Una capitolazione disastrosa
Il governo Syriza ha appena firmato un nuovo accordo di salvataggio. È un pessimo accordo, per ragioni evidenti che esporrò.
In primo luogo questo accordo è recessivo. Farà cadere l’economia greca in recessione. Poiché i soli aumenti di imposta arrivano al 2% del PIL. Riguardano soprattutto l’IVA, imposta indiretta prelevata su prodotti consumati principalmente dai lavoratori.
Ma riguardano anche le imprese, e colpiranno in primo luogo le piccole e medie imprese, che restano la spina dorsale dell’economia greca. L’agricoltura è senza dubbio il settore più duramente colpito da questo aumento: l’imposta sul reddito versata dagli agricoltori raddoppierà, ed essi saranno sottoposti a nuovi obblighi. Queste misure sono incontestabilmente recessive. Arrivano in un momento in cui l’economia greca vacilla al bordo del precipizio. Non c’è dubbio che la faranno precipitare nella recessione.
In secondo luogo, l’accordo impone misure chiaramente inegualitarie. Queste inaspriranno le disuguaglianze nel paese. Nessuno venga a dirvi il contrario: il grosso delle entrate fiscali verrà dalle imposte indirette, delle quali si sa che sono fattore di disuguaglianza. Le disuguaglianze aumenteranno perché le misure impongono di prendere 800 milioni all’anno dalle pensioni. Questo farà pesare un carico ulteriore sui pensionati, che in generale sono già tra gli strati più poveri della popolazione. E certamente le disuguaglianze cresceranno anche perché la disoccupazione aumenterà quest’anno e l’anno prossimo.
Questo accordo poi è cattivo perché non rimedierà per niente al problema del debito del paese. Non prevede una ristrutturazione del debito. Sostituirà una categoria particolare del debito con un’altra. Potrebbe comportare un miglioramento marginale – marginale – sul piano dei tassi d’interesse e sulla scadenza del debito. E questo aumenterà senza dubbio di 20-25 miliardi per ricapitalizzare le banche. Secondo l’FMI il rapporto del debito sul PIL dovrebbe passare al 200% l’anno prossimo. Molto probabilmente è quanto avverrà.
In quarto luogo, l’accordo non prevede assolutamente niente per lo sviluppo del paese. Il «pacchetto» di 35 miliardi di euro semplicemente non esiste. Queste somme sono già state assegnate alla Grecia nei diversi fondi. Non sappiamo né quando né come il paese riceverà denaro fresco. Dunque, niente in materia di sviluppo.
Infine, questo accordo è chiaramente di tipo neocoloniale. Il governo di sinistra ha firmato un accordo neocoloniale. È tale per diverse ragioni. Ne faccio presenti tre: la prima è che l’accordo prevede l’istituzione di un fondo di privatizzazione di 50 miliardi di euro, sotto controllo straniero, che avrà per missione di vendere i beni pubblici. I primi 25 miliardi saranno destinati alle banche. Se resta qualche cosa– e non resterà niente perché non si raggiungeranno mai 50 miliardi– le somme serviranno al rimborso del debito e, forse, agli investimenti. Di conseguenza, questo fondo venderà tutto quello che è possibile vendere per ricapitalizzare le banche. Abbiamo accettato di vendere i nostri gioielli di famiglia per ricapitalizzare le banche greche in fallimento.
Abbiamo anche accettato di condurre riforme dell’amministrazione pubblica sotto la bacchetta dell’UE. Abbiamo accettato di sottometterci a un controllo che non solo sarà severissimo, ma che durerà assai più a lungo dei tre anni di durata dell’accordo.
Ai miei occhi, questo accordo rappresenta una capitolazione disastrosa. Non è Brest-Litovsk. Quanti tra voi lo credono, sbagliano. Non si tratta di guadagnare tempo per consolidare il potere bolscevico a Mosca e Leningrado. Non si tratta di guadagnare tempo, perché non c’è tempo da guadagnare. Il tempo, caso mai, gioca a favore del nemico. Non è una manovra tattica.
