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Il “libertarismo” del presidente argentino Javier Milei, in carica da 10 mesi, sta producendo disastri sociali enormi nel paese latino americano. Pubblichiamo qua sotto ampi stralci di un articolo tratto dal blog  dell’economista marxista argentino Rolando Astarita, nel quale vengono snocciolati alcuni crudi numeri dell’economia del paese nel 2024, che illustrano più di ogni discorso la politica “mileista” bestialmente diretta contro i lavoratori e le masse diseredate e impoverite. L’articolo intero può essere letto (in castigliano) qui.

Cominciamo con le cifre della povertà e dell’indigenza fornite dall’INDEC, l’istituto statale di statistica.

Povertà: 52,9% della popolazione. Si tratta di 24,8 milioni di persone. Alla fine del 2023 la povertà era del 42%. Oggi ci sono 5,4 milioni di poveri in più rispetto al secondo trimestre del 2023. La povertà infantile è del 66%.

Indigenza: 18,1%. Si tratta di 8,5 milioni di persone; 3 milioni in più rispetto al 2° trimestre 2023. Il 27% dei bambini sotto i 14 anni è indigente. Alla fine del 2023, l’indigenza era dell’11%.

Inoltre, il 23% dei bambini tra i 3 e i 5 anni non frequenta istituti di istruzione formale; il 35% dei giovani non ha terminato la scuola secondaria.

Secondo l’Observatorio de la Deuda Social Argentina, dell’Universidad Católica Argentina, in una ricerca congiunta con il Banco Hipotecario, il 56% dei bambini nei centri urbani non ha fognature, marciapiedi e pavimentazioni; il 53% non ha accesso al gas; il 38% non ha sistemi fognari. Il 19% si trova in una situazione precaria. Il 19% si trova in condizioni abitative precarie e il 18% soffre di sovraffollamento. È su questo corpo sociale, in carne e ossa, che il governo Milei applica l’“aggiustamento” della spesa pubblica.         

Salari in calo

Da quando Milei si è insediato (10 dicembre 2023), si è registrato un forte calo dei salari reali, attraverso la pressione inflazionistica. A luglio 2024 l’aumento medio dei salari, su base annua, era del 206% (la media tra l’aumento del 170% degli stipendi dei dipendenti statali, l’aumento del 178% del settore privato non registrato e quello del 235,1%, sempre anno su anno del settore privato registrato).

Ma, per contropartita, l’inflazione a luglio è stata del 263,4% sul luglio 2023. Pertanto, gli stipendi dei dipendenti statali sono diminuiti, in termini reali, del 25,7%quelli del settore privato non registrato del 23,2%quelli del settore privato registrato del 7,8%.

Chiacchiere e manovra

Per mascherare la crudezza di questi dati, il governo ricorre a confronti trimestrali o mensili. Nel caso della povertà, il 52,9% per il periodo di sei mesi riportato dall’INDEC deriva dalla media dei dati dei primi due trimestri: nel primo trimestre la povertà era del 55%; nel secondo trimestre è scesa al 51%. Milei utilizza questo calo per sostenere che “la povertà sta diminuendo”. Fa qualcosa di simile con l’evoluzione dei salari. Dato che negli ultimi 4 mesi gli aumenti salariali sono stati leggermente superiori all’inflazione, anche in questo caso il discorso ufficiale è “i salari stanno aumentando”. In questo modo si nasconde il forte calo dei salari nel lungo periodo e l’aumento, sempre nel lungo periodo, della povertà e dell’indigenza. I rimbalzi sono solo questo, rimbalzi che non cambiano la tendenza di fondo.

Più in generale, è una regola del capitalismo che quando si verificano grandi crisi e depressioni, arriva un momento in cui la caduta dei salari tocca il fondo e i redditi si riprendono un po’, contemporaneamente alla ripresa dell’attività economica. Ma questo non cancella il fatto che 
1. a crisi è pagata dai lavoratori e dai settori popolari;
2. i salari finiscono a livelli più bassi di quelli che erano all’inizio della crisi;
3. la povertà e l’indigenza rimangono a livelli più alti di quelli che erano prima della crisi.

