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mogherQuando eravamo bambine/i capitava di giocare a “Napoleone dichiara guerra a….”. Probabilmente anche a Miss Pesc Federica Mogherini, per quanto più giovane, è capitato di giocarci, o almeno così sembrerebbe dalle decisioni sulla “missione militare contro i trafficanti di uomini” prese dall’Unione europea su sua proposta. Caratteristica del gioco era infatti quella di “dichiarare guerra” a chiunque, a caso e senza motivo. E la missione Ue pare risponda perfettamente a quelle caratteristiche.

In realtà, come si legge sui giornali, la missione – che risponderebbe al modello della “gestione delle crisi” – si ferma per il momento solamente al livello di pattugliamento navale e raccolta di informazioni, aspettando una risoluzione Onu ed un sostegno almeno politico della Nato per eventuali operazioni militari in senso proprio.
Ma operazioni di che tipo? E contro chi?
E’ infatti evidente a qualsiasi persona dotata di buon senso che non sia possibile fare la “guerra agli scafisti” intervenendo in mare contro le carrette o barche già affollate di migranti. Oddio, in realtà lo si è gia fatto, a partire da quanto successe nel marzo 1997 con l’affondamento della Kate i rades da parte di una corvetta della Marina italiana (D’Alema presidente del Consiglio).
D’altra parte anche la distruzione delle stesse barche a terra, sulle coste libiche, una volta ottenuto il via libera dall’Onu e dalla controparte libica (quale poi?) non sembra poter risolvere il problema, né della spinta alla migrazione né della presenza di trafficanti disposti a srfruttarla.

In realtà l’obiettivo vero non è quello di fare la guerra agli scafisti, quanto quello di impedire una migrazione di massa e di provare a “gestirla e controllarla” attraverso una politica fatta di diversi elementi: quote di “ospitalità” da dividersi tra i paesi europei, guerra ai trafficanti, ripristino delle condizioni politiche in Libia (e negli altri paesi del nord Africa) affinché possano collaborare nel controllo delle migrazioni, pattugliamento del Mediterraneo per evitare la partenza delle barche o per intercettarle.
In questo senso è una guerra alle/ai migranti, non perché obiettivo diretto di eventuali azioni armate siano loro, quanto perché l’obiettivo genereale è impedire una migrazione di massa verso l’Europa.
Obiettivo che tutti sanno bene non essere praticabile con mezzi militari, per cui la missione si fermerà solamente ad un’operazione propagandistica da un lato, mentre cercherà di impedire comunque che migliaia di migranti e profughi si mettano in mare.

Resta esclusa qualsiasi soluzione che preveda un cambio di direzione netto in materia di politica di asilo e di accoglienza, prevedendo norme che garantiscano di poter entrare in Europa senza alcuna difficoltà e solo successivamente iniziare le pratiche di “regolarizzazione”.
Questo cambio è particolarmente necessario per le donne e gli uomini che provengono (fuggono) da situazioni di guerra o feroce repressione, perché garantirebbe loro di poter entrare in Europa senza dover ricorrere ai “trafficanti di persone”.
Non sono gli scafisti a favorire la clandestinità. Sono le leggi che obbilgano alla clandestinità che aiutano l’mergere di trafficanti e scafisti.
Così come l’assenza di una politica europea comune, aperta e accogliente, sull’asilo provoca il rifiuto di molte/i rifugiate/i di fermrsi in un paese che non garantisce loro condizioni minime di sicurezza e dignità (come è il caso dell’Italia), scontrandosi con le regole europee – che in Italia vengono disattese in maniera nascosta anche se a conoscenza di tutti.

La missione militare rappresenta una forma nuova di colonialismo nei confronti del continente africano, abbandonato al suo destino per quanto riguarda ogni possibilità di sviluppo economico e controllato da vicino per ciò che concerne la libertà di circolazione dei suoi cittadini.
L’intervento verso la Libia serve anche a mantenere sotto controllo la situazione politica e militare di quel paese, oggi in preda ad una guerra civile e agli appettiti di diverse potenze regionali (l’Egitto del dittartore al Sissi in prima fila). La mancanza di qualsiasi strategia poltica che affronti le questioni del debito, dello scambio commerciale, del co-sviluppo e della libertà di circolazione lascia aperta solo la strada dell’intervento militare. Inutile – perché certamente non sarà in grado di creare le condizioni per una pacificazione in Libia e la consegnerà ad una nuova spartizione di interessi -, costoso e pericoloso.

Per affrontare seriamente l’emergenza di migliaia di profughi sulle coste libiche e in altre situazioni di pericolo, si deve prevedere ad un’operazione straordinaria di recupero e trasporto verso l’Europa, attraverso corrdidoi e traghetti umanitari (come propone Alarm Phone). Un operazione davvero di contrasto ai trafficanti perché eliminerebbe la loro necessità e riporta la libertà di circolazione ad una reale possibilità, senza doverla affidare a scafisti e sfruttatori.