Questo accordo pone il paese su una via che ha una sola uscita. Un’uscita che non serve gli interessi del popolo. Quanto a sapere chi è il vero vincitore dell’accordo, è l’evidenza stessa. Il vincitore vi sta davanti. È l’oligarchia che si esprime nei media di massa. Per questo i media esultano e celebrano la vittoria. A volte la realtà è esattamente quella che sembra. È inutile grattare la superficie. Se leggete i grandi giornali e ascoltate i media, sapete chi ha vinto.
Il prodotto di un errore strategico
Allora perché? Perché questa capitolazione? Perché ci si è arrivati dopo il grande entusiasmo di sei mesi fa, dopo il forte sostegno che ci hanno dato le mobilitazioni della base in questo paese e in Europa? Perché? Per me la risposta è chiara. Si tratta di una cattiva strategia, strategia che è stata molto buona per vincere le elezioni, ma che si è rivelata disastrosa quando Syriza è arrivata al potere. Questa cattiva strategia ha fatto cilecca. Che strategia è? È molto semplice, ed è stata formulata esplicitamente molte volte. Realizzeremo un cambiamento radicale in Grecia, un cambiamento radicale in Europa, e lo faremo dall’interno della zona euro. Questa era la strategia. Ebbene, non è possibile. Punto e basta. Gli ultimi mesi hanno dimostrato che semplicemente non era possibile.
Non è una questione di ideologia – neoliberista o di altro tipo. Non è una questione di riequilibrio dei rapporti di forza politici. Quante volte ho sentito parlare di riequilibrio? Ed ecco che questo dibattito torna sul tavolo, che si ripropone questo argomento: «Aspettiamo che i rapporti di forza politici cambino in Europa, se Podemos viene eletto le cose saranno diverse». Potrete aspettare a lungo. Molto a lungo. Non è così che la situazione cambierà.
Perché? Perché l’unione monetaria, della quale la Grecia fa parte, non è di natura ideologica. Alla fine lo è anche, ma non si tratta solo di ideologia. Né di riequilibrio di rapporto di forze. È un meccanismo istituzionale. Prima i greci lo capiranno, meglio sarà per tutti noi. Abbiamo a che fare con un meccanismo istituzionale, con un’unione monetaria, un insieme gerarchico che agisce nell’interesse delle grandi imprese e di un piccolo numero di paesi membri. Questa è la natura dell’unione economica e monetaria.
Storicamente, questa unione monetaria è fallita. In Grecia, il suo fallimento è palese. Ha rovinato il paese. E più la Grecia si aggrappa al suo posto nell’un ione, più distrugge il suo popolo e la sua società. È un fatto che la storia delle unioni monetarie ha stabilito da molto tempo. Il problema è che ogni volta la gente si rifiuta di guardare in faccia la realtà.
La questione del denaro
Permettetemi di fare una digressione sulla questione della moneta – dopo tutto, mi rivolgo qui a un pubblico di universitari e sono trent’anni che studio il denaro. Il denaro è certo l’equivalente universale. La merce delle merci. Sono molto tradizionalista in proposito.
Sotto la sua forma più semplice e pura è una cosa. La maggior parte delle persone considera che l’oro è moneta. In alcuni casi è ancora vero. Quando è una cosa, funziona in modo cieco e automatico, come fanno tutte le cose. Ed è oggetto di reificazione. I rapporti sociali si incarnano in questa cosa. In modo cieco e meccanico, la società si sottomette a questa cosa. Lo sappiamo da molto tempo. Keynes parlava di schiavitù del metallo giallo.
Certo, la moneta moderna non è una cosa di questo tipo. Resta una cosa, ma non una cosa con la forma di una merce prodotta. È controllata. Resta moneta ma è controllata. Controllata da istituzioni, da comitati, da meccanismi, tutta una gerarchia di rapporti. Questa gerarchia e questo quadro producono reificazione. Una reificazione diversa da quella dell’oro. Quello che le istituzioni reificano è la pratica. L’ideologia e gli interessi di classe si reificano nella pratica, nella stessa istituzione.
