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7724 thumbfourthPubblichiamo qui di seguito la dichiarazione sulle vicende greche approvata dal Bureau esecutivo della IV Internazionale. Si tratta di un testo che, proprio perché frutto della discussione delle compagne e dei compagni che, in rappresentanza delle diverse organizzazioni che in numerosi paesi aderiscono alla IV Internazionale, analizza le conseguenze di quanto accaduto non solo all’interno del paese ellenico, ma a livello internazionale, in particolare europeo.

La firma del governo Tsipras all’accordo richiesto dalla Troika e l’attuazione di un terzo memorandum in Grecia rappresentano un’innegabile vittoria per le forza capitaliste in Europa. Questa firma significa rinnegare il mandato dato dal popolo greco attraverso il No massiccio ottenuto durante il referendum dello scorso 5 luglio. In quest’occasione, un voto di classe ha, senza alcuna possibile ambiguità, rigettato il progetto di accordo richiesto dalla Troika. Attraverso questo voto veniva riaffermato con forza il rifiuto delle politiche di austerità e di miseria proprie dei due primi memorandum attuati dai partiti conservatori e socialdemocratici, rifiuto che aveva già condotto alla vittoria di Syriza lo scorso gennaio.
Questo voltafaccia si è manifestato all’indomani del referendum. Tsipras, per seguire le esigenze dei negoziatori dell’Eurogruppo, ha stilato una dichiarazione di Unione nazionale con quei partiti sottomessi alla Troika (Nea Democratia, Pasok e To Potami) appena sconfessati nelle urne.
L’accordo accettato qualche giorno più tardi era per la popolazione greca ancora più devastante rispetto a quello rigettato il 5 luglio. L’Unione europea, la Bce e i governi conservatori e socialdemocratici europei hanno imposto un accordo facendo a pezzi il resto dei diritti sociali e istituendo una vera e propria tutela coloniale che toglie ogni decisione sovrana alle istituzioni nazionali greche. La creazione di un’agenzia per la privatizzazione dei beni pubblici greci sotto il controllo diretto dei creditori amplifica la vendita a pezzetti del patrimonio nazionale.
La resistenza ad una tale capitolazione si è espressa fin da quando è stato annunciato il progetto di accordo dalla Piattaforma di sinistra di Syriza, da una maggioranza dei membri del Comitato Centrale, dalle altre forze della sinistra impegnate nella battaglia per il No, in particolare dai militanti di Antarsya, ed inoltre vi sono state numerose reazioni sindacali. La protesta si è manifestata anche nelle piazze, con alcune manifestazioni violentemente represse dal governo, con molti militanti manganellati, attaccati dalla polizia anti sommossa, perseguitati e condannati in tribunale per aver semplicemente richiesto il rispetto delle decisioni popolari. Le brutalità della polizia degne dell’epoca di Samaras hanno ricevuto il sostegno di Tsipras e del suo nuovo governo.
La violenza dell’offensiva condotta dai dirigenti dell’Unione europea è all’altezza della posta in gioco: provare, malgrado le scelte democratiche del popolo greco, che in Europa non esiste alcuna alternativa ai piani di austerità fissati dalla classe dirigente europea. Oramai è chiara una cosa, nel caso non lo fosse già stato in precedenza: oggi un governo della sinistra radicale non può opporsi all’austerità dentro l’eurozona senza prepararsi ad uscirvi o ad essere espulsi da essa.
Legando l’appartenenza della Grecia allo spazio dell’Unione europea e al rispetto di questi diktat, si è di nuovo manifestata la vera natura di questa Unione: una costruzione antidemocratica, che sfugge al controllo popolare e che non ha per nulla come obiettivo una convergenza verso l’alto della condizione economica e sociale delle popolazioni europee. Il suo unico obiettivo, confermato dall’evoluzione delle economie dal 2002, è la realizzazione di un mercato e di un supporto monetario favorevole alle economie esportatrici dei paesi del Nord, che si consolidi attraverso la decostruzione dei diritti sociali conquistati in ciascuno spazio nazionale e attraverso un’austerità infinita. La stabilità monetaria ha avuto come corollario la svalutazione salariale. La costruzione europea, tramite i severi vincoli dei trattati di Maastricht e di Lisbona, «incisa nel marmo», appare come uno scenario che non può essere contestato da alcuna scelta popolare.
La prospettiva apertasi nel gennaio 2015 non era dunque quella dell’autoisolamento del popolo greco dal resto dei popoli d’Europa, bensì la rimessa in discussione e la rottura con le regole dell’Unione avanzata dal popolo greco come primo violento colpo assestato all’interno di un edificio che non potrà che essere abbattuto da una mobilitazione dell’insieme delle popolazioni europee.
