Per una campagna contro il riarmo, guerre e imperialismi

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Pubblichiamo questo testo dei compagni e delle compagne di Sinistra Anticapitalista. Il contenuto dell’appello è di grande attualità anche per un paese come la Svizzera, non direttamente collegato alle decisioni dell’Unione Europea; ma le cui decisioni in materia di riarmo sono per così dire “organiche” a quelle dell’UE e della NATO. Anzi, possiamo dire che, in anticipo sui tempi come sempre, la borghesia e i suoi partiti in Svizzera hanno premuto l’acceleratore del riarmo ancor prima dei loro colleghi europei, rilanciando il tema allo scoppiare della guerra in Ucraina. La battaglia di chi si batte contro il riarmo in Europa è quindi una battaglia che coinvolge tutte e tutti noi. (Red)

Stiamo entrando in una nuova era. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca è talmente dirompente che sta comportando la crisi storica delle relazioni transatlantiche così come si erano costituite dopo la Seconda guerra mondiale. La nuova amministrazione repubblicana e reazionaria punta a sfruttare la nuova situazione di “caos geopolitico” per rilanciare il ruolo degli Stati Uniti d’America attraverso una svolta autoritaria, basata sull’alleanza con i grandi capitalisti dell’Hi-tech come Elon Musk, e attraverso una nuova politica estere che pone al centro l’interesse nazionale imperialista. 

Di fronte a questo contesto inedito, i Capi di Stato europei stanno imprimendo un’accelerazione alla loro corsa al riarmo. La Von der Leyen ha promesso 800 miliardi per l’UE, la Germania ha annunciato un piano titanico da 900 miliardi di euro, in Francia si prevede un massiccio aumento del bilancio dell’esercito francese, che dovrebbe raggiungere almeno i 90 miliardi l’anno, mentre nel nostro paese la spesa prevista di 32 miliardi accrescerà esponenzialmente. 

Il crescente militarismo viene giustificato dalla propaganda bellica contro la “minaccia russa ‘ e dalla retorica sui ’ valori europei ‘ e sulla ’ democrazia”. La realtà è ben diversa. Criticando la brutalità di Trump, le potenze europee, che sostengono il genocidio a Gaza, si muovono con la stessa logica imperialista del leader americano, ovvero si preparano a difendere i loro interessi e quelli delle loro aziende con le armi e i cannoni. 

Militarismo, nazionalismi e ascesa dell’estrema destra reazionaria

Questa inarrestabile corsa agli armamenti sta preparando la strada al disastro per le classi lavoratrici, i giovani, l’ambiente. Per finanziare il riarmo e imporre la loro agenda militarista, i governi dell’Ue si stanno preparando ad attacchi sempre più brutali contro le condizioni di vita delle classi sfruttate, a derubricare le politiche a difesa dell’ambiente e a colpire i diritti democratici.

Ed è proprio, in questo contesto, che l’estrema destra reazionaria avanza e, laddove non vince, condiziona sempre più pesantemente le classi dirigenti borghesi, negli Stati Uniti come in Italia, in Israele come in Argentina, in Russia come in Turchia, in Ungheria come in India, in Francia come in Germania. È un’estrema destra che non nasconde la sua “volontà di potenza”, che fa spregio persino delle forme tipiche delle democrazie liberali “borghesi” e che fa dell’autoritarismo e della centralità del capo il fulcro della sua politica. È un’ estrema destra che è sempre più corteggiata da vasti settori della borghesi, perché la ritiene una soluzione politico-ideologica valida in grado di controllare i movimenti di massa con il pugno di ferro, imporre aggiustamenti ed espropri brutali con lo scopo di recuperare il profitto.

L’aggressiva retorica imperialista di Trump, che punta alla conquista della Groenlandia, alla ripresa del canale di Panama e all’annessione del Canada va interpretata all’interno di questo riorientamento, anche se fa riferimento ad alcuni tratti storici dell’imperialismo classico statunitense come la Dottrina Monroe o le storiche presidenze repubblicane come quella di William McKinley, caratterizzata dal protezionismo e dall’espansione territoriale statunitense (Porto Rico, Filippine…). La grande differenza è che l’espansione imperialista di McKinley coincideva con il momento di ascesa della potenza statunitense, mentre le minacce di Trump sono un certo riconoscimento dei limiti della potenza statunitense e avvengono in un contesto di declino. L’ascesa di Trump è, infatti, il sintomo di una nuova situazione internazionale, in cui si assiste all’emergere della Cina come potenza concorrente, sempre più orientata ad un’alleanza con la Russia, così come all’ di medie potenze come la Turchia e altri paesi del “Sud globale” che puntano ad influenzare le dinamiche regionali in base ai propri interessi e che non costituiscono affatto una reale alternativa politica e sociale come affermano sconsideratamente alcuni settori della sinistra radicale italiana ed europea.  La lotta all’estrema destra non può cha assumere un profilo internazionalista, antimilitarista e solidale.