È quello che la sinistra, in Europa e in Grecia, si è dimostrata incapace di comprendere: i meccanismi dell’Unione europea e monetaria sono una pratica di classe reificata. Punto e basta. Non potete trasformarli perché avete vinto le elezioni in Grecia. È impossibile. Né potrete cambiarli perché domani Podemos sarà al potere in Spagna. Non è possibile. Dunque, delle due cose l’una: o distruggete questo edificio, o lo accettate così com’è. Ormai ne abbiamo la prova irrefutabile.
Un programma radicale presuppone un piano di uscita dall’euro
Ma la vera domanda è la seguente: che fare ora? Ve lo dico io, e su questo punto la mia pratica ha valore di prova. La sola posizione coerente al parlamento in questi ultimi giorni – coerente su due punti: il mandato elettorale ricevuto da Syriza il 25 gennaio, e il referendum dove il popolo ha detto molto chiaramente no ai piani di salvataggio – la sola posizione coerente era dire no. Non sì.
Non è una questione di coscienza morale. Io rispetto la coscienza di ciascuno, capisco la difficoltà morale provata da ciascun deputato, ciascun membro di Syriza, ciascun cittadino greco. Ma non è una questione morale. Non suggerisco assolutamente che il «no» sia moralmente superiore al «sì». Tengo a dirlo molto chiaramente. Qui non si tratta di morale, ma di giudizio politico.
Qui è la politica che conta, e il giusto orientamento politico da prendere era dire no. È la sola opzione che permette di restare coerenti con la volontà popolare, con le promesse che abbiamo fatto al popolo, e con le misure che potremo prendere in futuro.
Se questo orientamento è mantenuto, il «sì» ci piomberà verosimilmente in immense difficoltà. Immense difficoltà per le ragioni che vi ho detto e che riguardano il contenuto dell’accordo. Non è possibile accettare questo accordo e trasformare la Grecia. Non sarà possibile perché l’accordo contiene meccanismi di controllo durissimi. Questi tipi dell’estero non sono idioti. Sanno esattamente di che cosa si tratta. E imporranno delle condizioni, delle regole, dei meccanismi di controllo che impediranno a Syriza di prendere misure che vadano nel senso di ciò a cui molti aspirano.
La prova del pudding è nel mangiarlo. Questi esigono già il ritiro della maggior parte delle leggi che abbiamo adottato nel corso nei cinque mesi scorsi nell’interesse dei lavoratori. E noi le ritireremo. Ci costringono a farlo. E voi immaginate che a partire da adesso potrete adottare altre misure legislative radicali? Ma su quale pianeta vivete? È impossibile. E non sarà possibile.
Ritornare sull’accordo appoggiandosi sul No al referendum
Allora, che fare? Dobbiamo ritornare sull’accettazione di questo accordo. E concepire un programma radicale compatibile con i nostri valori, i nostri obiettivi e i discorsi che abbiamo tenuto al popolo greco in tutto questo tempo, in tutti questi anni. E questo programma radicale è impossibile senza un’uscita dall’euro. La sola cosa sulla quale dobbiamo veramente lavorare, è lo sviluppo di un piano di uscita dall’euro che ci permetta di mettere in atto il nostro programma. È talmente evidente che sono stupefatto che non lo si sia ancora capito dopo cinque mesi di fallimento dei negoziati.
Abbiamo le forze richieste? Sì. Sì, perché il referendum, dove il «no» ha trionfato in modo indiscutibile, ha dimostrato due cose. Tanto per cominciare, ha dimostrato che l’euro è un affare di classe. Non è una forma di denaro impersonale.Come vi ho detto, cristallizza e contiene rapporti di classe. E la gente l’ha capito istintivamente: i ricchi hanno votato «sì», i poveri hanno votato «no» al referendum. Punto e basta.
Seconda cosa dimostrata dal referendum, e questo rappresenta un enorme cambiamento: per la prima volta da cinque anni, i giovani greci si sono espressi. Eravamo in molti ad attendere che lo facessero. E infine lo hanno fatto. E i giovani, questi giovani così attaccati all’Europa, così colti, senza dubbio così lontani da tutti quei dinosauri di estrema sinistra che credono ancora in Marx e soci, questi giovani greci che beneficiano dei programmi Erasmus e viaggiano dappertutto, questi giovani hanno detto no all’80%. Questa è la base di un discorso radicale e di un riorientamento per Syriza oggi. Se noi diciamo sì, se manteniamo il sì, perderemo i giovani. Ne ho la certezza assoluta.