Come Marx aveva giustamente avvertito, quando si parla di salari, ciò che conta è il lungo termine, piuttosto che i cambiamenti a breve termine. E ciò che si impone oggi come tendenza in Argentina è una profonda caduta dei salari reali (cioè del paniere di beni che riproducono la forza lavoro) di milioni di lavoratori. 

Sullo sfondo, la situazione economica

Il Prodotto Interno Lordo nel secondo trimestre è sceso dell’1,7% su base annua e dell’1,7% rispetto al primo trimestre. Nella prima metà dell’anno il calo è stato del 3,4%. Nel 2° trimestre si sarebbe toccato il fondo, ma non ci sono segnali di una ripresa significativa e sostenuta. Per il momento si registrano solo deboli rimbalzi, senza che l’economia esca dal buco. Secondo il Relevamiento de Expectativas de Mercado (REM), l’indagine condotta dalla Banca Centrale, l’attività economica nel 3° trimestre è aumentata a malapena tra l’1,1% e l’1,6% rispetto al 2° trimestre. Per il 4° trimestre si prevede una crescita inferiore, tra lo 0,6% e lo 0,9%, rispetto al terzo. Il risultato è che l’economia chiuderebbe l’anno con un calo tra il 3,8% e il 3,9%.

Altri dati: La stima mensile dell’attività economica (EMAE) è stata negativa del 3,5% nei primi 7 mesi dell’anno. Secondo la Fundación de Investigaciones Económicas Latinoamericanas (FIEL), l’industria è scesa dello 0,7% ad agosto rispetto a luglio. Il dato cumulativo dei primi otto mesi dell’anno è negativo del 10,5%. Secondo la società di consulenza Orlando Ferreres, l’indice generale di attività, dopo aver registrato un aumento dell’1% a luglio rispetto a giugno, è sceso nuovamente dello 0,6% ad agosto. Nel confronto annuale, l’indice è risultato negativo del 5,6%.

Anche nel confronto interannuale, l’agricoltura e l’allevamento sono migliorati, ma l’industria, l’edilizia e il commercio hanno registrato forti cali. Un rapporto della Sovrintendenza ai Rischi del Lavoro afferma che, nei primi sei mesi dell’anno, 9.092 microimprese (le microimprese sono quelle con meno di cinque dipendenti) hanno cessato la loro attività. E 2.634 aziende più grandi hanno chiuso. 

Per quanto riguarda i consumi privati, nel secondo trimestre del 2024 sono stati inferiori del 9,8% rispetto al secondo trimestre del 2023. I consumi pubblici, anch’essi, sono diminuiti del 6%. Rispetto al 1° trimestre 2024, nel 2° trimestre 2024 è stato negativo rispettivamente del 4,1% e dell’1,1% (INDEC).  Secondo la Camera di Commercio Argentina (CAC), in agosto il consumo è sceso del 7,8% annuo e dell’1,8% rispetto a luglio; in luglio era aumentato dell’1,8% rispetto a giugno. Nei primi otto mesi dell’anno, il calo dei consumi privati è stato del 6,4%. Alcune voci sono particolarmente colpite: ricreazione e cultura sono scese, ad agosto, su base annua, del 21,7%, l’abbigliamento è sceso del 17% su base annua. Secondo la società di consulenza Scentia, specializzata in consumi di massa, a luglio i consumi sono scesi, in termini annuali, del 16,1%. Ad agosto il calo, su base annua, ha raggiunto il 20%. Nella voce elettrodomestici, il calo ha raggiunto il 33%.

I dati forniti dalla Confederación Argentina de la Mediana Empresa (CAME), relativi a settembre, coincidono: le vendite al dettaglio sono calate del 5,2% rispetto allo stesso mese del 2023; nei primi 9 mesi del 2024 hanno accumulato un calo del 15% annuo. Le percentuali del calo stanno diminuendo (dal 21,9% di giugno al 5,2% di settembre) ma non ci sono segnali che indichino l’inizio di una fase di ripresa dalla recessione. Ad agosto, l’edilizia è scesa del 2,9% rispetto a luglio e per l’intero anno è crollata del 30,3%. L’industria è cresciuta dell’1,5% mese su mese, ma nel complesso dell’anno è scesa del 13,6%. Un altro caso esemplificativo è la vendita di auto a chilometro zero (il consumo di beni durevoli tende a crescere fortemente nelle fasi di ripresa): a settembre le vendite sono aumentate del 5% rispetto ad agosto, ma tra gennaio e settembre sono calate dell’11,7% rispetto allo stesso periodo del 2023. 

