Per quanto riguarda i condizionamenti negativi sui contenuti disciplinari che la tecnologizzazione dell’insegnamento può comportare, non va dimenticato che essa agisce ovviamente anche sull’insegnante, che dovrà gestire un aumento del carico di lavoro, a detrimento della sua qualità. L’impiego del tempo e delle energie mentali necessarie all’utilizzo degli strumenti tecnici andrà infatti a discapito tanto della preparazione dei suoi corsi, quanto dell’autoformazione, della lettura, della riflessione e di tutto ciò che (con buona pace del quantitativo minimo di giornate di formazione istituzionale) costituisce il cuore di una vera professionalità.

La letteratura scientifica ha per altro già evidenziato notevoli criticità nell’insegnamento informatizzato. In particolare è stata rilevata la superiorità della lettura su supporto cartaceo rispetto a quella su uno schermo, che pone maggiori problemi di comprensione[1] e dà luogo a un apprendimento meno durevole nel tempo.[2]

Più in generale, riteniamo che debbano essere mantenuti, e anzi difesi, l’insegnamento e l’apprendimento di competenze relative a forme di studio e di ricerca “tradizionali”, che non solo conservano a nostro avviso un valore educativo intrinseco ma sono tuttora essenziali in molti campi disciplinari e professionali

Quanto detto vale, come abbiamo accennato, soprattutto per le materie di area umanistica, meno per altre, nelle quali gli strumenti di cui stiamo parlando hanno maggiore utilità. Vi è inoltre da tenere conto delle diverse sensibilità, competenze e abitudini dei singoli docenti. Ma per l’appunto, come si è già detto, è la generalizzazione di tali strumenti e l’uniformazione che ne deriva che va evitata.

5. Controindicazioni sanitarie alla tecnologizzazione dell’insegnamento

Vanno poi ricordate le controindicazioni anche sanitarie, tanto per gli allievi quanto per i docenti, di una lunga permanenza davanti a uno schermo. La ricerca ha infatti rilevato che adulti e bambini che passano più di due ore al giorno davanti agli schermi possono sviluppare disturbi tanto fisici (“computer vision syndrome”),[3] quanto psichici. In particolare, la luce degli schermi ha un effetto sulla produzione di melatonina e dopamina, causando una alterazione dei ritmi circadiani e, in casi più gravi, ansia, depressione e disturbi comportamentali.[4] Sappiamo bene, inoltre, che molti adolescenti fanno un uso eccessivo delle tecnologie, passando anche più di sette ore della loro giornata davanti allo smartphone, al computer, ai videogiochi e alla televisione e che non è fuori luogo parlare a questo proposito di forme di vera e propria dipendenza.[5] Non è davvero il caso che la scuola rinneghi ora il suo abituale impegno nella prevenzione delle dipendenze e più in generale nella vigilanza sulla salute dei propri allievi.

6. Una parentesi “sindacale”

La crescita del carico di lavoro provocata da queste nuove modalità di fare scuola pesa non solo sulla qualità dell’insegnamento, ma anche sulla vita privata, sull’equilibrio psicologico e sullo “statuto sociale” dei docenti. Agli effetti svilenti della meccanizzazione del loro lavoro, si aggiunga il rischio – in molti casi già attualizzato attraverso altri canali informatici, per esempio la posta elettronica – del crescere della pretesa da parte delle famiglie di materiali didattici sempre più personalizzati, à la carte. Il corpo insegnante perde così il ruolo di “ceto intellettuale”, diventando mero esecutore, funzionario dispensatore di servizi.

Anche nel caso che l’uso di Moodle o di simili strumenti informatici non venga reso obbligatorio, permane poi il pericolo che la loro diffusione comporti un obbligo “morale”. Sarà ancora considerato un “bravo” docente quello che pur con grandi meriti professionali, non è abile a gestire la parte informatica e burocratica del suo lavoro, o, in tutta consapevolezza ha deciso di minimizzarla per dare spazio ad attività che la sua esperienza e la sua sensibilità gli fanno considerare più importanti? Va notato anche che tutto ciò che costituisce una sana relazione didattica spesso non lascia documentazione, mentre Moodle conserva invece la memoria del lavoro svolto e permette la sua quantificazione, cosicché, qualora diventasse il metro del lavoro dei docenti, potrebbe essere utilizzato come giustificazione di inique valutazioni.