Balzo storico del militarismo europeo 

La conseguenza di questa crisi è un salto imponente nel militarismo dei governi imperialisti europei, una svolta che era già iniziata prima della guerra ucraina ma che si approfondirà ulteriormente. Con la giustificazione dell’“autonomia sovrana”, della “difesa dell’Ucraina” e della fantasia di un’invasione da parte dell’“imperialismo russo” e del “nazismo di Putin”, le potenze europee si preparano a intraprendere una nuova corsa al riarmo con il sostegno entusiasta di conservatori, socialdemocratici, verdi, “atlantisti” e estremisti di destra.

Governi, imprese, giornalisti e media ripetono all’unisono slogan guerrafondai che ricordano i turbolenti inizi del XX secolo.  Occorre difendere l’Europa, i suoi valori, rilanciare l’industria militare, educare nelle scuole all’ “amor di patria” e costruire nuove leve necessarie all’ampliamento degli eserciti e magari riportare il servizio militare obbligatorio. Gli Scurati, i Serra ai quali si è accodata la principale forza dell’opposizione, il Partito democratico, strillano a gran voce che l’Europa è in pericolo, è sola in un mondo ostile e deve riarmarsi. È tutta colpa di Trump e Putin, per cui gli Stati Uniti hanno abbandonato l’Europa e la Russia ha ambizioni espansionistiche. 

Eppure, il militarismo dell’Unione europea precede la guerra in Ucraina. 

Negli anni ’70 del secolo scorso Ernest Mandel poneva nel suo fondamentale libro, il Tardo capitalismo, mai pubblicato in italiano, l’accento sulla necessità di indagare l’”economia del riarmamento permanente. Così scriveva: “dagli anni Trenta, la produzione d’armi gioca un ruolo sempre più crescente nell’economia imperialista. Non c’è l’ombra di alcune segnale che annunci la fine di questa tendenza. Essa costituisce una delle caratteristiche della terza età del capitalismo che occorre spiegare a partire del processo di sviluppo socioeconomico di questo stesso modo di produzione” [Ernest Mandel, Le troisième âge du capitalisme].

L’economia del riarmamento permanente non è affatto terminata, anche in Europa. Il piano ReArm Europe non nasce come un fungo nella foresta. Senza dubbio, all’inizio del suo processo di costruzione, l’assenza di una politica di difesa comune ha favorito, inizialmente, l’immagine di un Ue come spazio pacifico, privo di pulsioni militariste che appartenevano, al contrario, agli Stati-nazione. Tuttavia, la militarizzazione dei paesi dell’Ue è cominciata ben prima dell’invasione in Ucraina della Russia nel febbraio del 2022, a partire dal 2010. All’interno dei paesi Nato, infatti, le spese militari in gran parte europei, sono passate dai 162 miliardi di euro del 2014 ai 214 miliardi di euro nel 2022, un aumento vertiginoso del 32% [fonte: European Defence Agency, Eda, dicembre 2022]. 

L’aumento delle spese militari è stato rapidissimo soprattutto nei paesi baltici e nei paesi dell’Europa centrale e orientale (Slovacchi, Ungheria, Romania, Polonia), mentre alcuni paesi concentrano la gran parte delle spese militari dell’Ue: la Germania, La Francia, l’Italia, la Polonia e i Paesi Bassi). Questi paesi rappresentano insieme il 70% delle spese militari di tutta l’Ue [Germania: 23,4 – Francia: 20,9 – Italia: 12,1 – Polonia: 6,6 – Paesi Bassi: 6,2]. Per quanto riguarda le armi sofisticate, la fa da padrona la Francia con il 71% della produzione europea, seguita dalla Germania con il 22%.  