I dirigenti capitalisti europei, conservatori e socialdemocratici non hanno mai accettato la formazione di un governo che ha come programma la fine delle politiche di austerità e dei memorandum. Syriza rappresentava una chiara alternativa alle politiche condotte dalla Nea Democratia di Samaras così come dal Pasok. Il suo programma elettorale esprimeva chiaramente la volontà di sfidare i diktat della Troika. Dunque, questa esperienza politica ha rappresentato la possibilità agli occhi delle lavoratrici e dei lavoratori, in Grecia come in tutta l’Europa, che un partito fondato su un programma antiausterità possa affermarsi con forza, imporsi alle forze reazionarie e far valere un orientamento di rottura con le esigenze dei capitalisti europei.
Ma i mesi che si stanno susseguendo hanno mostrato che, per rispondere ad una tale sfida, occorre impegnarsi in uno scontro di classe interno alla Grecia, così come contro la classe dirigente europea, il suo proto-Stato e le sue banche, rimettendo in causa il debito illegittimo, le istituzioni e i Trattati dell’Unione europea.
La direzione Tsipras ha voluto realizzare una scommessa impossibile: porre fine alle politiche di austerità in Grecia conformandosi alle regole dell’Unione europea e a rispettando il rimborso del debito.
Assumendo i debiti contratti dai governi precedenti e continuando a versare più di 7 miliardi di euro alla Bce e al Fmi negli ultimi sei mesi, accettando l’allargamento di liquidità dei fondi di assistenza di urgenza (Ela), il governo greco non si è sbarazzato del cappio legato al collo del popolo greco dalla Troika. Eppure l’audit chiesto dalla Vouli (Parlamento greco) ha dimostrato il carattere odioso e illegittimo di questo debito e ha condotto numerosi deputati greci alla richiesta della fine immediata del pagamento del debito. Tsipras ha rifiutato la fine del pagamento del debito, così come ha rifiutato di bloccare la fuga dei capitali e di nazionalizzare le banche e la banca centrale greca, unico modo per prendere realmente il controllo del sistema bancario.
L’argomento avanzato per giustificare questa politica e accettare infine una tale capitolazione è che questa è l’unica strada che assicura di evitare l’asfissia delle banche greche e la bancarotta del paese, così come di evitare la Grexit. Tsipras ha, quindi, affermato che non esisteva nessun’alternativa a tale scelta. In queste ultime settimane ha avanzato costantemente contro i suoi oppositori di sinistra l’argomento della moneta: rifiutare i diktat e la capitolazione avrebbe, secondo lui, spinto la Grecia fuori dalla zona euro, ossia dall’Unione europea. Durante la campagna per le elezioni politiche, Syriza aveva, tuttavia, assunto come parola d’ordine «nessun sacrificio in nome dell’euro».
L’euro e le regole della Bce, uscite dal Trattato di Maastricht, sono state utilizzate, assieme al debito, come un secondo cappio stretto alla gola del popolo greco con l’obiettivo di strangolarlo.
Evitare la Grexit, minaccia contro la Grecia assunta dall’insieme dei governi europei, è diventata il per il governo Greco una conditio sine qua non, che porta all’abbandono di ogni politica offensiva sulla questione del debito e dell’attuazione del programma antiausterità di Syriza. Il rifiuto dell’uscita dalla zona euro è diventato un imperativo categorico.
Pertanto, dopo molti mesi, ed in particolare durante la campagna referendaria per il NO, la sinistra greca e in particolare la Piattaforma di sinistra all’interno di Syriza, hanno avanzato proposte chiare in vista di un’altra politica, una linea di scontro e di rottura con i dirigenti e le regole dell’Unione europea. Queste scelte alternative pongono al centro la presa del controllo sociale attraverso la nazionalizzazione dell’insieme del sistema bancario, la sospensione unilaterale del rimborso del debito, il blocco della fuga dei capitali, la fine delle privatizzazioni, l’applicazione immediata delle misure sociali previste dal programma di Salonicco. E in vista della loro realizzazione, che impone una lotta contro l’oligarchia greca e i suoi privilegi, che ci si doveva e ci si deve preparare ad un processo di rottura con le istituzioni europee e, visti i diktat della Troika, ad un’uscita dalla zona euro.
Una tale politica, condotta coscientemente, potrebbe ottenere l’appoggio nel paese di una mobilitazione e di un sostegno massiccio reso possibile grazie alla realizzazione immediata delle misure sociali in favore delle classi popolari. Porre il mantenimento nella zona euro come una frontiera invalicabile serve da scusa soprattutto a fronte della mancata realizzazione delle misure economiche e sociali urgenti.
In conclusione, le scelte di Tsipras conducono all’assoggettamento duraturo del popolo greco e ad una situazione sociale ben più drammatica rispetto a quella che dovrebbe affrontare la popolazione greca in caso di uscita dalla zona euro.
