Non vi sono dubbi che il risultato delle elezioni cantonali tenutesi in Ticino lo scorso 19 aprile abbiano consegnato un quadro politico ancora più spostato a destra. Un risultato non certo sorprendente: negli ultimi anni vi erano stati parecchi segnali di questa involuzione che si erano, tra le altre cose, cristallizzati anche in risultati eclatanti al momento di votazioni popolari.
Pensiamo, ad esempio, al sì della maggioranza dei votanti in Ticino all’iniziativa dell’UDC contro l’immigrazione di massa del 9 febbraio 2014. A questo potremmo aggiungere, su di un altro piano ma non meno importante, la votazione relativa alla modifica della Legge sul lavoro che consente ai negozi annessi alle stazioni di servizio situate lungo i principali assi di transito di tenere aperto anche la notte. Il Ticino, in quella occasione si distinse come il secondo cantone (con quasi il 64%) ad accogliere positivamente la modifica legislativa: e questo malgrado una “tradizione” di opposizione alla deregolamentazione degli orari di apertura dei negozi con le relative conseguenza a livello lavorativo.
Il rullo compressore dei bilaterali
Gli ultimi anni sono stati vissuti dai salariati ticinesi come un continuo, esasperante e disperante peggioramento delle loro condizioni di vita, di salario e di reddito. Si sono cioè sentiti come le vittime di una concorrenza sempre più sfrenata tra salariati che il padronato è riuscito a mettere in atto ed hanno aderito alla narrazione che di questa concorrenza è riuscita ad imporre la classe dominante attraverso i suoi rappresentanti politici (dai Lega ai liberali, da democristiani all’UDC, passando per Verdi e social-liberali).
Tutti hanno raccontato, con gradi ed intensità diverse di un mercato del lavoro reso più difficile (per i residenti) dalla concorrenza che ad essi giungeva dalla nuova e massiccia presenza, soprattutto in settori non tradizionali come quello impiegatizio e della vendita, da parte dei lavoratori frontalieri, cresciuti di un buon 50% , superando le 60’000 unità.
Naturalmente tutti dimenticavano di dire che le condizioni di questa concorrenza erano imposte congiuntamente da Stato e imprese che, in un gioco delle parti quasi perfetto, riuscivano infine ad imporre la logica della pressione e delle diminuzione salariale. Le imprese attraverso un’offerta sempre più bassa a livello dei salari, incentivando il subappalto (ai cosiddetti “padroncini”, spesso “falsi indipendenti” provenienti da oltre frontiera; il Cantone attraverso la fissazione di salari estremamente bassi (3’000 franchi mensili) con la promulgazione di contratti normali di lavoro (CNL) che diventavano di fatto il nuovo limite legale per i salari.
Questa miscela esplosiva non poteva che tramutarsi nella crescita della rabbia dei salariati che, in mancanza di sindacati e partiti politici che la raccogliessero e la orientassero verso una mobilitazione sociale e verso una politica di unità e di lotta contro il padronato, ha trovato un nuovo e forte approdo in orientamenti politici di destra.
È questa, a grandi linee, la dinamica che ha portato alla vittoria, chiara e netta della destra, nelle ultime elezioni cantonali.
PLRT e Lega, nemici – amici
La campagna elettorale si è mossa all’insegna della “lotta” tra PLRT e Lega. E se lotta vi è certamente stata, essa si è limitata a quella per la conquista del secondo seggio in governo (ambito dal PLRT e occupato dalla Lega). Per il resto tra i due partiti si è consolidata un’ampia concordanza di vedute. Basterebbe qui richiamarne alcune: la volontà di diminuire la spesa pubblica attraverso una politica di austerità, la determinazione a diminuire le imposte per detentori di patrimoni e per le imprese, una politica tesa a dividere i salariati tra buoni (i cosiddetti indigeni) e cattivi (stranieri e frontalieri) in nome dell’ampiamente condivisa “preferenza cantonale”, la richiesta di sempre più deregolamentazioni nell’ambito delle condizioni di lavoro e contrattuali, il freno alla spesa e all’indebitamento: e la lista potrebbe continuare a lungo.
