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Il-Parlamento-ItalianoInvano tutti i commentatori di regime denunciano all’unisono come pappagalli “l’inaudito affronto” che sarebbe stato fatto mercoledì della scorsa settimana dal M5S al parlamento e alla costituzione, e ripetono la velina che parla di “Camera nel caos”. Le vere poste in gioco nelle vicende di questi giorni sono state sostanzialmente due: regalare o meno molti altri miliardi alle banche mentre la stragrande maggioranza dei cittadini tira la cinghia, imporre o meno nei fatti una ulteriore stretta al Parlamento sulla base del principio che lì non si discute, cioè non si fa politica, ma si vota, come i padroni, quelli veri e quelli politici, comandano.

E, guarda caso, drammatica coincidenza, per altro non casuale, ma espressione di una complessiva deriva politica sociale, anche il più grande sindacato italiano la CGIL, nel suo congresso di questi giorni conosce un processo di verticalizzazione antidemocratica, estremamente preoccupante.

In realtà ci troviamo di fronte sul piano politico a una gravissima involuzione antidemocratica che ha trovato nuovo slancio nell’accordo tra Renzi e Berlusconi che sta per produrre una legge elettorale che impedirà di esprimere le proprie scelte politiche a tutti quelli che non sostengono i due partiti principali e i loro alleati, frutto di una concezione politica centrata sul dominio dell’esecutivo e in cui il Parlamento diventa solo una Camera di registrazione di quanto è stato deciso da governi di diretta emanazione della classe padronale.

Dal parlamento e quindi dalla rappresentanza popolare dovrebbero essere esclusi tutti quelli che sono fuori dal coro. Ma già oggi si vuole imporre queste modalità e le scelte di un governo screditato e chi, nel parlamento, cerca di difendere come può un minimo di funzionamento democratico e di rappresentanza popolare, semplicemente diventa il “nemico della democrazia”. Giornali e televisioni, per non parlare del PD e di Forza Italia, fanno a gara nel riproporre la favola di Esopo: gli agnelli diventano lupi e viceversa.

Agli occhi di molti, a partire dai tanti che hanno preferito non votare nessuno il 24-25 febbraio, questo diventa giustamente un parlamento senza dignità, degno continuatore di quello che votò che Ruby era la nipote di Mubaraq. È un parlamento che, dopo aver fatto un po’ di “ammuina”, vota sempre senza fiatare qualunque pastone. È un parlamento posto sotto l’alta tutela di un presidente della Repubblica eletto dopo una penosa sceneggiata che sacrificò Marini e Prodi per imporre la sua rielezione, per lo meno discutibile (non era formalmente vietata ma giustamente esclusa dalla consuetudine, data l’abnorme durata della carica rispetto ad altri paesi, e l’età in cui si viene abitualmente chiamati al Quirinale).

Che due o tre “grillini” nel caos di questi giorni abbiano rivelato di essere entrati in parlamento portandosi dietro un semplicismo rozzo che non sa evitare l’insulto personale è sgradevole, ma non è affatto caratterizzante. Queste cadute di stile sono difficilmente evitabili quando un così gran numero di neofiti inesperti fanno per la prima volta un’esperienza politica e si trovano davanti esperti manipolatori e prevaricatori politici: logicamente riflettono le subculture diffuse nel grosso della popolazione sempre più spoliticizzata. Certo queste uscite infelici (come l’uso del termine boia, per la complicità con la “ghigliottina” taglia interventi) permettono a tutti i pennivendoli di nascondere la sostanza delle loro critiche sacrosante alle porcate altrui.

Così tutta la stampa di regime ha ripetuto incessantemente per giorni l’ultima menzogna di questo governo di incapaci e di mentitori, affermando che la contestazione del M5S avrebbe fatto pagare l’IMU ai poveri italiani, mentre sarebbe bastato non bloccare l’emendamento semplicissimo che separava l’urgente approvazione del decreto sull’IMU da quello che preparava l’ennesimo e tutt’altro che urgente regalo alle banche. Torme di “economisti” sono stati fatti affluire a programmi radio e TV per sostenere assurdamente che il decreto non offriva i 7,5 miliardi alle grandi banche. Senza pudore parlavano del decreto “IMU-Bankitalia” come se fosse ragionevole accorpare proposte di segno così diverso. Se Napolitano avesse voluto essere il garante della Costituzione avrebbe già dovuto intervenire sulla base del dettato costituzionale che vieta di emanare decreti che non abbiano materia omogenea, come per altro aveva fatto a dicembre sul decreto milleproroghe, ed anche in parecchie altre occasioni.