Anche gli investimenti stanno crollando. Il tutto ben lontano dalla ripresa “a V” (cioè una impennata di crescita dopo una brusca caduta, ndt) che, secondo Milei e Caputo, si sarebbe verificata a partire da marzo o aprile.   

Il lavoro informale e il decreto 847/2024

Secondo l’INDEC, nella seconda metà del 2024, il 36,4% dei lavoratori dipendenti non aveva contributi previdenziali. Ciò significa che questi lavoratori non godono di prestazioni di base come la previdenza sociale, le ferie pagate o il diritto al trattamento di fine rapporto in caso di licenziamento. Alcuni settori sono particolarmente colpiti. Nell’edilizia, il 70% dei lavoratori non è regolarizzato. Tra le donne che prestano servizio domestico, il 76% opera al nero. Questo alto livello di informalità spiega perché il tasso di disoccupazione è aumentato solo di due punti percentuali (nel 1° trimestre era del 7,7%, nel 2° trimestre del 7,6% contro il 5,7% del 4° trimestre 2023) nonostante la forte recessione economica. 

In questo contesto, il decreto 874/2024 consolida e legittima l’informalità del lavoro. Tra le altre misure, istituisce la categoria dei “collaboratori”: si possono assumere fino a tre “collaboratori” senza che questo crei un rapporto di dipendenza. D’altra parte, con la scusa della “promozione dell’occupazione registrata” il datore di lavoro è esentato da multe, sanzioni o contributi per avere dipendenti non registrati. Viene eliminato il registro delle sanzioni sul lavoro e vengono condonati i debiti per il mancato pagamento dei contributi o dei contributi del datore di lavoro. Inoltre, si apre la porta alla modifica delle indennità di licenziamento, con i lavoratori che “negoziano liberamente” con i datori di lavoro, in una posizione chiaramente svantaggiosa.

Aumenta la quota dei profitti sul PIL

Se i salari diminuiscono più di quanto diminuisca il PIL, il rapporto tra profitti e salari aumenta necessariamente, cioè aumenta la quota dei profitti sulla produzione. I “profitti” comprendono i profitti aziendali, le rendite (agricole, minerarie, immobiliari) e gli interessi. In termini marxisti, il tasso di plusvalore aumenta.

Questa è una relazione fondamentale da seguire. Dimostra che il conflitto sociale chiave è in termini di classi sociali. È in atto un trasferimento del plusvalore (generato dal lavoro) ai proprietari dei mezzi di produzione e del capitale monetario. Questa è la base ultima della politica economica di Milei.

Questo trasferimento si manifesta nell’aumento del coefficiente di Gini, un indicatore del grado di disuguaglianza dei redditi. Nel secondo trimestre del 2024 era pari a 0,436 (1 indica la disuguaglianza assoluta, 0 l’uguaglianza assoluta dei redditi). “Nello stesso trimestre del 2023 il valore era di 0,417, il che mostra un aumento significativo della disuguaglianza nel confronto anno su anno“ (”Evolución de la distribución del ingreso”, INDEC, 2Q 2024).

Un altro dato significativo: nel secondo trimestre del 2024 il 10% più ricco riceveva il 32,5% del reddito, mentre il 50% più povero il 19,9% (dati INDEC su 31 agglomerati urbani e sul reddito individuale). Il reddito medio dei primi quattro decili della popolazione, classificati in base al reddito dell’occupazione principale, era di 153.323 pesos (pari a 143 euro).

(…)

Avanzo di bilancio con più fame e miseria

L’avanzo di bilancio dei primi otto mesi è stato pari allo 0,35% del PIL. È stato ottenuto soprattutto grazie agli “aggiustamenti” degli stipendi dei dipendenti statali, alle pensioni, alla riduzione dei sussidi e al crollo delle opere pubbliche. Secondo l’opinione di “Profit Consultores”, riportata nel programma televisivo del giornalista Maximiliano Montenegro, in questi primi otto mesi la riduzione delle voci di spesa pubblica è stata:

Spese in conto capitale: – 79,4%; Trasferimenti correnti alle province: – 69,1%; Altre spese correnti: – 46,5%; Sussidi energetici: – 36,8%; Sussidi economici: – 34,9%; Sussidi alle università: – 34,2%; Altre spese di funzionamento: – 32,8%; Sussidi ai trasporti: – 27,5%; Programmi sociali: – 26,4%; Spese correnti primarie: – 24,7%; Pensioni contributive e pensionamento: – 22,6%; Spese operative e altre spese: – 22,3%; Passivi attivi e altri assegni familiari: – 21,5%; Pensioni non contributive: – 20,6%; Salari: – 19,5%; Prestazioni sociali: – 19,5%.

