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Parte dall’Italia la riflessione di Fabrizio Burattini: ma esprime un’analisi e una prospettiva globali alle quali non possiamo che associarci in questo inizio di 2025. (Red)

Il bilancio del 2024 è terribile: un anno di genocidio in Palestina, la sanguinosa e criminale guerra di Putin in Ucraina, la morte e la disperazione delle altre decine di guerre dimenticate in giro per il mondo, le migliaia di migranti che continuano a morire nel Mediterraneo, le migliaia di licenziamenti nelle fabbriche italiane, la povertà che dilaga in un paese colpevolmente privato di ogni sussidio contro la miseria, i sempre più frequenti episodi di “malapolizia”, con il loro bagaglio di vittime per “eccesso di difesa”, le decine di suicidi nelle carceri, per non parlare della persistente inazione per tenere a bada i drammatici cambiamenti climatici, inazione basata su un criminale negazionismo e, soprattutto, sulla volontà di difendere ad ogni costo i profitti e la cosiddetta “crescita”.

L’aggressivo e trionfalistico blaterare della premier Giorgia Meloni serve solo a nascondere il bilancio catastrofico dei suoi due anni di governo di un’estrema destra che insiste a autodefinirsi “sociale”, nel disastro della sanità, dell’istruzione, dei trasporti, nella devastante erosione del potere d’acquisto delle famiglie a reddito fisso, nella crescita dell’ingiustizia fiscale, nel dilagare del precariato, nella crescita degli infortuni sempre più spesso mortali sul lavoro, nel taglio di tutte le spese sociali e nel contemporaneo aumento delle spese militari e di quelle per “grandi” opere finalizzate solo a favorire le “grandi” imprese, in un progetto sempre più esplicito di dura repressione di ogni tentativo di costruzione di movimenti di opposizione.

Le tanto analizzate divergenze nella maggioranza di governo in realtà sono solo espressione della gara tra i partner della coalizione di estrema destra a “chi è più cattivo”, a chi è più razzista.

Nel frattempo, a Bologna come a Brescia, come in altri luoghi, cresce l’attivismo dei gruppuscoli esplicitamente neofascisti, ben consapevoli del clima favorevole e complice costituito dal governo Meloni.

Per non parlare del bilancio dell’opposizione parlamentare, dentro la quale la concorrenza prevale sulla volontà di costruire una qualunque alternativa politica, sociale e democratica al governo di estrema destra. Mentre l’eredità e le conseguenze delle politiche neoliberali pesantemente praticate da tutti i governi di ogni colore degli ultimi decenni alimentano nell’opinione pubblica, nell’elettorato e nei quartieri popolari il discredito verso il PD, verso i 5 Stelle e, in generale, verso tutte le forze compromesse con le politiche antisociali del passato. E alimentano la crisi di credibilità della democrazia, della utilità dei valori costituzionali antifascisti, cosa che, in un tragico circuito perverso, contribuisce a mantenere il consenso verso la destra.

Altrettanto disastroso è il bilancio della “sinistra radicale”, sempre più compromessa da un lato per la sua subalternità al PD e dall’altro per la sua crisi valoriale. Una sinistra da anni malata di una sempre più inguaribile concorrenzialità gruppuscolare e da un “torcicollo” che la spinge a tenere lo sguardo rivolto all’indietro, verso un passato irripetibile, verso miti obsoleti, verso modelli inaccettabili e respingenti, che la induce a  una politica sempre più autoreferenziale e incapace di ricostruire l’insediamento sociale perduto. 

Il bilancio del passato, se condotto con serietà e con spirito critico e autocritico, serve a preparare le prospettive del futuro. Un futuro che altrimenti è destinato ad apparire particolarmente buio.

La vittoria di Trump di due mesi fa e il suo imminente insediamento nella “sala ovale” della Casa Bianca di Washington non costituiscono solo un ulteriore tassello della crescita mondiale dell’estrema destra, ma un salto di qualità di quella crescita. Potrebbe sembrare irriverente nei confronti delle vittime delle tragedie del secolo scorso, ma occorre essere consapevoli che l’anno che il mondo si appresta a vivere è gravido di una situazione la cui minacciosità potrebbe essere considerata senza precedenti negli ultimi 150 anni.

Il XX secolo è stato un secolo di guerre, di massacri ma anche un secolo di rivoluzioni e di straordinari fenomeni di liberazione, nel quale la terribile crescita dell’estrema destra fascista e nazista degli anni 20 e 30 conosceva decisivi contrappesi e elementi politici, sociali e culturali di determinante controtendenza, tra cui, soprattutto, l’esistenza di una sinistra degna di questo nome e di una speranza di trasformazione che coinvolgevano e mobilitavano centinaia di milioni di persone.

Oggi, a far fronte ad una crescita dell’estrema destra ancor più planetaria di allora, e alle devastanti conseguenze umane, sociali e ambientali che quella crescita lascia presagire, si contrappone una sinistra esile e del tutto inadeguata, del tutto sprovvista degli strumenti analitici e programmatici necessari. 

Il nostro augurio e le nostre speranze per l’anno appena iniziato sono semplici anche se possono sembrare fortemente velleitari. Auspichiamo che si formi un grande movimento sociale che spazzi via il governo Meloni e le sue politiche, che emargini l’estrema destra e ricrei speranza nelle classi lavoratrici, che finiscano, in Palestina, in Ucraina o altrove, le guerre, guerreggiate o finanziate dalle grandi potenze imperialiste e colonialiste, come Israele, Stati Uniti o Russia, e che i popoli costruiscano pacificamente la loro autodeterminazione.

Ma com’è evidente, per dei materialisti come noi, gli auspici e le speranze debbono necessariamente tradursi in azione politica e sociale. E, d’altra parte le masse, seppure in maniera scoordinata, continuano a lottare e a esprimere insofferenza per questo sistema, anche se la sinistra, a causa della perdita del proprio radicamento, troppo spesso assiste a queste lotte dall’esterno.

Per questo dobbiamo batterci perché, nel quadro della massima unità della “sinistra che c’è”, cominci a delinearsi la “sinistra di cui c’è bisogno”, una sinistra in grado di ricostruire un’utopia capace di animare migliaia e poi milioni di donne, di giovani, di persone, un’utopia che non abbia nulla a che fare con i miti della “Cina comunista”, della “Russia antimperialista”, o di Bashar al-Assad come “campione della resistenza al sionismo”, né che riponga le sue speranze su autocrazie come l’India, l’Egitto o l’Iran che infestano i BRICS, una sinistra capace di essere presente e radicata nei quartieri popolari, nelle fabbriche, tra i “dannati della terra”. Una sinistra che non sia angosciata dai risultati elettorali né tantomeno dall’ossessione di voler “governare” il capitalismo in crisi, ma che sia capace di lavorare, dal basso, per costruire grandi lotte che lo rovescino.

Ecco, i nostri auspici, i nostri auguri e le nostre speranze potranno diventare prospettive solo se quest’anno questa sarà la sfida.

*apparso su refrattario e controcorrente il 3 gennaio 2025