Il piano ReArm Europe

La Commissione europea (con l’eccezione del presidente ungherese, il “trumpista” Victor Orbán) lo ha approvato il piano “Rearm Europe” del valore di 800 miliardi di euro, esentando le spese militari degli Stati dal limite di deficit del 3% del PIL (l’impegno di austerità stabilito nel Patto di stabilità e crescita). Il piano prevede anche prestiti collettivi fino a 150 miliardi di euro per gli investimenti militari degli Stati membri, aprendo il finanziamento militare agli investimenti privati, tra le altre misure.

In Germania, il futuro governo di coalizione tra i conservatori (CDU) e i socialdemocratici (SPD) guidato da F. Merz ha annunciato un piano di riarmo monumentale approvato dal Bundestag e dal Bundesrat- “difesa a tutti i costi” – che comporta modifiche costituzionali per lo sblocco del tetto del debito e lo stanziamento di fondi per miliardi di euro per la difesa. Nel Bundesrat il piano è stato approvato anche dalla maggioranza dei membri della Camera alta di Die Linke, suscitando molte polemiche. 

Il governo Meloni, che ondeggia tra Trump e la Von der Leyen, sembra prudente. In realtà, l’estrema destra nostrana sta portando avanti una sua specifica proposta nel dibattito sul piano di riarmo: europeo che prevede di stanziare fondi pubblici europei a garanzia degli investimenti privati nel settore della difesa e dell’innovazione tecnologica. Si tratta di una proposta integrativa che aggiungerebbe un nuovo strumento a quelli già previsti dal piano ReArm Europe definito da Ursula von der Leyen con lo scopo di favorire maggiori investimenti delle aziende europee nel settore militare.

L’Italia, d’altro canto, è già in piena corsa verso il riarmo. Ricordiamo, infatti, che nel 2025 la spesa militare sarà̀ di 32 miliardi, di cui 13 solo per le armi!

Un nuovo ciclo delle politiche di austerità e rilancio dell’imperialismo europeo

Il riarmo e l’incremento dell’industria e del commercio degli armamenti nell’UE mirano ad aumentare il PIL degli Stati membri e a ripristinare il tasso di profitto per le imprese e gli investitori. Questo riarmo va di pari passo, e non può essere altrimenti, con il rafforzamento di nuove politiche di indebitamento che preludono a medio termine a un nuovo ciclo di austerità, generando un immaginario collettivo di un’Europa minacciata che deve rispondere secondo i vecchi parametri di “unità patriottica”. L’UE – e con essa il nostro governo “progressista” che si allinea alla destra rappresentata da Von der Leyen, Macron, Merz o Mark Rutte – risponde ai problemi con la stessa logica imperialista di Stati Uniti, Cina o Russia. Come scrive l’economista Brancaccio “nel momento in cui la crisi del debito forza l’impero americano a ridimensionare l’area d’influenza e a caricare di dazi anche i vassalli, il problema delle diplomazie europee diventa uno solo: progettare un imperialismo autonomo, in grado di accompagnare la proiezione del capitalismo europeo verso l’esterno con una potenza militare autonoma” [Il Manifesto, 13 marzo 2025]

Le imprese militari sono e saranno, ovviamente, le principali beneficiarie dell’aumento delle spese militari Sono quelle industrie degli armamenti, concentrate in un piccolo numero di Stati membri, che hanno sempre più influenza nel delineare le scelte strategiche della Commissione. 

Esse si trovano, infatti, in Francia, Germania e Italia ed il loro giro d’affari non è affatto trascurabile. Secondo le fonti Sipri (Stockholm International Peace Research Institute], se i gruppi americani rappresentano il 50% delle vendite totali delle prime 100 aziende del mondo, i gruppi europei contano il 14% e i gruppi britannici il 7%.  Tra le aziende europee, quella che fa più affari è la Leonardo, mentre la seconda è Airbus, azienda franco-tedesca. Questo manipoli di pochi grandi gruppi europei dominano la produzione e gli ordini pubblici negli Stati membri e influenza la strategia della Commissione.  Claude Serfati sottolinea che “Il sostegno dei principali gruppi europei da parte dei governi nazionali ha permesso loro di creare potenti canali di influenza a livello comunitario (Commissione, Parlamento europeo, ecc.). Dagli anni 2000, i responsabili dei principali gruppi europei di difesa sono presenti nei gruppi di lavoro istituiti dalla Commissione. Negli ultimi anni, l’attività di lobby nei confronti della Commissione e del Parlamento è aumentata notevolmente di pari passo con la militarizzazione dell’UE, anche se i gruppi di difesa europei non sono stati in grado di influenzare la Commissione”. [Claude Serfati, Un monde en guerres, Textuel, pag. 180].