Fatto 100 il totale dei tagli alla spesa pubblica nei primi otto mesi del 2024, queste sono le quote di partecipazione a quei tagli (stessa fonte):

Pensioni contributive e non contributive: 25,3%; Spese in conto capitale: 23,2%; Sussidi economici: 14,5%; Altri programmi sociali: 8,8%; Salari: 8,6%; Trasferimenti correnti alle province: 7%; Trasferimenti alle università: 3,9%; Altro: 8,8%.

Allo stesso tempo, a causa della crisi economica, le entrate fiscali sono in calo. Nella prima metà dell’anno sono diminuite in termini reali del 7% su base annua. Ad agosto, le entrate in termini reali sono diminuite del 14% su base annua. A settembre sono diminuite “solo” del 3,4% a causa di un fattore circostanziale, i pagamenti anticipati dell’imposta sulle proprietà personali. Le entrate legate all’andamento della produzione hanno subito un forte calo. L’IVA versata è stata negativa del 16,3% e l’imposta sul reddito del 13%. Ciò porterebbe a ulteriori riduzioni della spesa pubblica e a un ulteriore conseguente calo delle entrate.
(…)

Per concludere, quale uscita dalla crisi?

L’“aggiustamento” dei redditi, delle condizioni di lavoro e di vita delle masse lavoratrici e popolari è stato, per ora, imposto. Lo ha fatto con l’appoggio e il consenso – al di là di piccole differenze – delle associazioni padronali e finanziarie, dei principali partiti politici (compresi i governatori e i legislatori del peronismo) e con la “tolleranza”, nei contenuti, della maggior parte dei leader sindacali.

L’offensiva contro il lavoro non cessa. Il governo ha ripetutamente dimostrato, nelle vertenze della compagnia aerea e degli insegnanti, tra le altre, la volontà di reprimere il diritto di sciopero in molte attività. Il recente veto alla legge sul bilancio universitario e gli attacchi agli operatori sanitari sono altre espressioni dell’attacco.

Nel sistema capitalista non esistono vie d’uscita “progressive” dalle crisi. La risposta del sistema alla crisi è la caduta dei salari (compresi i salari sociali, l’istruzione e la sanità pubbliche e simili); la perdita dei diritti del lavoro; l’indebolimento delle organizzazioni sindacali; la flessibilità nelle assunzioni e nei licenziamenti e simili. Tutta la scienza economica di Milei ed Espert (e di Hayek e Friedman) si concretizza in questo programma bestiale. Che è il programma del capitale in generale.

Il punto centrale è che il capitale non esce dalle crisi riducendo lo sfruttamento del lavoro, ma aumentandolo. (…) Oggi il governo e il capitale cercano di ricomporre l’accumulazione nello stesso modo di sempre. Anche i governanti e i politici che si considerano difensori dei settori popolari ora attuano gli aggiustamenti al ribasso dei salari e delle pensioni e acconsentono all’avanzamento della riforma del lavoro.

Inoltre, non c’è crisi capitalista senza una via d’uscita. Arriva un momento in cui la svalutazione degli attivi, la perdita dei diritti del lavoro, il calo dei salari, la distruzione delle forze produttive, la ristrutturazione del capitale (fusioni, chiusura di aziende improduttive), inducono i capitalisti a investire. Al prezzo di una tragedia sociale (povertà e indigenza a livelli record) il capitale ricompone le condizioni per l’accumulazione.

… l’unico modo per imporre un programma progressista e umanista è una trasformazione che cambi le radici di questa struttura sociale, che ruota attorno ai profitti del capitale e alla sua controparte, lo sfruttamento del lavoro.

*articolo apparso sul blog dell’autore l’8 ottobre 2024.