La maggioranza del Gran Consiglio, respingendo una mozione del 2018 dell’MPS (già questo dimostra quanto questi temi stiano a cuore alla maggioranza del Parlamento ticinese!), pensa che la pubblicità sessista non sia un problema e che quindi non sia necessario adottare una base legate affinché il Cantone possa intervenire per combatterla. Nulla di sorprendente, ma la conferma di quanto sia ancora lunga la lotta contro le discriminazioni e la violenza di genere e contro tutto quanto le rafforzi.
Pubblichiamo l’intervento dell’MPS nel corso della discussione in Gran Consiglio. (Red)
Nella nostra società esistono e persistono forme di discriminazione contro le donne in moltissimi ambiti e contesti. Queste discriminazioni trovano fondamento negli stereotipi costruiti sul genere femminile, diffusi e rafforzati dai processi di socializzazione e dalla cultura sessista e omofoba. La pubblicità gioca un ruolo fondamentale in questo ambito, contribuendo a diffondere modelli femminili stereotipati.
La pubblicità sessista non riguarda solo i corpi nudi o provocanti oggetto del desiderio maschile, ma riduce le donne a pochi ricorrenti e impoveriti stereotipi: le donne pubblicitarie sorridenti con la zuppiera o il detersivo in mano sono tanto uguali tra loro e misere quanto le donne pubblicitarie sexy e seminude. Sono tutte fatte con lo stampino. In generale, le donne sono spesso rappresentate in modo degradante, ridotte a meri oggetti di consumo. Questa pratica non solo perpetua stereotipi dannosi, ma legittima anche una cultura di discriminazione e violenza.
Quante volte vediamo nelle pubblicità donne semi-nude posare accanto a macchine di lusso, suggerendo che il valore del veicolo è accresciuto dalla presenza di un corpo femminile attraente? Quante volte nelle pubblicità dei prodotti di pulizia vengono rappresentate le donne come uniche responsabili delle faccende domestiche, perpetuando lo stereotipo che il lavoro domestico sia esclusivamente un compito femminile? Quante volte le campagne di moda utilizzano immagini di donne in pose sottomesse o vulnerabili, talvolta con allusioni alla violenza o donne con corpi magrissimi e praticamente perfetti?
Spesso, le campagne pubblicitarie veicolano inoltre l’idea che la famiglia tradizionale e l’amore eterosessuale siano l’unica normalità, escludendo e marginalizzando le famiglie e le relazioni LGBTQ+. Questo tipo di rappresentazione non solo perpetua stereotipi omofobi, ma contribuisce anche a creare un ambiente ostile per le persone LGBTQ+, che non vedono riflessa la loro realtà nelle immagini pubblicitarie.
Attualmente, le possibilità di intervento contro queste pubblicità sono quasi inesistenti. La Commissione svizzera per la lealtà, l’unico organismo di autocontrollo disponibile, non dispone di alcun potere sanzionatorio e si è dimostrata inefficace nel disincentivare tali campagne. È evidente che i meccanismi attuali non sono sufficienti per combattere il sessismo nelle pubblicità.
Sappiamo bene quanto sia potente la pubblicità nel plasmare la cultura e le rappresentazioni sociali. Chiedere che un certo tipo di rappresentazione del corpo e della vita delle donne sia vietato significa gettare un piccolo seme per promuovere una cultura del rispetto e dell’accettazione delle differenze in tutti i campi. È significativo che proprio sulla questione della pubblicità sessista ci sia la maggiore resistenza a intervenire con convinzione. Si fa veramente fatica a comprendere come la lotta al sessismo e all’omofobia sia fondamentale e spesso chi si pone come obiettivo quello di mettere delle regole e impedire la diffusione di certe pratiche viene etichettato come moralista o bacchettone. Ma non si tratta di questo, si tratta invece di capire come il sessismo e l’omofobia, alla stessa stregua del razzismo o della xenofobia, siano elementi da combattere per promuovere il rispetto e le pari opportunità.
Non capire l’importanza di questa battaglia porta ad accettare senza colpo ferire che due falli giganti vengano scambiati per gonfiabili da piscina, che si banalizzino episodi di molestie e di violenza come semplici scherzi o battute, che si consideri normale poter commentare ad alta voce il corpo delle donne o, peggio ancora, che si possano giustificare comportamenti violenti nei confronti delle donne perché queste non si sono difese, erano ubriache o vestite in modo provocante.
Non basterà certo vietare la pubblicità sessista per evitare la diffusione di stereotipi di genere o per combattere la violenza contro le donne e le persone LGBTQ+, ma credo che soprattutto in questo momento sia importante dare un segnale chiaro contro la diffusione di un certo tipo di messaggi. Misure di questo tipo sono del resto già presenti in altri cantoni della Svizzera e di certo non hanno minato la libertà di espressione e la creatività, ma hanno sicuramente contribuito a evitare l’esibizione di certi scempi e la diffusione di una cultura inclusiva e rispettosa delle diversità. Sarebbe importante che anche il nostro cantone dia un segnale chiaro in questa direzione.