Sotto la pressione dei mercati, Donald Trump ha rinunciato per 90 giorni ai dazi reciproci, ad eccezione di quelli verso la Cina. Il conflitto commerciale mondiale avviato dalla presidenza americana ha già fatto una prima vittima: i buoni del Tesoro statunitensi. Una minaccia per la stabilità finanziaria mondiale.
Ormai nelle mani dei robot e del trading ad alta frequenza, il 9 aprile i mercati finanziari hanno dato l’impressione di avere la memoria di un pesce rosso. Donald Trump aveva appena annunciato la sospensione per novanta giorni dei dazi doganali imposti a più di settanta paesi, ad eccezione della Cina, che subito un’euforia senza precedenti ha invaso i mercati. In pochi minuti, tutto è cambiato. I mercati azionari sono schizzati alle stelle in tutto il mondo. Le tracce del collasso del 2 aprile sembravano sul punto di essere completamente cancellate.
Tutto è dimenticato, vuole credere il presidente americano che, dopo la chiusura di Wall Street, si è congratulato per questo “meraviglioso mercato”. Il suo entourage si è affrettato a ripetere le stesse rassicuranti parole ai responsabili finanziari ed economici, immersi nel dubbio.
I messaggi di congratulazioni dei leader stranieri, a cominciare dall’Unione Europea (UE), che hanno accolto con favore la decisione di Donald Trump, non possono tuttavia mascherare la situazione. Il calo del 3% dell’S&P 500 e del Nasdaq all’apertura di Wall Street, il crollo del dollaro dell’1,50% rispetto all’euro, l’aumento dei rendimenti dei buoni del Tesoro USA ricordano la realtà: nulla è garantito.
“Il danno è fatto. Hanno aperto il vaso di Pandora e non possono cancellare ciò che è stato con una sola dichiarazione”, osserva uno stratega del gruppo Robeco. “I mercati non dimenticheranno facilmente questi episodi con movimenti erratici dei mercati”, afferma una nota di ING pubblicata giovedì.
Il conflitto commerciale lanciato contro la Cina continua con maggiore intensità, dopo che il Presidente degli Stati Uniti ha annunciato un nuovo aumento dei dazi doganali sulle importazioni cinesi, portati dal 104 al 125%.
La sospensione per tre mesi dei dazi doganali per gli altri paesi non significa la loro abolizione a lungo termine: con una giravolta alla quale ci ha ormai abituati, lo stesso pomeriggio il presidente americano aveva anche annunciato la sospensione per un mese dei dazi doganali al 25% nei confronti di Messico e Canada. Un mese dopo, questi sono stati applicati e rimangono in vigore.
Soprattutto, la nuova inversione di rotta di Donald Trump conferma “l’imprevedibilità americana”. In appena due mesi, la presidenza Trump ha scosso la fiducia negli Stati Uniti in misura inaspettata. Il danno è già considerevole. L’episodio dei dazi doganali ne ha ulteriormente accentuato la portata: il dollaro e i buoni del Tesoro USA, pilastri del sistema monetario e finanziario dal 1971, sono ora destabilizzati, con il rischio di provocare una nuova crisi finanziaria globale.
La fine del rifugio universale
Mentre tutti gli occhi erano puntati sui mercati azionari, le vere tensioni si sono concentrate altrove: sui buoni del Tesoro USA. Per decenni, il mercato del debito statunitense, il più importante e il più liquido al mondo, è servito da stabilizzatore e strumento di garanzia per l’intero sistema finanziario internazionale. In caso di dubbio, è il rifugio universale per eccellenza.
Ma questa volta è andato tutto storto. Negli ultimi giorni le borse sono crollate, ma anche i buoni del Tesoro statunitensi, provocando un aumento inaspettato dei tassi. Meccanicamente, il calo della domanda di un titolo obbligazionario si traduce in un aumento dei tassi di interesse ad esso collegati.
Ma al di là del movimento, è anche l’entità del cambiamento ad essere significativa: il mercato del debito statunitense ammonta a oltre 30’000 miliardi di dollari. È necessario un volume di scambi considerevole per farlo variare. In soli tre giorni, i tassi di interesse del debito a dieci anni sono passati dal 3,99% al 4,34%, cancellando nel contempo l’intera politica di allentamento monetario intrapresa dalla Federal Reserve degli Stati Uniti (Fed) negli ultimi diciotto mesi.
Bisogna risalire al momento dell’annuncio del Covid, nel marzo 2020, per trovare movimenti così bruschi. Presi dal panico per questa crisi sanitaria senza precedenti, gli investitori avevano liquidato tutte le loro posizioni, compresi i buoni del Tesoro, con l’obbiettivo di liberare liquidità. Le tensioni erano state così forti che la Fed era stata costretta a diventare l’acquirente di ultima istanza del debito americano, per evitare una strage tra gli investimenti di fondi hedge fund minacciati di soffocamento.
Il ruolo della deregolamentazione finanziaria
Tutti gli occhi sono di nuovo puntati sugli hedge fund e sui fondi di investimento privati. Questo settore finanziario, i cui principali dirigenti formano il primo cerchio di Donald Trump, è stato esentato da tutte le normative adottate dopo la crisi del 2008. Si è abituata ad assumere posizioni speculative molto importanti, in particolare sui mercati dei derivati, a lavorare con una leva finanziaria gigantesca (il debito rappresenta da quindici a venti volte l’importo in capitale), diventando il principale attore del mercato del debito privato.
A più riprese, le banche centrali o le autorità di regolamentazione hanno messo in guardia contro i rischi di instabilità finanziaria rappresentati da questo sistema finanziario deregolamentato. Date le sue pratiche speculative, esso minaccia di amplificare i rischi in caso di inversione di tendenza e provocare reazioni a catena in tutto il sistema finanziario internazionale.