In questa prospettiva non sorprende che PLRT e Lega escano vincitori dalla contesa elettorale (se prendiamo come elementi di riferimento le schede per il Gran Consiglio entrambi guadagnano circa 3’000 schede). Essi hanno saputo dare espressione politica (con sfumature diverse ma sulla base di orientamenti programmatici assai vicini) al rancore dei salariati nei confronti di una società che sempre più li penalizza e opprime. E hanno saputo, questi partiti politici, giocare sulle corde della divisione tra i salariati, contribuendo in modo determinante (anche qui con sfumature diverse) il capro espiatorio (frontalieri e lavoratori stranieri in generale) verso i quali deviare la rabbia e la frustrazione operaia.
La sconfitta della già “alleanza rosso-verde”
Naturalmente da diverso tempo nessuno osa più utilizzare in Ticino questa espressione per indicare l’alleanza tra Verdi e social-liberali. Eppure fino ad almeno un anno il riferimento a questa alleanza (anche in mancanza di una sua concretizzazione) era utilizzata per indicare l’evoluzione elettorale e restava, seppur con le difficoltà incontrate in Ticino a seguito dell’evoluzione dei Verdi, la prospettiva di fondo perseguita sia da social-liberali che da Verdi a livello nazionale.
In Ticino questa alleanza esce malconcia dalle elezioni. Perde due seggi in Gran Consiglio e vede una flessione in voti (leggera per i social-liberali), pesantissima per i Verdi (che per il Gran Consiglio perde praticamente un elettore su cinque rispetto a quattri anni prima).
Le ragioni sono presto dette e, in qualche misura, sono collegate all’analisi fatta prima per quel che riguarda in vincitori. Per i social-liberali essa legata non solo alla loro riproposizione della logica fallimentare del “rinnovamento” e “rafforzamento” delle cosiddette misure di accompagnamento; ma anche ad una politica di governo appiattita a quella degli altri partiti (pensiamo alle posizioni sulle finanze pubbliche o a quella sulla pianificazione ospedaliera) o, nel caso della scuola, ad una serie di proposte e di iniziative che hanno sicuramente tolto molti consensi (nella stessa base degli insegnanti di sinistra) al ministro social-liberale Bertoli ed al suo partito.
Per i Verdi il declino è duplice. Da un lato essi soffrono della tendenza in atto ormai a livello europeo (ed iniziata in Ticino già con le precedenti elezioni comunali) e dall’altro la loro pesante evoluzione a destra, sul terreno della Lega e dell’UDC (simbolizzata nel loro sostegno all’iniziativa contro l’immigrazione di massa). Uno spostamento che ha tolto consensi di un elettorale tradizionalmente “rosso-verde” e che non poteva essere compensato dall’arrivo di elettori di destra che preferiscono…l’originale leghista.
La lista MPS-PC: una piccola controtendenza
Il risultato della lista MPS-PC (che guadagna circa 300 liste per il Consiglio di Stato e circa 250 liste per il Gran Consiglio, ottenendo un secondo seggio) è un piccolo elemento incoraggiante. Esso è la cristallizzazione di alcune campagne che, soprattutto l’MPS, sono state condotte in questi anni, cercando di mostrare un’alternativa alla politica del governo: da quella contro il dumping di Stato (cioè la fissazione di salari minimi legali a 3’000 franchi) a quella contro la pianificazione ospedaliera all’insegna della soppressione degli ospedali di valle e di una nuova ulteriore apertura ai privati. Abbiamo condotte queste campagne sul terreno concreto, cercando coinvolgere la popolazione, i salariati, nella misure delle nostre possibilità. Abbiamo legato queste campagne ai mutamenti in atto nella riorganizzazione del capitale e alla sua penetrazione in settore nuovi (pensiamo a quello della sanità).
Abbiamo cercato, in poche parole, di suscitare qualche piccola ma significativa resistenza. Il voto alla nostra lista lo interpretiamo come un segnale, un sostegno, un incoraggiamento a proseguire nella stessa direzione.
Ed è quello che faremo.