Ci sono due miti evidenti sul cessate il fuoco a Gaza entrato in vigore domenica scorsa. Il primo mito attribuisce l’accordo alle pressioni di Donald Trump, che aveva espresso il desiderio di ottenerlo prima di entrare in carica e aveva persino minacciato di scatenare “l’inferno” (come se quello che la popolazione di Gaza ha vissuto per 471 giorni non fosse stato un inferno) se il cessate il fuoco non fosse avvenuto alla data desiderata. Naturalmente, la squadra di Trump ha esercitato pressioni reali per raggiungere una tregua (che è il nome appropriato di ciò che è iniziato domenica), ma il mito sta nel ritrarre questa pressione come consistente nel torcere il braccio di Netanyahu, al punto che Trump è stato dipinto da varie fonti come un eroe che avrebbe raggiunto una pace giusta per il popolo palestinese.
La verità è che questo mito è del tutto insensato! Come se il presidente degli Stati Uniti che ha reso il più grande servizio a Israele prima che il suo successore, Joe Biden, completasse la sua azione, e che ora è tornato alla presidenza circondato da un gruppo di sionisti cristiani ed ebrei, alcuni dei quali sono quasi più a destra di Netanyahu; come se quest’uomo, il leader dell’estrema destra globale e un politico intriso di una politica reazionaria senza fondo, si fosse magicamente, o forse divinamente, trasformato in un antisionista e in un sostenitore del popolo palestinese.
In realtà era chiaro a tutti – e a Biden in primis, che ha pubblicamente rimproverato Netanyahu per questo dopo averlo ricevuto a Washington lo scorso luglio – che il rifiuto del primo ministro israeliano di andare avanti con l’accordo che l’amministrazione statunitense aveva redatto con l’aiuto del Cairo e di Doha fin dalla scorsa primavera, voleva principalmente privare Biden, così come Kamala Harris dopo aver sostituito quest’ultimo come candidata del Partito Democratico, di un risultato di cui potersi vantare nella corsa presidenziale. Era anche chiaro che Netanyahu, che ha incontrato Trump nella sua villa in Florida dopo la sua visita a Washington, aveva promesso a quest’ultimo che gli avrebbe concesso una tregua se avesse vinto le elezioni. Dopo l’incontro con Trump, Netanyahu ha dichiarato ai giornalisti di essere “certamente desideroso” di raggiungere un accordo, aggiungendo: “ci stiamo lavorando”.

Netanyahu ha in realtà utilizzato il mito delle pressioni esercitate da Trump su di lui – che il rappresentante di quest’ultimo in Medio Oriente, Steve Witkoff, sionista per eccellenza, ha voluto avvalorare – per convincere i suoi alleati dell’estrema destra sionista ad accettare l’accordo. Mentre i media tacevano, o quasi, sulle reali pressioni esercitate su Hamas attraverso l’Egitto e il Qatar, su insistenza del rappresentante di Trump, il mito ha prevalso in un modo che faceva comodo a Netanyahu. Egli ha comunque promesso a Smotrich e Ben-Gvir che l’accordo non sarebbe andato oltre la sua prima fase. Smotrich ha accettato la promessa, mentre Ben-Gvi si è dimesso dal governo, affermando che avrebbe continuato a sostenere Netanyahu alla Knesset e che sarebbe tornato al governo non appena fosse ripresa la guerra a Gaza.
I comandanti delle forze armate sioniste hanno fatto pressioni per l’accordo, in risposta alle pressioni dell’opinione pubblica israeliana per il rilascio degli ostaggi detenuti nella Striscia. L’ex ministro della Difesa Yoav Gallant si è persino dimesso per protestare contro il ritardo di Netanyahu nell’accettare l’accordo. Tutti sanno che questo accordo non è altro che una tregua temporanea che consentirà il rilascio degli ostaggi civili, e che l’esercito continuerà poi la sua campagna. Naturalmente, l’apparente dispiegamento di uomini armati da parte di Hamas, con molto zelo, nel tentativo di dimostrare che controllano ancora i residenti della Striscia, è il più forte incentivo possibile per l’esercito e la società sionista a continuare la guerra e l’occupazione! Chiunque creda che l’attuale tregua si trasformerà in una cessazione definitiva della guerra, accompagnata da un ritiro completo dell’esercito sionista dalla Striscia, si sta abbandonando a velleità e sogni.