Se, quindi, permangono forti contrasti e contraddizioni tra i diversi paesi europei, la guerra e le crisi spingono l’Ue ad una maggiore integrazione sul piano militare sulla spinta delle imprese militari.

Con la svolta in corso impressa da Donald Trump la spinta agli armamenti è, quindi, inevitabile e deve preoccuparci nel momento in cui nel corso della storia tutte le corse agli armamenti in Europa sono finite in tragedie e massacri. Questa corsa agli armamenti sarà finanziato attaccando le conquiste sociali e con la liquidazione di ciò che resta dello Stato sociale. Comporterà anche tagli ai diritti democratici e politiche costose per l’estrema destra, come la reintroduzione del servizio militare obbligatorio in alcuni Paesi, che potrebbero, nel complesso, riattivare le lotte contro i tagli e gli attacchi alle condizioni di vita e ai movimenti contro la guerra.

L’Europa fortezza e securitaria come parte del processo di militarizzazione

Le misure repressive contro i migranti sono parte costitutiva del processo di militarizzazione in corso. Non a caso, esse sono cresciute esponenzialmente nel corso degli ultimi anni. In una ventina di anni i finanziamenti dell’Ue ai paesi dell’altra sponda del Mediterraneo volte all’esternalizzazione del controllo e della gestione dei flussi migratori ha raggiunto più di 130 miliardi di Euro. Nel 2021  Frontex, l’agenzia incaricata di controllare i flussi migratori nel Mediterraneo, ha ricevuto finanziamenti senza precedenti pari a 5,6 miliardi di euro  che saranno coperti nel periodo 2021-2027 con un aumento del 194% rispetto al precedente ciclo di bilancio. Questi finanziamenti prevedono l’acquisto di nuove armi “letali e non letali”. Sarà difficile distinguere le prime dalle seconde.

È così che la politica migratoria getta una luce molto più realistica sul comportamento dei Paesi europei rispetto alle dichiarazioni dei loro leader sui “valori democratici” su cui si baserebbe l’integrazione europea.

Il vero volto dell’Unione Europea: l’Europa del Capitale, neocoloniale e razzista. 

Quale credibilità ha l’Unione Europea come bastione della democrazia dopo che non è stata in grado di smettere di commerciare armi con Israele mentre questo compie il genocidio del popolo palestinese? Che credibilità può avere la Francia che ha depredato e controllato l’economia di gran parte delle sue ex colonie? Che credibilità può avere l’Italia, mentre difende a spada tratta quei biechi torturatori che impediscono ai migranti di raggiungere le coste italiane?

Se l’imperialismo classico giustificava il suo intervento con la necessità di civilizzare gli altri popoli esportando i valori della cultura occidentale. L’imperialismo contemporaneo, a partire dalla guerra in Iraq del 1990, ha declamato l’imperativo umanitario per le sue operazioni militari, giustificandole così con l’obiettivo di rovesciare i governi dittatoriali.  

Con l’approfondirsi del caos geopolitico e con l’acuirsi dello scontro interimperialistico, questi obiettivi non sono scomparsi. Così oggi l’Unione Europea fonda la sua retorica guerrafondaia in nome della pace e della democrazia. Tutto ciò non è solo ripugnante, ma è anche profondamente funzionale a un progetto che vuole rafforza l’Europa del capitale, coloniale e razzista e alimenta lo slancio dell’estrema destra. Comunque siano finanziati, i piani di riarmo dell’UE andranno solo a beneficio dei grandi capitalisti, i mercanti di morte che si stanno già sfregando le mani per l’aumento del valore delle loro azioni. Comunque siano finanziati, i piani di riarmo saranno accompagnati da una limitazione dei diritti politici all’interno dei Paesi. 

Denunciare la falsa “pax trumpista”

Lottare contro la guerra, contro il militarismo e gli imperialisti significa denunciare anche la falsa pace proposta da Trump. Il rieletto presidente Usa ha cambiato radicalmente la posizione del proprio paese sulla guerra in Ucraina. Gli Stati Uniti sono passati dall’armare l’Ucraina e guidare gli alleati della NATO, all’aprire un negoziato bilaterale per il cessate il fuoco direttamente con Vladimir Putin, escludendo i suoi ex alleati – le potenze europee e lo stesso Zelensky – dai colloqui. 