Sempre senza pudore deputati e dirigenti del PD, con in testa il capogruppo Roberto Speranza, hanno continuato a denunciare le “violenze fasciste” in parlamento, mentre di violenza ce n’è stata casomai una sola e a danno di una parlamentare M5S. Tutti, in modo perfettamente bipartisan, denunciano “l’inammissibile aggressione alle istituzioni” che sarebbe stata fatta dal M5S. Naturale che ci fosse sovreccitazione, data la gravità di quanto avvenuto.

Nessuno si preoccupa di quella “aggressione alle istituzioni” inaugurata mercoledì, con le misure prese (forse vergognandosi un po’) dalla presidente Boldrini. A che serve il parlamento se non si possono illustrare emendamenti e non si può neppure parlare per illustrare un ordine del giorno? Se su una questione molto controversa si vota in pochi secondi?

Se ne sono accorti giuristi come Rodotà, che, pur riprovando l’uso improprio del termine boia per il Presidente, ha ammesso che la preoccupazione manifestata dai grillini era corretta: “In questo decreto sono state messe insieme cose molto diverse; i decreti dovrebbero avere materie omogenee e in questo caso l’Imu e la nuova struttura della Banca d’Italia sono due cose diversissime. (…) Se oggi si scorporassero le due cose, si metterebbe la discussione sui binari giusti”.

Ancor più netto e senza reticenze il giudizio di Imposimato: “La legge di conversione del decreto legge IMU-Bankitalia appare incostituzionale. Anzitutto vi è stata violazione del diritto della opposizione del M5S di svolgere le proprie ragioni opponendosi al provvedimento, secondo le regole della Costituzione e il regolamento della Camera. La cosiddetta tagliola è incostituzionale, perché elimina il diritto della opposizione di motivare il suo voto contrario. La opposizione è parte essenziale della democrazia, i cui diritti vanno rispettati. Diversamente siamo in una situazione di regime cioè di dittatura della maggioranza.” (Per un approfondimento sul significato delle misure su Bankitalia rinviamo ad un articolo di Loretta Napoleoni Se il governo e le banche diventano soci in affari, uscito sul “Fatto quotidiano”).

Imposimato ha detto poi che “stupisce che alcuni dei guardiani della Costituzione tacciano su questo aspetto gravissimo del vero e proprio colpo di mano del Presidente della Camera Laura Boldrini che ha impedito al M5S di motivare la sua opposizione sacrosanta di fronte a decreto legge illegittimo, per difetto, almeno in parte, del requisito di necessità e urgenza”. Povera Boldrini, vittima inerme dell’ambiguità di fondo del suo partito, che non ha avuto remore a schierarsi con i PD cantando “Bella ciao” contro i “fascisti a cinque stelle”!

È comprensibile che i giuristi Rodotà e Imposimato si preoccupino della Costituzione e della costituzionalità delle leggi, anche se la battaglia per la difesa dei diritti democratici espressi nella carta costituzionale, sempre più stravolta nei fatti, non ha speranza di successo, se non si collega alle battaglie sociali e a un movimento di massa contro le politiche di austerità che sono alla base della stretta antidemocratica.

Per altro non bisogna mai dimenticarsi che la Costituzione non è il toccasana di cui sognano gli ingenui della pseudo sinistra, perché è stata scritta proprio per essere invocata ideologicamente, ma non applicata (tranne l’articolo 12 che stabilisce i colori della bandiera). Era il premio di consolazione (verbale) per chi aveva accettato di soffocare la dinamica della rivoluzione italiana tra il 1944 e il 1947. Solo le lotte degli anni 60 e 70 hanno imposto che alcuni suoi principi generici si sostanziassero in reali riforme sociali favorevoli ai lavoratori, riforme peraltro che da anni sono in via di smantellamento.

E quindi non bisogna dimenticare che anche la più alta corte è indipendente come il resto della magistratura, dati i criteri con cui viene formata, con apporto di personaggi di designazione politica e non al di sopra di ogni sospetto. Ad esempio uno degli ultimi designati da Napolitano, Giuliano Amato, che tra l’altro riceve una pensione sproporzionata per i suoi meriti di grande distruttore del sistema pensionistico per i normali cittadini e che è stato coinvolto in non pochi scandali.

