Il Parlamento europeo si è insediato oggi eleggendo Presidente il socialdemocratico Schultz mentre domani comincia il tanto strombazzato semestre italiano, che Renzi spera di utilizzare per consolidare le sue posizioni in Italia.
E’ noto che questa funzione è largamente simbolica; per altro i rapporti di forza economici e sociali tra i diversi paesi costituente l’UE non permettono certo al governo italiano di avere un reale ruolo di direzione e di egemonia sulle vicende dell’Unione Europea; l’operazione di Renzi volta a presentarsi nel ruolo di innovatore anche sul piano europeo e soprattutto di far credere di essere portatore di un progetto alternativo alle politiche dell’austerità che massacrano i popoli del continente, ha un carattere solo mediatico.
Il recente Consiglio europeo, al dì là delle divergenze che si sono prodotte e della vasta cortina fumogena prodotta dai media, si è infatti svolto nel segno della continuità. In primo luogo sul piano dell’alleanza politica bipartisan tra il PPE e il PSE, cioè tra conservatori e socialliberisti, che viene per l’ennesima volta confermata come elemento di fondo della gestione dell’Unione europea, lo strumento di cui si avvalgono le borghesie per gestire il loro sistema capitalista.
Il chiacchierato Juncker, a cui il leader conservatore inglese Cameron si è fortemente opposto e su cui la stessa Merkel aveva parecchi dubbi, sarà alla guida della Commissione Europea; la sua figura esprime la continuità totale delle politiche neoliberiste, visto anche quel che ha saputo fare nel suo paese e come Presidente dell’Eurogruppo. Vedremo poi come si risolveranno le nomine dei commissari per i ruoli più importanti e del cosiddetto ministro degli esteri della comunità europea, (su cui Renzi vorrebbe concorrere con una candidatura italiana), su cui si misurano gli equilibri e i rapporti di forza tra i diversi paesi.
L’elezione di Schultz alla presidenza del Parlamento europeo, a cui seguirà tra due anni e mezzo un esponente conservatore, è l’altro elemento dell’asse politico PPE PSE che gestisce gli affari della/e borghesia/e europea/e.
Naturalmente le classi dominanti e i loro rappresentanti, al di là del rullo compressore che hanno messo in atto contro la classe lavoratrice e delle difficoltà estreme di quest’ultima di rispondere adeguatamente, qualche problema ce l’hanno e le recenti elezioni, con la massiccia astensione presente in molti paesi e il voto a partiti di destra ed estrema destra che propongono ritorni nazionalisti e in misura minore e in pochi paesi, anche a forze della sinistra, lo hanno espresso sul piano elettorale.
Sotto questi risultati, c’è il malessere e la sofferenza di larghissimi settori popolari in termini di caduta del tenore di vita, di disoccupazione e precarietà, di totale incertezza del futuro, nonché crescenti contraddizioni sociali ed anche politiche.
Di sicuro i dirigenti economici e politici dell’Unione europea hanno qualche preoccupazione rispetto alle possibili esplosioni sociali che prima o poi possono prodursi di fronte agli effetti devastanti dell’austerità e del fiscal compact. C’è un dibattito in corso e Renzi cerca di conquistarsi qualche spazio politico, almeno nell’opinione pubblica italiana, alludendo a queste preoccupazioni. In altri termini le classi dominanti devono cercare di risolvere questo problema: come tenere la barra sulle politiche liberiste, portando a termine una sconfitta storica del movimento dei lavoratori, che considerano pregiudiziale per reggere la concorrenza delle altre potenze capitaliste, dandosi però qualche margine di ripresa economica, compressa dalle loro stesse politiche, mantenendo divisi i fronti sociali e recuperando qualche consenso?
Non siamo di fronte a uno scontro acceso tra coloro che vorrebbero superare l’austerità, come Renzi vuol far credere agli italiani sostenuto dai media, e coloro (i nordici) che non vogliono spostarsi di un millimetro dalla via fin qui battuta, ma a una discussione interna alla borghesia che si pone il seguente problema: quale operazione trasformista di manovra e di cosmesi fare per evitare che la crescita del dissenso sociale sfoci in ribellione e quali gli strumenti tattici per raggiungere questo scopo? La formula “maggiore flessibilità per un maggiore crescita restando però all’interno delle regole dei trattati e degli equilibri di bilanci” significa proprio questo; permettere a singoli stati in determinate situazioni di poter posporre un poco (la flessibilità) certe misure antipopolari, per consolidare i governi e dar loro maggiore spazio di manovra per gestire nel concreto la continuazione sotto altra forma delle scelte liberiste.
Di questo ha bisogno soprattutto Renzi, che, per consolidare il successo ottenuto, deve evitare di proporre a settembre una finanziaria di ulteriore massacro sociale; a questo fine i tempi delle regole del fiscal compact devono essere spostate un poco in avanti. Il percorso è complicato anche perché le nuove stime di crescita del PIl sono ulteriormente ridotte e questo significa un deficit più alto con la possibilità che Bruxelles chieda nuove manovre per mantenersi nei parametri di Maastricht.
L’operazione che Renzi sta compiendo è però drammaticamente pericolosa per i lavoratori. Si cerca di illudere cittadine e lavoratori facendo credere che la flessibilità dei conti significhi l’interruzione o l’attenuazione dell’austerità, e che in cambio si debbano portare a termine le cosiddette riforme che altro non sono che il completamento delle politiche liberiste sul piano politico istituzionale e su quello socio economico: privatizzazioni, taglio della spesa pubblica e sociale, destrutturazione totale dei diritti dei lavoratori, e l’affermazione totale dell’autoritarismo e degli interessi dell’egemonia della impresa.