Il messaggio trumpiano è categorico e piuttosto ricattatorio: o Zelensky (e i suoi alleati europei) accettano le condizioni negoziate da Putin per un cessate il fuoco, o gli Stati Uniti si ritirano. I negoziati sono in corso, anzi appena iniziati. Sebbene non si conoscano i dettagli del primo incontro tra Russia e Stati Uniti a Riad, qualsiasi accordo tra i due presuppone che l’Ucraina ammetta la sconfitta, il che implica come minimo l’accettazione della perdita del 20% del territorio occupato dai russi (le quattro regioni autonome del Donbass più la Crimea); e che si dichiari neutrale rinunciando alla sua pretesa di entrare nella NATO (e nell’UE). Putin, d’altro canto, ha posto tra le sue condizioni lo svolgimento di elezioni in Ucraina senza Zelensky, perorando la sua sostituzione con un governo favorevole al Cremlino.

Inoltre, Trump pretende che Zelensky firmi un accordo per lo sfruttamento di minerali e terre rare, in base al quale gli Stati Uniti si terrebbero metà di queste risorse, come compensazione per gli aiuti militari ricevuti. Va ricordato che fu lo stesso Zelenski a proporre per primo a Trump questa transazione praticamente coloniale, sperando di ottenere in cambio una garanzia di sicurezza dagli Stati Uniti, cosa che evidentemente non avverrà.

Il tempo sembra giocare a favore di Putin, che prima di accettare un cessate il fuoco cercherà sicuramente di consolidare e forse estendere i suoi progressi sul campo di battaglia, e di garantirsi alcune “linee rosse” per il Cremlino, tra cui la neutralità dell’Ucraina, che comprende la smilitarizzazione dello Stato ucraino, una zona cuscinetto e la sicurezza che non ci saranno truppe NATO.

Il destino dell’Ucraina, martoriato dai tre anni di conflitto, sta, quindi, diventando un bottino conteso da Stati Uniti e Russia, con le potenze europee che reclamano, per ora infelicemente, la loro parte. L’autodeterminazione del popolo ucraino non potrà passare affermarsi attraverso il falso piano di pace concordato da Trump e Putin, ma solo attraverso un vero cessate il fuoco che porti alla costituzione di veri colloqui in cui siano coinvolti tutti gli attori in campo, a partire dagli Ucraini.

Per una mobilitazione unitaria europea contro la militarizzazione in corso – Stop Rearm Europe!

Di fronte ai nuovi scenari, sempre più foschi, è più mai urgente spingere una mobilitazione unitaria europea contro la militarizzazione. Per questo aderiamo con ferma convinzione all’appello “Stop Rearm Europe – welfare, not warfare”, lanciato tra gli altri da Transform Europe, dal Transnational Institut, dall’Arci, da Attac Italia. 

Lo faremo da internazionalisti ed ecosocialisti portando al centro la battaglia contro questa Europa del Capitale, neocoloniale e imperialista, per un’altra Europa, quella necessaria ed indispensabile che vogliamo, un’Europa delle lavoratrici e dei lavoratori, solidale, pacifica e antirazzista, ponendo al centro l’’autodeterminazione dei popoli.

Proprio per questo, lo faremo, senza mai dimenticare la solidarietà anticoloniale con lotte come quella del popolo palestinese di fronte al genocidio sionista, perché sia riconosciuta l’autodeterminazione del popolo curdo e di Rojava. È evidente che la classe dominante non ha altro piano che accelerare le crisi aperte: un progetto basato sull’investimento in “mezzi di distruzione” della vita e del pianeta, per difendere gli interessi delle borghesie. Per questo pensiamo che sia necessario organizzare un confronto nell’ambito di un programma ecosocialista, che affronti i loro piani di riarmo e lotti a tutti i livelli contro l’Europa del capitale in una prospettiva di Stati uniti ecosocialisti di Europa come alternativa alla barbarie del presente.

Lo faremo perché siamo contro ogni imperialismo, contro la Nato degli Usa sia versione Biden che Trump, contro le borghesie europee militariste e guerrafondaie, così come contro Putin e il suo regime imperiale e zarista, tutti uniti ad utilizzare i loro strumenti oppressivi per mantenere le loro zone di dominio; come non abbiamo alcuna fiducia in altre potenze capitaliste emergenti.

*Sinistra Anticapitalista

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