Condizioni di lavoro del personale sanitario: la lezione del Consiglio federale

Tempo di lettura: 8 minuti
image_print

«Il Consiglio federale abbandona gli infermieri»: così l’Associazione svizzera degli infermieri (ASI) riassume il messaggio trasmesso il 21 maggio 2025 dal Consiglio federale al Parlamento in vista dell’attuazione della seconda fase dell’iniziativa “per cure infermieristiche forti” lanciata dall’ASI. L’anno scorso l’ASI si era astenuta dal prendere posizione EFAS (finanziamento uniforme delle cure ambulatoriali e stazionarie,  (cfr. il nostro articolo sul tema ), forse sperando che questa neutralità avrebbe avuto un effetto «benefico» sulla proposta del Consiglio federale nella concretizzazione dell’iniziativa. Il bilancio di questa «moderazione» si legge nel comunicato dell’ASI: «È […] incomprensibile che il Consiglio federale abbia rivisto al ribasso la propria proposta iniziale del luglio 2024 volta a migliorare le condizioni di lavoro».
«Incomprensibile»
? Ciò che sta accadendo con questa iniziativa può invece essere percepito come molto «comprensibile» e illustrativo della situazione nel settore sanitario e, più in generale, dei rapporti di sfruttamento dei lavoratori dipendenti in vigore in Svizzera.

Maggioranza popolare per migliori condizioni di lavoro

L’iniziativa «Per cure infermieristiche forti» era stata accolta nel 2021 dal 61% dei votanti [1]. Di fronte alla carenza di personale infermieristico, essa chiede, da un lato, che un numero nettamente maggiore di persone venga formato a questa professione e, dall’altro, che le condizioni di lavoro e la retribuzione siano migliorate al fine di frenare l’abbandono rapido della professione da parte di un gran numero di infermieri qualificati. È la prima volta che viene accettato il principio di norme nazionali, con una base costituzionale e una legge, volte a definire gli standard per le condizioni di lavoro di una professione.
L’offensiva formativa è stata avviata rapidamente dopo la votazione. Il dibattito attuale verte sulle condizioni di lavoro e la situazione si preannuncia molto diversa.
Numerose indagini condotte tra il personale infermieristico hanno evidenziato gli aspetti più problematici delle condizioni di lavoro del personale infermieristico, che portano al suo esaurimento e lo spingono ad abbandonare la professione. I tre aspetti più citati sono:

  • Gli orari di lavoro (lavoro notturno e nel fine settimana, pianificazione, ecc.) e le difficoltà che ne derivano in termini di conciliazione tra vita professionale e vita privata,
  • il carico di lavoro (fisico e psichico) e la conseguente difficoltà a prestare cure di qualità,
  • il livello insufficiente dei salari.

L’iniziativa approvata nel 2021 richiede una risposta ed esige esplicitamente che la Confederazione adotti disposizioni in materia di «retribuzione adeguata» e «condizioni di lavoro adeguate». Durante il dibattito che ha preceduto la votazione, l’ASI aveva inoltre sostenuto la necessità di un numero minimo di personale per paziente come misura essenziale per ridurre il carico di lavoro del personale, garantire orari di lavoro più regolari e prevedibili e assicurare la qualità dell’assistenza.

LCInf, una legge per aggirare completamente il sostegno all’iniziativa

Il progetto di Legge federale sulle condizioni di lavoro nel settore delle cure infermieristiche (LCInf) è la «risposta» del Consiglio federale a questa decisione popolare. Non è possibile entrare nel dettaglio di tutte le misure elaborate sotto la guida dell’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) e quindi della consigliera federale «socialista» Elisabeth Baume-Schneider – un altro successo da aggiungere al suo palmares. Ecco comunque i punti essenziali della LCInf:

