Con la risposta all’interpellanza n° 1445, il Municipio di Lugano si è nuovamente espresso sul centro balneare di Carona. La presa di posizione dell’esecutivo offre spunti per sviluppare alcune considerazioni e ribadire concetti già espressi in precedenza. E questo malgrado la mancanza di chiarezza manifestata dalla risposta all’interpellanza.
Ribadita la politica del ricatto politico
Nel Messaggio municipale n°10415 del 3 ottobre 2019, l’esecutivo considerava «esclusa la variante della chiusura, considerando l’importanza storica del centro per il quartiere di Carona e per la sua peculiarità quale polo turistico, ricreativo e sportivo rispettoso e armonioso con l’ambiente e il territorio che lo contraddistingue» (p. 3). Quattro anni dopo, la linea è cambiata diametralmente, trasformandosi in un puro e sordido ricatto politico: se le opposizioni alla variante del Piano regolatore non saranno ritirate, il centro balneare rimarrà chiuso.
Di riflesso, l’unica possibilità di mantenere l’apertura del centro balneare è di togliere qualsiasi ostacolo alla sua privatizzazione, al progetto di forte impatto paesaggistico e ambientale finanziato dalla Città di Lugano con 12 milioni e con 6 milioni dal Touring Club Svizzero. Il Municipio lo afferma senza vergogna nella risposta all’interpellanza: senza modifica del Piano regolatore, quindi qualora i ricorsi fossero accolti oppure non ritirati, «si deve giocoforza ipotizzare una chiusura definitiva dell’intero comparto». Nessuno quindi si faccia illusioni su possibili alternative: o si realizza il progetto di grampling oppure sparirà un altro servizio pubblico sul territorio della Grande Lugano.
È chiaro che, a questo punto, non esistono scorciatoie o compromessi politici: senza una mobilitazione sociale all’altezza non ci sarà nessuna riapertura della piscina di Carona, nell’immediato così come a lungo termine.
Il gioco delle cifre
Per il Municipio gli interventi urgenti per garantire l’accesso del centro balneare anche nel 2025 sono ingiustificabili. In sostanza, sembra di capire che gli investimenti tecnici ammonterebbero a 500’000 franchi, più 245’000 franchi per i costi del personale. Soldi sprecati secondo l’esecutivo luganese.
In parte, forse, lo sono, se si ragiona nella logica di impattare la zona naturale della piscina di Carona con il progetto di grampling da 18 milioni complessivi. Ma la cosa ha un aspetto del tutto diverso se si ragiona nella logica di conservare l’esistente, ossia il centro nella sua forma attuale, attraverso un intervento di recupero, di ristrutturazione straordinaria. Appare evidente che negli anni scorsi il Municipio di Lugano ha portato avanti una politica di obsolescenza programmata del centro balneare. Dal 2013 al 2024, sono stati garantiti solo gli interventi correnti di manutenzione leggera, unitamente ad alcuni interventi d’urgenza. Ma non è mai entrata in considerazione l’ipotesi di ristrutturare profondamente tutta l’impiantistica e le strutture annesse.
Eppure questa scelta costerebbe meno dal punto di vista finanziario e permetterebbe di continuare a rispettare il Piano regolatore che considera la zona dove sorge il centro balneare d’interesse esclusivamente pubblico, carattere che verrebbe meno regalando una cospicua porzione di territorio al TCS. Secondo le indicazioni approssimative sparse qua e là nei differenti messaggi municipali, l’investimento per il risanamento integrale delle piscine e delle relative condotte ammonta a circa 2 milioni di franchi (Messaggio municipale n°10415 del 3 ottobre 2019, p. 4). Se poi si volesse procedere al rifacimento delle infrastrutture non balneari, l’investimento crescerebbe di altri 4 milioni di franchi (2,5 per l’edificio principale, 0,5 per il ristorante-pizzeria, 0,5 per la sala multiuso, 0,5 per la sistemazione esterna), per un totale di 6 milioni di franchi Un’altra valutazione, presentata nel 2023, indica in 9,6 milioni la spesa complessiva. Evidente a questo punto il “gioco delle cifre” per escludere l’opzione pubblica a favore della privatizzazione.
Per il Municipio di Lugano la seconda è l’unica praticabile anche perché permetterebbe di recuperare circa 120’000 franchi all’anno dal TCS (diritto di superficie, tasse di pernottamento, microscopico contributo alla manutenzione), riducendo così il deficit strutturale del centro balneare.
Il servizio pubblico non si giudica esclusivamente in funzione dei costi
In assenza di dati precisi e oggettivi, la discussione sulle differenze tra un’opzione e l’altra rischia, il dibattito politico rischia di deviare dal punto essenziale: la difesa di un servizio pubblico contro la privatizzazione di un bene comune.
Il Municipio di Lugano per difendere la sua decisione di alienare per almeno 40 anni un bene comune, oltre che ricorrere al ricatto politico, invoca l’insostenibilità del deficit causato dal centro balneare di Carona. L’esecutivo agisce abilmente contrapponendo i deficit generati dalla gestione pubblica alla salvezza del centro legata alla privatizzazione, unica soluzione per riportare in attivo l’attività della struttura di Carona.
Anche sorvolando sulla questione che non vi è nessuna garanzia che il centro balneare privatizzato non produrrà più perdite per la città di Lugano, la questione di fondo resta quella, fondamentale, di un servizio pubblico in grado di rispondere a bisogni sociali la cui soddisfazione non deve dipendere dal fatto di generare o meno dei costi finanziari.
Nessuno vuole, evidentemente, incentivare gli sprechi finanziari, ma, semplicemente, anteporre i bisogni sociali alla sola logica dei costi d’esercizio. Garantire la salvaguardia di una piscina pubblica in un contesto contraddistinto dall’accelerazione della crisi climatica e dal conseguente surriscaldamento significa mantenere il controllo su un bene collettivo che non può sottostare alle logiche del profitto connaturato alla privatizzazione.