In Grecia non è stata ancora voltata la pagina delle lotte
La piattaforma di sinistra all’interno di Syriza si batterà nelle prossime settimane affinché la Troika non ottenga una nuova vittoria riuscendo a frantumare questo partito e l’esperienza da esso accumulata. E l’insieme degli anticapitalisti greci, dentro e fuori Syriza, dovranno trovare le strade della controffensiva traendo consigli dall’esperienza unitaria dei comitati per l’OXI. Ciò spetta innanzitutto alle forze di Syriza che si oppongono al corso intrapreso da Tsipras e a quelle legate ad Antarsya. Ciò spetta anche alle forze del movimento sindacale e dell’insieme del movimento sociale che hanno agito nella stessa direzione. Il Kke, dalla formazione del governo in gennaio, ha sabotato frontalmente qualsiasi azione comune delle forze antiausterità. Le altre forze della sinistra greca non si rassegnano a questa situazione che, oggi come ieri, rappresenta un ostacolo alla realizzazione di un fronte unico contro l’austerità.
Ma l’evoluzione della situazione greca interpella tutte coloro e tutti quelli che in Europa vogliono opporsi alle forze capitaliste. Il segnale è chiaro: non si può ambire a rimettere in causa le politiche di austerità che subiscono i lavoratori senza uno scontro, senza un processo di rottura con le istituzioni dell’Unione europea, con la prospettiva di un’Europa al servizio dei lavoratori e dei popoli.
Il rispetto del quadro fissato dai trattati, la speranza di poter negoziare un accordo ragionevole con le istituzioni sono sinonimi di sottomissione alle esigenze della BCE e della Commissione. A questo livello non ci possono essere illusioni su margini di accordo magari tramite l’eventuale sostegno dei partiti socialdemocratici, o per lo meno tramite una loro presa di distanza dagli orientamenti più reazionari. Le ultime settimane hanno dimostrato che i dirigenti socialdemocratici hanno calpestato tanto quanto i loro colleghi conservatori le scelte del popolo greco. L’insieme di queste forze politiche hanno agito formando un unico coro. Ancor peggio, la direzione ufficiale del movimento sindacale europeo, la CES, si è anch’essa posizionata a fianco dei «creditori» greci, senza che si sia alzata al suo interno una qualsiasi voce alternativa di disapprovazione.
L’esperienza greca interroga in primo luogo la sinistra dello Stato spagnolo, dove la crescente avanzata di Podemos si è svolta in parallelo ed è stata stimolata da quella di Syriza. Ma essa interroga anche l’insieme del movimento operaio europeo.
Ciascuno sa che l’agenda dei capitalisti in Europa ha in programma ancora più austerità, meno lavoro, meno salario, meno diritti sociali. E’ vitale che la sconfitta che sta per consumarsi in Grecia non si traduca nell’abbandono di ogni prospettiva politica di rimessa in causa radicale delle politiche di austerità, nel rifiuto di spronare alla sospensione del pagamento e all’annullamento del debito illegittimo, in una real politik volta ad evitare l’ostacolo. Così rimarrebbe come unica alternativa alle politiche conservatrici e socialdemocratiche attuali le soluzioni nazionaliste, scioviniste di estrema destra che devastano altrettanto i diritti sociali.
Per calpestare i diritti democratici del popolo greco, la Bce e l’Eurogruppo si sono essi stessi eretti in governo europeo con la pretesa di agire su mandato dei popoli. Così non hanno fatto altro che manifestare ancora di più l’assenza totale di legittimità e di democrazia delle istituzioni europee. Di fronte a questo palese colpo di stato, alcuni come Jacques Delors o François Hollande, vorrebbero creare un governo o un Parlamento della zona euro, un rattoppo ancor più irrisorio delle istituzioni esistenti dell’Unione che sono, per i Trattati, già legati a questa moneta. Le settimane in corso hanno confermato che questo edificio antidemocratico e designato ai soli interessi delle classi dirigenti europee dovrà essere abbattuto per imporre la sovranità popolare.
Non ci sarà alcun programma antiausterità senza porsi l’obiettivo di una mobilitazione popolare, di scontro e di rottura con queste istituzioni e le regole dell’Unione europea. O attraverso un diverso rapporto di forza imposto dai popoli che permetta l’applicazione di una tale politica cambiando totalmente le regole dell’euro, o preparando un’uscita dall’eurozona. Le ultime settimane stanno dimostrando che nei paesi dell’Unione europea tassello indispensabile di una tale politica è la realizzazione di un’azione congiunta, internazionale, che fissi degli obiettivi comuni. In questi ultimi mesi il popolo greco è rimasto tragicamente solo.
Tocca agli anticapitalisti europei elevarsi alla sfida della posta in gioca affinché si costruiscano dalle prossime lotte sociali quei rapporti di forza che permettano di spezzare gli ostacoli e al movimento operaio europeo, politico, sindacale e sociale, di tessere quei legami necessari ad un’offensiva europea contro l’austerità.

 

Dichiarazione del Bureau esecutivo della Quarta Internazionale, 12 agosto 2015