  1. Essa ignora completamente la questione dei salari.
  2. Non entra nel merito della richiesta di una regolamentazione che fissi un organico adeguato in tutti i settori dell’assistenza. Il Consiglio federale adduce come pretesto che «attualmente non esistono dati affidabili su come calcolare una dotazione di personale che risponda in modo ottimale alle esigenze» e che «di conseguenza, è responsabilità delle istituzioni sanitarie garantire una dotazione di personale adeguata alle esigenze, in modo da assicurare una buona qualità delle cure». La buona fede dell’argomentazione emerge chiaramente se si pensa al modo in cui il Consiglio federale, quando gli fa comodo, ricorre a «studi quantificati» e di assoluta affidabilità per giustificare le sue proposte – basti pensare, ad esempio, al «deficit» dell’AVS o ai «risparmi» resi possibili da EFAS.
  3. Non apporta praticamente alcun miglioramento significativo in materia di orario di lavoro. Fissa così la durata normale settimanale a tempo pieno tra 40 e 42 ore, ovvero la situazione attuale. Il progetto preliminare prevedeva audacemente una forbice tra 38 e 42 ore: questo minuscolo passo avanti è stato accantonato. La durata massima del lavoro è ridotta da 50 a 45 ore. Ciò corrisponde alla norma abituale della legge sul lavoro e, soprattutto, questa riduzione ha una portata minima in un settore in cui è diventato molto difficile lavorare a tempo pieno, vista la mole di lavoro. (In realtà, nel settore dell’assistenza, l’80% è diventato il nuovo 100% – ma con uno stipendio ridotto di un quinto!). Le altre disposizioni, relative alla pianificazione degli orari, alla compensazione del lavoro notturno o domenicale, o ancora al tempo necessario per il cambiamento di abiti, non apportano miglioramenti significativi rispetto ai minimi previsti dalla legge sul lavoro o dal Codice delle Obbligazioni.
  4. Essa prevede che «i datori di lavoro e le loro associazioni devono condurre negoziati con le associazioni del personale al fine di concludere un CCL [contratto collettivo di lavoro]». Questa disposizione, che si presenta come un progresso sociale, è in realtà tutto il contrario:
  • In primo luogo, tale obbligo si estende ai servizi sanitari che fanno parte della funzione pubblica cantonale o comunale e le cui condizioni di lavoro sono definite da statuti di diritto pubblico, generalmente più favorevoli delle norme di diritto privato. Per le autorità cantonali e comunali interessate, la LCInf è quindi un invito a separare il personale sanitario dal resto della funzione pubblica, con un’alta probabilità che ciò apra la strada a un progressivo deterioramento delle condizioni di lavoro. È quanto è accaduto nel Cantone di Vaud, da quando il settore parapubblico è stato sottoposto a un proprio CCL, un quarto di secolo fa.
  • In secondo luogo, l’obbligo riguarda lo svolgimento di negoziati e non la conclusione di un CCL. Secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica (UST), circa il 16% dei lavoratori del settore socio-sanitario sarebbe attualmente coperto da un CCL, contro il 50% del totale dei lavoratori. Le norme collettive sono quindi molto deboli nel settore e i datori di lavoro sono in una posizione di forza per imporre le loro condizioni e rifiutare qualsiasi contratto che non sia loro congeniale.
  • In terzo luogo, la legge prevede esplicitamente la possibilità per i CCL di derogare a sfavore dei lavoratori alle già scarse disposizioni previste dalla LCInf . Nel suo progetto preliminare, il Consiglio federale aveva presentato due varianti, la prima delle quali escludeva questa possibilità. Le associazioni dei datori di lavoro, i Cantoni (che finanziano) e i partiti di destra si sono espressi, senza sorpresa, a favore della possibilità di deroga. Che è stata quindi accolta dal Consiglio federale, anche questo senza sorpresa.
  • Infine, e questo è il colpo di grazia, la LCInf non prevede alcun finanziamento per migliorare le condizioni di lavoro. Il Consiglio federale fa credere che il finanziamento tramite DRG (diagnoses related groups) consentirà di assorbire, con un «piccolo» ritardo temporaneo, gli aumenti dei costi per gli ospedali e che i Cantoni e i Comuni saranno ben disposti a farsi carico degli aumenti per l’assistenza domiciliare e le case di cura. Difficile essere più in malafede: gli ospedali sono già strangolati finanziariamente dal finanziamento tramite DRG e i Cantoni e i Comuni si oppongono con tutte le loro forze a qualsiasi aumento del loro «finanziamento residuo» dell’assistenza a lungo termine.

Il blocco della LAMal

Questa mancanza di finanziamenti è il modo più sicuro per affossare sul nascere qualsiasi attuazione dell’articolo costituzionale accettato dal popolo nel 2021: come ridurre il carico di lavoro, aumentare il personale, garantire orari meno estenuanti e rivalutare i salari senza stanziare risorse finanziarie supplementari per gli ospedali, le case anziani e l’assistenza domiciliare?
Il blocco del finanziamento di queste istituzioni sanitarie è contenuto nella legge sull’assicurazione malattia (LAMal). Da un lato, il sistema dei premi pro capite comporta oggi un onere finanziario insostenibile per la maggioranza della popolazione, che le autorità politiche, come il Consiglio federale, utilizzano per giustificare la morsa finanziaria in cui sono imprigionati i fornitori di cure. Dall’altro lato, la LAMal conferisce agli assicuratori privati un potere esorbitante per stringere al massimo questa morsa.
L’unica conclusione «realistica» è la seguente: per consentire l’effettiva attuazione dell’iniziativa per un’assistenza infermieristica forte è necessario un cambiamento fondamentale del regime della LAMal, che alleggerisca l’onere delle famiglie, con un finanziamento proporzionale al reddito, e smantelli il potere degli assicuratori privati, creando un sistema di cassa pubblica unica.