Come organizzare un’uscita dall’euro?
Allora, come iniziare questo nuovo orientamento? È una cosa impossibile? Non immaginate che non esista un piano per uscire da questa disastrosa unione monetaria e mettere in atto una strategia radicale. Un piano esiste. Solo, non lo si è mai utilizzato. Non lo si è mai sviluppato, mai studiato in modo approfondito. Per metterlo in atto bisogna svilupparlo, e ci vuole, soprattutto, una volontà politica.
Tale piano, sotto forma di foglio di viaggio, contiene alcuni punti molto chiari.
In primo luogo, insolvenza sul debito nazionale. L’insolvenza è l’arma dei poveri. La Grecia deve essere insolvente. Non c’è alcun’altra porta di uscita. Il paese è schiacciato dal suo debito. Un’insolvenza sarebbe dunque un primo passo verso una profonda cancellazione del debito.
Secondo, nazionalizzazione delle banche. Nazionalizzazione efficace delle banche. Con questo voglio dire che si nominerà un commissario pubblico e un gruppo di funzionari e di tecnocrati che ci sappiano fare. Gli si chiederà di dirigere le banche e mandare a casa i membri delle attuali squadre dirigenti. Questo è quel che si deve fare. Senza la minima esitazione. E di conseguenza, cambieremo la struttura giuridica di questi istituti. È una cosa moltofacile da fare. Le banche continueranno a funzionare sotto un regime di controllo dei capitali. A questo punto si sarà fatta metà del percorso per uscire da questa catastrofica unione monetaria. Ma bisognerà mettere in atto un controllo adeguato delle banche e dei capitali, non il pietoso controllo che abbiamo visto nelle due ultime settimane. Questo dovrà permettere ai lavoratori e alle imprese di ritrovare un’attività normale. È del tutto possibile. Lo si è visto a più riprese.
Terzo, conversione di tutti i prezzi, di tutte le obbligazioni, dell’insieme della massa monetaria nella nuova divisa. Si può convertire tutto quello che dipende dal diritto greco. I depositari perderanno una parte del loro potere d’acquisto, ma non sul valore nominale dei loro depositi. Ma ci guadagneranno, perché diminuirà anche il potere d’acquisto del loro debito. Dunque, la maggioranza ne uscirà probabilmente guadagnandoci.
Quarto, organizzazione dell’approvvigionamento dei mercati protetti: petrolio, prodotti farmaceutici, alimentari. È del tutto possibile, definendo un ordine di priorità, dunque bisogna prepararsi un po’ prima, non all’ultimo minuto. È evidente che se pensate di mettere all’opera tutto questo il lunedì mattina, e cominciate a pensarci la domenica, la cosa sarà difficile. Ne convengo.
Infine, determinare come si alleggerirà la pressione sul tasso di cambio. Il tasso di cambio, probabilmente affonderà, poi risalirà. È quanto succede in generale. Si stabilizzerà a un livello svalutato. Prevedo una svalutazione del 15–20% alla fine. Bisogna dunque sapere come si padroneggerà la situazione.
Quali saranno gli effetti di un’uscita dall’euro?
Che succederà dunque se prendiamo questa via? Prima di tutto, bisogna prepararsi tecnicamente e, soprattutto, bisogna preparare il popolo. Perché una cosa simile è impossibile senza di lui. Infine, non è del tutto vero: si può fare a meno del popolo, ma in tal caso bisogna mandare i carri armati nelle strade. Si può fare anche questo. Ma non è l’orientamento della sinistra. La sinistra vuole arrivarci con la partecipazione del popolo, perché vogliamo liberarlo in questo modo, vogliamo farlo partecipare.