Sarebbe bene che i deputati del M5S, che stanno per essere imbarcati in un’operazione di dubbia utilità come la richiesta di impeachment per Napolitano, senza pensare che su di essa dovrebbe deliberare questa camera di nominati per rinviarla poi alla Corte Costituzionale, comincino una riflessione più approfondita sulle istituzioni. Dietro l’illusione dell’impeachment c’è un’illusione nelle istituzioni. Napolitano non c’è dubbio è il presidente che più è andato al di fuori delle sue prerogative costituzionali, nei fatti accelerando il percorso verso soluzioni istituzionali presidenzialiste e per questo va denunciato politicamente, ma soprattutto va denunciato perché agisce per tutelare la continuità dello Stato borghese e le scelte della troika e della classe dominante nella tempesta di una crisi economica, sociale e politica senza precedenti contro gli interessi e le condizioni di vita della classe lavoratrice.

Il M5S ha dei meriti: sia pur con ingenuità e goffaggini, e al di là dei suoi limiti strategici e politici e della sua collocazione ideologica interclassista, ha fatto molto di più di quanto altri abbiano fatto in questo parlamento o nei precedenti: si è schierato bene contro gli F35, contro i TAV, contro le spese militari e le missioni, contro il reato di clandestinità (contrastando le iniziali scelte reazionarie ed opportunistiche del suo fondatore). Ha scoperto, denunciato e fatto saltare l’infame inciucio sull’articolo 138, che avrebbe permesso di far manomettere a un pregiudicato quel poco di decente che c’è nella costituzione, e che dà fastidio a malviventi incalliti come Berlusconi. Se non avessero violato i regolamenti salendo sui tetti con gli striscioni, neppure lo avremmo saputo, dato il clima omertoso che regna in un parlamento che sa di non avere legittimità e futuro.

Il M5S ha anche denunciato spesso efficacemente le malefatte di un governo guidato da un discepolo di Andreotti (oltre che dello zio Gianni), incapace di incidere sull’evasione, compresa quella legalizzata che consente alla FIAT di scegliere un’altra sede fiscale; un governo che non pensa neppure di rispondere alla Elettrolux bloccandone capitali e stabilimenti, e che lascia nelle mani degli assassini l’ILVA di Taranto; un governo impegolato in discussioni ridicole con i berlusconidi interni ed esterni alla maggioranza formale sulle briciole delle imposte sulla casa, mentre si gravano salari e pensioni con prelievi spropositati che si sommano a una tassazione indiretta vergognosa.

Ma anche per il M5S si sta presentando l’ora della verità, di quali scelte dirimenti e di fondo operare: se giocare solo al tutore delle istituzioni, salvo farsi mettere nell’angolo ogni volta che protesta più rumorosamente, oppure fare un salto politico sul terreno propriamente sociale. Ha fatto bene a rifiutare il cavallo di Troia dell’accordo con un PD irrecuperabile, ma è ben lontano dal porsi il problema della mobilitazione sociale e a porselo con quelle forze, che pur con grande difficoltà, agiscono su questo terreno.

La situazione italiana è catastrofica, milioni di lavoratori stanno perdendo il posto di lavoro, in totale assenza (se non peggio) dei sindacati confederali, e altrettanti milioni hanno subito decurtazioni di salario magari inferiori a quelle chieste dall’Elettrolux ma ugualmente distruttive dei bilanci familiari; un numero ancora maggiore di giovani, anche momentaneamente occupati, ha la certezza di non poter avere mai una pensione sufficiente a sopravvivere. Oggi, per chi vuole rispondere alle necessità e alle attese di larghissimi settori di massa, chi vuole e comprende l’obbligo di dare una risposta di classe all’offensiva delle forze borghesi e dei loro gestori politici è tempo, a partire dalle forze anticapitaliste e antiliberiste più coscienti, di ricercare la massima unità d’azione, concentrare l’attenzione nella società reale, nel paese, per unificare e organizzare le resistenze agli attacchi padronali, e per creare un movimento che spazzi via questo ceto politico asservito al capitalismo, respingere le politiche del fiscal compact e difendere le condizioni di vita e di lavoro delle classi lavoratrici.

 

Tratto da www.anticapitalista.org