Per altro queste scelte delle classi dominanti sono pienamente confermate, se mai ce ne fosse stato bisogno, dall’intervista odierna del Sole 24 Ore al ministro dell’economia Padoan. Al di là delle vistose reticenze del ministro nel rispondere alle domande più puntuali e meno generiche dell’intervistatore, Padoan conferma a più riprese la piena accettazione delle regole esistenti, affermando “”Il quadro attuale offre spazi per affrontare una situazione specifica come quella in cui si trova l’Italia, bloccata sul piano finanziaria da un debito molto alto e sul piano della crescita dall’assenza di riforme strutturali.” Non a caso il titolo del giornale è: ” La flessibilità c’è, sbagliato parlare di nuove regole”.
Padoan per altro rilancia il mantra delle “riforme” che dovrebbero essere la panacea di tutti i mali proponendo di lavorare tutti insieme (chi? Padroni, sindacati, governo?) su tre pilastri: riforme strutturali, maggiore integrazione dei mercati, investimenti. Per parte sua il giornale della Confindustria presenta il suo programma “risolutore” riassunto in: privatizzazioni, riduzione del cuneo sulle imprese, flessibilità del lavoro, pagamento dei debiti della PA, appalti semplificati, snellimenti per l’edilizia ecc.. Viene da dire subito: “No grazie” anche perché è quello che stanno facendo da un decennio con il risultati “travolgenti” per i lavoratori che tutti ben conosciamo.
Ma per denunciare il carattere gattopardesco delle operazioni in corso vale la pena di leggere il testo finale del Consiglio europeo che, dopo aver esordito con ” i recenti segnali di ripresa economica sono incoraggianti e dimostrano che gli sforzi comuni degli Stati membri e delle istituzioni UE stando dando frutti…. ” e che: “la correzione degli squilibri macroeconomici ha registrato progressi e le finanze pubbliche continuano a migliorare” afferma: “Occorrerebbe servirsi delle possibilità offerte dal quadro di bilancio esistente dell’UE per conciliare la disciplina di bilancio e l’esigenza di sostenere la crescita. In considerazione dei livelli persistentemente elevati di debito pubblico e di disoccupazione e della debole crescita del PIL nominale, nonché delle sfide poste dall’invecchiamento della società e dal sostegno alla creazione di occupazione – in particolare per i giovani – occorre proseguire un risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita. Occorre prestare particolare attenzione a riforme strutturali che potenzino la crescita e migliorino la sostenibilità di bilancio, anche attraverso un’adeguata valutazione delle misure di bilancio e delle riforme strutturali, sfruttando al meglio, nel contempo, la flessibilità insita nelle norme esistenti del patto di stabilità e crescita”.
Tradotto in lingua comune: le norme del fiscal compact non si toccano e se c’è qualche necessità tattica si può eventualmente procrastinare di un poco qualche nuova misura impopolare troppo percepibile, portando avanti però contemporaneamente le privatizzazioni, i tagli alla spesa pubblica, la precarizzazione del lavoro.
Difficile poi che il governo Renzi e la ministra della Difesa Pinotti pensino veramente di tagliare gli aerei F35, quando nel testo finale viene scritto:
“Sviluppare la cooperazione in materia di sicurezza e difesa in modo da assumerci i nostri impegni e le nostre responsabilità in tutto il mondo: rafforzando la politica di sicurezza e di difesa comune, in piena complementarità con la NATO; garantendo che gli Stati membri mantengano e sviluppino le capacità civili e militari necessarie, anche mediante la messa in comune e la condivisione; intensificando l’industria europea della difesa.”
Se questa è l’agenda dei padroni, non ci resta, al di là delle difficoltà e della confusione che regna nella classi popolari, per non parlare della totale complicità delle organizzazioni sindacali che non solo non chiamano alla lotta, ma che nascondono la realtà della politica governativa, che la costruzione delle iniziative di mobilitazione e di resistenza dal basso.
Naturalmente si scontano grandi problemi, a partire dalla povertà dei mezzi a disposizione di quelli che si oppongono: tuttavia bisogna trovare tutti gli strumenti di informazione e di azione per demistificare e denunciare l’azione del governo e dei padroni; bisogna informare i lavoratori su tutte le lotte che si stanno conducendo, sui loro obbiettivi; i particolare vanno fatte conoscere quelle mobilitazioni, e ci sono, che hanno dato risultati positivi; con la finalità di costruire solidarietà ed unità e quindi di rendere credibile la praticabilità di lotte per respingere le politiche dell’austerità, le misure su cui si concretizzano e per far avanzare richieste a positivo dei lavoratori contro i padroni.
Sabato c’è stata a Roma una prima manifestazione per costruire un controsemestre di iniziative e di contrasto ai provvedimenti del governo e alle famose “regole” europee; una buona manifestazione ancorché ancora limitata, ma non per questo meno importante perché contrasta la rassegnazione, e comincia a unire quelli che vogliono combattere.
Doveva esserci una manifestazione anche a Torino l’11 luglio in corrispondenza con la riunione dei ministri del lavoro europei che è stata disdetta proprio per cercare di disinnescare la protesta; non ci sarà la grande manifestazione, ma si stanno preparando una serie di niziative sul tema della disoccupazione e della precarietà e soprattutto sugli obbiettivi e i percorsi per combatterli in una città e regione diventati un luogo di precarietà e di crescente sfruttamento dei lavoratori.