Il secondo mito è in qualche modo collegato al primo, in quanto dipinge l’attuale tregua come una grande vittoria ottenuta da Hamas. Sabato scorso, il movimento ha rilasciato una dichiarazione stampa in cui affermava che: “La battaglia Diluvio di Al-Aqsa ci ha avvicinato alla fine dell’occupazione, alla liberazione e al ritorno, se Dio vuole”. Questo è un nuovo esempio dell’irrazionale pensiero magico che ha accompagnato l’operazione del 7 ottobre 2023, che ha costituito il preludio al capitolo più brutto e terribile della lunga tragedia subita dal popolo palestinese. Ha anche portato al crollo degli alleati di Hamas nell’“Asse della Resistenza”: Hezbollah ha subito un colpo decisivo in Libano, il regime di Assad è crollato in Siria e il regime iraniano è terrorizzato, così che solo gli Houthi yemeniti Ansar Allah sono rimasti in campo, sfruttando il lancio di missili nel loro conflitto confessionale con gli altri yemeniti e con il regno saudita. Gli Houthi sono rappresentati al meglio dal loro portavoce militare Yahya Saree, che è diventato un nuovo simbolo della fanfaronata araba dopo Ahmed Said [emittente egiziana all’epoca di Gamal Abdel-Nasser] e Muhammad Saeed al-Sahhaf [portavoce di Saddam Hussein] e li supera persino nel ridicolo.
Di fronte all’eccezionale genocidio di cui è stata vittima la popolazione di Gaza (ci sono pochi dubbi sul fatto che il numero totale dei morti, compresi quelli che sono deceduti a causa delle condizioni create dall’invasione, superi le duecentomila unità, per non parlare del numero di coloro che sono stati colpiti da ogni tipo di lesione fisica e psicologica permanente, che è certamente maggiore); della rioccupazione della Striscia da parte dell’esercito sionista dopo quasi vent’anni dal suo ritiro, permettendo così l’auto-amministrazione di Gaza; della sua distruzione in un modo che la storia non ha mai visto su tale scala dalla Seconda Guerra Mondiale; la distruzione dell’ambiente e di altri requisiti di vita; il rilascio di centinaia di detenuti nelle carceri israeliane che coincide con l’arresto o il riarresto di migliaia di persone; e l’escalation dell’attacco fascista da parte del governo sionista e dei coloni in Cisgiordania e la loro strisciante annessione. Di fronte a questa enorme catastrofe, per chiunque affermare che ciò che è accaduto è una vittoria per il popolo palestinese che lo ha portato “più vicino alla fine dell’occupazione, alla liberazione e al ritorno” è oltremodo insensato, una manifestazione di mancanza di vergogna e di decenza.
È probabile che Trump ritorni al “Deal of the Century” che il genero sionista aveva formulato durante il suo primo mandato presidenziale e che la stessa Autorità Palestinese con sede a Ramallah aveva respinto per la sua grande ingiustizia nei confronti dei diritti dei palestinesi. Una formula simile relativa a Gaza si sta preparando per essere aggiunta al “patto” con l’aiuto degli Emirati Arabi Uniti, che si stanno preparando a inviare truppe nella Striscia per sostenere il ruolo di Mohammed Dahlan come supervisore [Dahlan è un ex capo di uno dei servizi di sicurezza dell’OLP e il principale organizzatore del tentativo fallito di sopprimere Hamas a Gaza nel 2007, sostenuto dall’amministrazione statunitense di George W. Bush. È finito in esilio negli Emirati Arabi Uniti]. Per quanto riguarda l’obiettivo di Trump, si tratta di completare la liquidazione della causa palestinese per aprire la strada a una normalizzazione completa tra lo Stato sionista e i restanti Stati arabi, primo fra tutti il regno saudita, e per massimizzare i suoi interessi personali e familiari in veri e propri “affari del secolo” nel settore immobiliare e finanziario con i Paesi petroliferi arabi.
*Traduzione inglese dall’originale arabo pubblicato da Al-Quds al-Arabi il 21 gennaio 2025, di Gilbert Achcar. Versione italiana a cura della redazione di Rproject.it. Qui il testo originale tratto da: www.gilbert-achcar.net.