In questo senso non si capisce perché i deficit del centro balneare di Carona siano così insopportabili da spingere il Municipio di Lugano a decretarne la chiusura nella sua veste pubblica. Se così fosse, non si capisce perché il Lido di Lugano, il lido San Domenico, il Lido Riva Caccia e la piscina coperta comunale non vengano chiusi alla stregua di quanto deciso per Carona. I consuntivi della Città di Lugano indicano chiaramente, almeno fino a quando sono state fornite le cifre disgregate, che tutti gli stabilimenti sono in deficit.
Per esempio, dal 2002 al 2012, il Lido di Lugano ha registrato una perdita media del 43,91%, pari a una media annua di 901’146 franchi. Per i Lidi di San Domenico e Riva Caccia, il deficit medio annuo è del 53,53%, ossia 92’003 franchi. Infine, la piscina coperta comunale ha generato, dal 2002 al 2012, una perdita media annua del 55,52%, ovvero di 604’608 franchi. Il grafico che segue riscostruisce la situazione dell’insieme degli stabilimenti balneari sotto il controllo della città di Lugano.

Ebbene, in 22 anni la perdita media è stata del 51,53%, pari a una media annua di 2’006’506 franchi. Due osservazioni. Fortunatamente davanti a queste cifre, le autorità politiche cittadine non hanno scelto di chiudere queste infrastrutture pubbliche, né tantomeno di proporne la privatizzazione quale risposta alla loro situazione finanziaria. Le perdite sono state assunte perché si tratta di un servizio pubblico che risponde a bisogni sociali reali e importanti. Perché allora il centro balneare di Carona deve essere chiuso, se i ricorsi dovessero bocciare il progetto di “glamour camping”? Probabilmente si tratta di un “esperimento politico” che potrebbe fungere da battistrada per la privatizzazione di altri stabilimenti balneari pubblici.
Indipendentemente dalle ipotesi che si possono avanzare, la chiusura di Carona significa la soppressione di un servizio pubblico di una zona periferica della “Grande Lugano”, un segnale non confortante derivante dal processo di aggregazione. L’esecutivo luganese replicherà che l’alternativa alla chiusura esiste e si tratta del piano di rilancio attraverso il “glamour camping”. Una logica da rifiutare. Non sono opzioni equivalenti: da una parte si rivendica il mantenimento di un centro balneare pubblico, di proprietà e controllato dalla collettività, compatibile, non invasivo rispetto all’ambiente nel quale è inserito. Dall’altra, si propone la privatizzazione di questo complesso, ciò che significa l’alienazione di un patrimonio pubblico per almeno quarant’anni, con la conseguente perdita del controllo diretto da parte della popolazione, sacrificandolo sull’altare del profitto, intervenendo in maniera importante dal punto di vista ambientale e paesaggistico. Due opzioni dunque diametralmente opposte.
Cosa fare davanti al ricatto politico del Municipio di Lugano?
Lugano è la città degli investimenti milionari. A fine 2028, la popolazione contribuente luganese si troverà confrontata a impegni finanziari di 410 milioni di franchi, generati da investimenti diretti netti e impegni finanziari derivanti dal PSE. Appare perciò inaccettabile che a fronte di questi impegni multimilionari, la maggioranza dei quali frutto di scelte dubbie e in contrasto con i bisogni sociali della stragrande maggioranza degli e delle abitanti, venga sacrificato un servizio pubblico che in futuro diventerà sempre più importante. Non sarà il deficit annuale di 300’000 franchi della piscina di Carona a costituire un problema per le finanze e le imposte della “Grande Lugano”.
La battaglia da condurre è quella per la difesa di un servizio pubblico, non solo per la popolazione di Carona ma per tutta quella del Luganese (e anche oltre). Fissata questa premessa fondamentale, non bisogna assolutamente ritirare i ricorsi pendenti, questo per bloccare il progetto di privatizzazione del Municipio di Lugano. Qualora i tribunali dovessero dare ragione ai ricorrenti, si tratterà di organizzare la mobilitazione popolare per esigere la riapertura dal centro balneare di Carona e il suo completo risanamento in chiave di rilancio del servizio pubblico. Invece, se i ricorsi dovessero essere respinti anche in ultima istanza, c’è sempre la possibilità del referendum popolare. Dopo l’esperienza del PSE, non è assolutamente scontato che la popolazione di Lugano accetti un’altra operazione finanziaria scriteriata come quella proposta dall’esecutivo.
Ma se nonostante la mobilitazione sociale, il Municipio non dovesse retrocedere e riaprire la piscina, non è meglio accettare il progetto “glamour camping” piuttosto di perdere questa infrastruttura balneare? Noi pensiamo che sia necessario resistere al ricatto politico. In gioco c’è la sopravvivenza di un servizio pubblico anche sul lungo termine, ma pure la salvaguardia di un territorio privilegiato dal punto di vista paesaggistico e ambientale, protetto e riconosciuto come tale dall’Inventario federale dei paesaggi, siti e monumenti naturali d’importanza nazionale (IFP).
Aprire all’opzione della privatizzazione significa perdere il controllo su questo patrimonio pubblico di rilevante importanza per quasi mezzo secolo, senza contare i potenziali danni ambientali. Piuttosto che piagarsi a questo scenario è meglio difendere una “posizione di conservazione”, “attendista”, pronti a cogliere l’occasione per imporre nuovamente l’apertura del servizio balneare pubblico. La cricca in Municipio non è eterna, i rapporti di forza possono mutare. Il bene comune va preservato sul lungo termine.
* responsabile MPS per il Luganese