Che succederà dunque se prendiamo questa via? Ho visto delle simulazioni e delle modellizzazioni econometriche dell’effetto che questo potrà avere sul PIL, sui prezzi, ecc. Questo genere di cose, a volte è molto utile e interessante da leggere. Ma in questo caso le simulazioni non hanno il minimo valore. Perché? Perché, essenzialmente, la simulazione e l’econometrica si basano sulla conservazione delle caratteristiche strutturali del modello. Se no qualsiasi simulazione è impossibile. Qui, come progetto noi trasformiamo la struttura. È un cambiamento di regime. Ora, in altri termini, se qualcuno decide di rimettere a cultura il suo vigneto, come prevederne gli effetti? È quello che succederà. Ci sarà un cambiamento strutturale. Dunque, tutte le previsioni con i numeri, non valgono molto. Non credete a quelli che vi dicono che ci sarà una recessione del 25% , una contrazione del PIL del 50%. La verità è che non ne sanno niente. Tirano fuori queste cifre dal loro cappello.
Il meglio che si può fare in queste condizioni è concepire delle anticipazioni ragionate, basate sulle esperienze precedenti e sulla struttura dell’economia greca. Immagino che se prendiamo questa via e siamo preparati, entreremo in recessione. Sarà difficile. Durerà probabilmente parecchi mesi, almeno la caduta dureràparecchi mesi. Ma se mi baso sull’esperienza monetaria, non c redo che questa situazione durerà più di sei mesi. In Argentina è durata tre mesi. Poi l’economia è ripartita.
La contrazione durerà dunque parecchi mesi, poi l’economia ripartirà. Viceversa, è probabile che occorrerà attendere più a lungo per riprendere tassi di crescita positivi, perché il consumo, la fiducia, e le piccole e medie imprese subiranno senza dubbio un duro colpo. Suppongo che si tornerà a tassi di crescita positivi in capo a 12 – 18 mesi.
Dopo che il paese sarà uscito da questo periodo di aggiustamento, penso che l’economia tornerà a tassi di crescita rapidi e sostenuti. Per due ragioni. Prima, la riconquista del mercato interno. Il cambio di divisa permetterà al settore produttivo di riconquistare il mercato interno, di ricreare opportunità e attività, tutte cose che si sono viste ogni volta che si sono prodotti avvenimenti monetari di questa ampiezza. E un governo di sinistra favorirà la ripresa in modo che sia più rapida e solida. In parte perché le esportazioni molto probabilmente ripartiranno; in parte perché si metterà in atto un programma sostenuto di investimenti pubblici che favorirà anche gli investimenti privati e produrrà crescita per parecchi anni. Queste le mie previsioni, che non ho il tempo di sviluppare qui.
La via della saggezza…
Vorrei aggiungere due cose. Non si tratta di un’uscita dall’Europa. Nessuno sostiene quest’idea. L’euro, l’Unione europea e monetaria, non si confonde con l’Europa – questo valore disincarnato, che ci tormenta da così tanto tempo. Qui parliamo di uscita dall’Unione monetaria. La Grecia resterà membro dell’Europa e delle strutture europee finché il popolo greco lo vorrà. Questa strategia mira al contrario a liberare la Grecia dalla trappola costituita dall’unione monetaria, a permetterle di recuperare una crescita sostenuta e la giustizia sociale, a rovesciare il rapporto di forza a favore dei lavoratori del paese. Mi dispiace ma non c’è un’altra strategia. Immaginarsi il contrario è inseguire delle chimere.
Non so se la Grecia sceglierà questa strategia. Mi sono imbattuto di recente in una frase molto interessante, attribuita a un primo ministro israeliano. Diceva che le nazioni prendono la via della saggezza, ma solo dopo avere provato tutte le altre. Nel caso della Grecia, temo che non sia quello che ci attende. La via della saggezza è quella dell’uscita dall’euro e del cambiamento sociale. Spero che Syriza lo capisca e dica no. Che non firmi questo accordo. Che ritorni ai suoi principi radicali e ai suoi valori radicali. Che faccia una nuova proposta alla società greca e si avvii sulla via della saggezza.
*Deputato eletto al Parlamento greco, membro della Piattaforma di sinistra di Syriza, e professore di economia alla SOAS (School of Oriental and African Studies, Londra).