Nonostante diversi allarmi, in particolare sul mercato giapponese nell’estate del 2024, le avvertenze di questi regolatori non sono mai state ascoltate. Le loro previsioni si sono rivelate ancora esatte negli ultimi giorni. Continuando a scommettere su una permanente euforia borsistica negli Stati Uniti, questi fondi hanno assunto posizioni molto importanti sui mercati azionari e dei derivati. Quando tutto è cambiato, hanno dovuto far fronte a richiami di margine sempre più elevati (1) per coprire le loro scommesse azionarie. Poiché la liquidità è svanita completamente in pochi giorni, hanno dovuto vendere il più rapidamente possibile. I buoni del Tesoro statunitensi, noti per essere i più facilmente monetizzabili, sono stati i primi della lista.
La grande sfiducia
Ma negli ultimi giorni sembrano essersi messe in moto altre forze, molto più pericolose per l’economia americana e, di riflesso, per il sistema finanziario internazionale. Martedì 8 aprile, l’asta di emissioni obbligazionarie americane a tre anni è stata molto deludente. Quella di mercoledì su un’emissione di 37 miliardi di dollari a dieci anni, un po’ meno. Ma i creditori non si sono accalcati. Mentre gli Stati Uniti continuano a indebitarsi massicciamente per finanziare i loro deficit, questa disaffezione costituisce un segnale d’allarme per il Tesoro americano: il debito americano non è più rassicurante.
Un interrogativo comincia a tormentare alcuni osservatori: il “privilegio esorbitante” del dollaro sta svanendo? Per decenni, il resto del mondo ha accettato di riciclare tutti i suoi surplus – inizialmente petroliferi al momento della crisi del 1973, poi commerciali provenienti da Giappone, Cina ed Europa – sul mercato americano, consentendo agli Stati Uniti di finanziare i loro costanti deficit. Se questi meccanismi vengono messi in discussione, l’intero sistema finanziario internazionale viene scosso.

I movimenti registrati la scorsa settimana mostrano che il dubbio si è insinuato negli animi e che la fiducia cieca nel potere americano è scomparsa. Tutto si sta tramando dietro le quinte, senza fanfaronate e gesticolazioni. Ma, con una certa determinazione, tutti stanno iniziando a prendere le distanze e le precauzioni.
Mentre tutto era in subbuglio sui mercati finanziari, gli investitori, ritenendo che il dollaro e i buoni del Tesoro USA non fossero più beni rifugio, hanno cercato alternative. E le hanno trovate. In pochi giorni, l’oro, il debito tedesco (Bund), lo yen, il franco svizzero e l’euro sono stati giudicati mezzi sostitutivi accettabili per mettere al sicuro i patrimoni finanziari.
Ancora più grave è il movimento di liquidazione del debito americano a trent’anni. Perché, a differenza dei buoni del Tesoro americano a breve termine, sono principalmente istituzioni, assicurazioni e fondi pensione, nonché banche centrali, a detenere questo debito a lunghissimo termine, che spesso rappresenta la base delle loro riserve.
Decidendo di cedere questi titoli, essi manifestano la loro crescente sfiducia nei confronti degli Stati Uniti di Trump. Dopo gli annunci del 2 aprile sui dazi, tutti ritengono che le minacce di Donald Trump debbano essere prese sul serio. Tutti hanno notato il grande progetto che il suo consigliere Stephen Miran intende riservare loro: cioè fare in modo che la detenzione di buoni del Tesoro statunitensi diventi quasi un obbligo per i partner commerciali degli Stati Uniti. Questi ultimi sarebbero invitati ad accettare la trasformazione dei loro buoni del Tesoro statunitensi in debito perpetuo, con tassi ridotti e tassazione aggiuntiva per partecipare al finanziamento degli Stati Uniti. Ci sono incentivi più allettanti!
Ritorsioni cinesi
La Cina, che detiene circa 700 miliardi di dollari di debito statunitense, è in prima linea. Da diversi anni ha iniziato a ridurre discretamente questa partecipazione al debito statunitense. È sospettata di aver partecipato attivamente al movimento di liquidazione della scorsa settimana come misura di ritorsione contro i dazi doganali del 100% imposti da Donald Trump. La stessa amministrazione di Xi Jinping avrebbe inoltre dato discretamente ordine alle banche di non convertire più nessuno dei loro averi in dollari.
Ma la Cina, per quanto potente sia, da sola non può scuotere il sistema finanziario internazionale. Devono partecipare anche altri. Dall’inizio della presidenza Trump, il Giappone ha iniziato a vendere rapidamente i suoi averi statunitensi. Il ministro delle finanze giapponese, Katsunobu Katō, ha tuttavia escluso di servirsene come mezzo di pressione nei negoziati commerciali con gli Stati Uniti. Ma l’idea aleggia.
La sfiducia che si è instaurata nei confronti del dollaro, del debito americano, degli Stati Uniti in generale, non è destinata a svanire presto. Lanciando la sua guerra commerciale mondiale, Donald Trump ha dimenticato che si stava rivolgendo anche ai suoi creditori. Questi ultimi stanno cercando di ricordarglielo.
1. Il richiamo di margine (dall’inglese “margin call”), è il termine che descrive la notifica che i trader ricevono quando il saldo del conto scende al di sotto del requisito di margine richiesto per mantenere aperta una posizione. Esistono due possibilità per uscire dal richiamo di margine: effettuare un versamento con i fondi sufficienti per mantenere il saldo attivo, oppure chiudere le posizioni per ridurre il requisito di margine sul conto. (N.d.T.)
*articolo apparso su Mediapart il 10 aprile 2025.