7. Qualche conclusione

A nostro parere c’è dunque da augurarsi (i) che l’uso di Moodle o di simili strumenti informatici non venga reso obbligatorio, né per disposizione dipartimentale, né nei singoli istituti per decisione delle direzioni, e in particolare che non vi sia l’obbligo per i docenti di caricare sulla piattaforma tutti i materiali e le consegne agli allievi; (ii) che il lavoro svolto su Moodle non diventi mai metro di valutazione dei docenti; (iii) che vengano predisposti efficaci strumenti di difesa della libertà d’insegnamento e dell’autonomia didattica degli insegnanti da ogni forma di pressione, ricatto morale o, quel che è peggio, vero proprio mobbing; (iv) che l’istituzione scolastica dia prova di fermezza nello scoraggiare eccessive richieste da parte delle famiglie nella direzione di una scuola intesa come dispensatrice di servizi; (v) che il tema delle possibili conseguenze negative della tecnologizzazione dell’insegnamento, sia sul piano didattico, sia sul piano sanitario, venga studiato da una commissione indipendente di esperti (la cui composizione dovrà tenere conto di tutte le principali posizioni emerse nel dibattito scientifico e filosofico) e fatto oggetto di un’inchiesta-consultazione tra i docenti.

Soltanto un serio confronto su questi temi all’interno del corpo docente e un’eventuale mobilitazione in concerto con le associazioni magistrali e i sindacati di categoria potranno però trasformare queste speranze in esplicite rivendicazioni.

[1] Lauren M. Singer e Patricia Alexander, Reading Across Mediums: Effects of Reading Digital and Print Texts on Comprehension and Calibration, in “The Journal of Experimental Education”, vol. 85, n. 1, 2017, pp. 155-172. – I riferimenti bibliografici che diamo in questa e nelle successive note sono esemplificativi di una bibliografia molto più ampia e per alcuni campi di studio ormai sterminata.
[2] Jan M. Noyes e  Kate J. Garland, Computer- vs paper-based tasks: Are they equivalent? in “Ergonomics”, vol. 5,  n. 9, 2008, pp. 1352-1375.
[3] Mark Rosenfield, Computer Vision Syndrome: A Review of Ocular Causes and Potential Treatment, in “Ophtalmics and Physiological Optics: The Journal of the British College of Oftalmic Opticians (Optometrists)”, vol. 31, 2011, pp. 502-515.
[4] Jean M. Twenge, Thomas E. Joiner, Megan L. Rogers e Gabrielle N. Martin, Increases in Depressive Symptoms, Suicide-related Outcomes, and Suicide Rates Among U.S Adolescents After 2010 and Links to Increased New Media Screen Time, “Clinical Psychological Science”, vol. 6, n. 1, 2017, pp. 3-17; Elroy Boers, Mohammad H. Afzali e Patricia Conrod, Temporal Associations of Screen Time and Anxiety Symptoms Among Adolescents , in “Canadian Journal of Psychiatry”, vol. 65, n. 3, 2019, pp. 206-208; Danijela Maras, Martine F. Flament, Marisa Murray, Annick Buchholz, Katherine A. Henderson, Nicole Obeid e Gary S. Goldfield, Screen Time is Associated with Depression and Anxiety in Canadian Youth, in “Preventive medicine”, vol. 73, 2015, pp. 133-138.
[5] Phil Reed, Michela Romano, Federica Re, Alessandra Roaro, Lisa A. Osborne, Caterina Viganò e Roberto Truzoli, Differential Physiological Changes Following Internet Exposure in Higher and Lower Problematic Internet Users, “PLoS One”, vol. 12, n. 5, 2017; Joseph Ciarrochi, Philip Parker, Baljinder Sahdra, Sarah Marshall, Chris Jackson, Andrew Gloster, Patrick T.,Heaven, The development of compulsive internet use and mental health: A four-year study of adolescence, “Developmental Psychology”, vol. 52, n. 2, 2016, pp. 272-283, <https://doi.org/10.1371/ journal.pone.0178480>; Romeo Vitelli, Can Compulsive Internet Use Affect Adolescent Mental Health?, <https://www.psychologytoday.com/us/blog/media-spotlight/201601/can-compulsive-internet-use-affect-adolescent-mental-health>, 2016.