Libertà di sfruttamento: ecco la legge padronale

Il fatto che la LCInf equivalga a una liquidazione della parte «condizioni di lavoro» che erano contenute nell’iniziativa «Per cure infermieristiche forti » mette anche in evidenza una realtà che va oltre il settore sanitario. Da decenni, il padronato svizzero impone la massima «flessibilità» in materia di condizioni di lavoro: libertà di assumere o licenziare senza ostacoli, di fissare i salari senza norme legali, di adeguare gli orari a proprio piacimento, di massimizzare il carico di lavoro… È uno dei principali assi nella manica del padronato elvetico nel contesto della concorrenza internazionale e non è disposto a rinunciarvi, anzi.
Uno degli aspetti attuali di questa lotta dei datori di lavoro per la loro libertà di sfruttamento senza ostacoli è la battaglia condotta in Parlamento affinché i salari minimi cantonali – che non sono comunque molto elevati – non siano più applicabili nei settori in cui esistono contratti collettivi di lavoro che prevedono salari più bassi. Durante un’audizione lo scorso marzo davanti alla commissione del Consiglio nazionale responsabile di questo dossier, il direttore dell’Unione padronale svizzera (UPS), Roland Müller, ha spiegato: «Non si può pretendere dai datori di lavoro o dall’economia che garantiscano un reddito sufficiente per vivere. A un certo punto c’è un limite. […] Alla fine, è l’assistenza sociale che deve intervenire». (Blick, 5.6.2025) In parole povere: nulla, e soprattutto nessuna decisione democratica, deve limitare il margine di manovra dei datori di lavoro. Il salario, come le altre condizioni di lavoro, deve rimanere una variabile di aggiustamento a disposizione di ogni datore di lavoro nella sua ricerca di un tasso di profitto che considera «normale».
Per questa crociata padronale, le leggi che definiscono le regole applicabili a tutti i lavoratori sono il nemico pubblico numero uno. Per evitarle o neutralizzarle, il padronato oppone il «partenariato sociale» e i contratti collettivi di lavoro. Ma quando i sindacati – i cosiddetti «partners sociali» – rivendicano contratti collettivi di lavoro con un contenuto forte e vincolante a livello nazionale, il padronato oppone loro… il «partenariato sociale» con CCL «adattati» a ciascuna impresa… Per il padronato, il vero «partenariato sociale» è quando un «partner» è più uguale degli altri.
Da questo punto di vista, la LCInf è un capolavoro: è una legge che stabilisce che il rifiuto da parte dei datori di lavoro di qualsiasi legge che limiti il loro margine di manovra è il modo giusto per dare seguito a un voto popolare che chiede una legge che migliori in generale le condizioni di lavoro del personale sanitario! Difficile fare di meglio.
Ma c’è di più. La LCInf introduce anche il meccanismo politico tipico della politica federale per smantellare le richieste di cambiamento che sono state espresse con successo. Eccolo: una maggioranza dei votanti sostiene, con cognizione di causa, la richiesta di un miglioramento generale delle condizioni di lavoro del personale sanitario. Il Consiglio federale, invocando «il quadro giuridico», le «competenze» o la «procedura di consultazione», riduce quasi a zero la concretizzazione di questa richiesta. Ma, fase successiva, questo quasi nulla viene comunque elevato allo status di questione di primaria importanza. La destra moltiplicherà le proposte in Parlamento per ridurlo ancora di più. «Di fronte», i «ragionieri», guidati da Elisabeth Baume-Schneider, chiederanno di «salvare» questo quasi nulla, o addirittura, per i più ambiziosi, di aumentarlo un po’ e, in questo modo, di avallare l’abbandono di tutto il resto… cioè di tutte le misure che potrebbero realmente migliorare le condizioni di lavoro del personale sanitario.
Se i parlamentari di «sinistra» e l’ASI entreranno nel gioco, il Consiglio federale potrà vantarsi di aver «realizzato» la volontà popolare dopo averla completamente ignorata e sconfitta. L’alternativa è dire le cose come stanno –  e cioè che la LCInf è un tradimento totale del voto del 2021 – e riprendere la strada della mobilitazione collettiva del personale sanitario e dei suoi sostenitori tra la popolazione.

[1] Ricordiamo che le persone che non hanno un passaporto svizzero non hanno voce in capitolo, anche se lavorano qui e pagano le tasse. Negli ospedali, un terzo del personale non è di nazionalità svizzera. Le proporzioni sono dello stesso ordine di grandezza nelle case anziani o nell’assistenza domiciliare. Per citare solo questi settori direttamente interessati.

*articolo apparso sul sito alencontre.org il 12 giugno 2025.

articoli correlati

Conflitti economici e parate militari

Ritratti milionari: ovvero dove trovare i soldi per l’iniziativa 10% (7)

Dalle scuole ticinesi, un sostegno al popolo palestinese