Non è stata una buona serata elettorale [quella di domenica 20 settembre]. Non mi riferisco in particolare al fatto che Unità Popolare non sia riuscita a raggiungere la soglia del 3% che le avrebbe consentito di avere una rappresentanza parlamentare, ma a quello che i risultati elettorali appaiono come la giustificazione della capitolazione di Tsipras di fronte all’Unione Europea e della firma del nuovo memorandum.
Il nuovo accordo di prestito comporterà devastanti tagli e riforme neoliberiste, mentre ora abbiamo un parlamento dominato dalle forze pro-memorandum. Questo è in completo contrasto con il referendum di luglio, quando milioni di persone hanno respinto in massa l’austerità imposta dalla trojka e la conseguente devastazione sociale.
La cinica sfida di Tsipras è stata quella di impostare le elezioni sul piano del dibattito su quale partito (e quale Primo ministro) sarebbe stato meglio in grado di mettere in pratica il memorandum, già approvato da Syriza e dai partiti del sistema il 14 agosto. La sua strategia è stata quella di presentare il memorandum come inevitabile, ineluttabile. Ha eluso quasi ogni riferimento all’accordo, presentando soltanto la scelta tra lui e Vangelis Meimarakis, il leader del partito di centro-destra Nuova Democrazia.. Alla fine, i greci hanno scelto di offrire una seconda possibilità a Tsipras piuttosto che agli altri partiti del sistema. Non si tratta di un voto di fiducia, ma di quello per “il male minore”.
Che i Greci Indipendenti (ANEL) siano riusciti ad entrare in parlamento ha offerto a Tsipras la possibilità di rinnovare la sua coalizione governativa con loro. Per quanto riguarda gli altri partiti pro-memorandum, Nuova Democrazia non è riuscita a fare una concorrenza efficace a Syriza, soprattutto perché ha la responsabilità di avere diretto la coalizione pro-memorandum dal 2011. Il PASOK è riuscito a migliorare il suo risultato di gennaio [recuperando voti grazie alla sparizione della lista del suo ex leader Giorgio Papandreu, che a gennaio aveva raccolto 152.500 voti, NdT], ma il fatto che ANEL sia riuscita ad entrare in parlamento vuol dire che Syriza non ha più bisogno del suo sostegno. To Potamì, un partito apertamente neoliberista (l'”estremo centro” della vita politica greca) ha perso un terzo dei propri elettori.
Al tempo stesso, il drammatico aumento dell’astensione (773.000 votanti in meno che a gennaio) è l’espressione della crisi politica e, soprattutto, della sensazione di sconfitta largamente diffusa nella classe operaia greca. Del pari, il 3,4% di voti in favore dell’Unione di Centro costituisce un’ulteriore manifestazione di questa disillusione. Il leader del partito, Vassilis Leventis, è noto per aver proposto le sue “analisi politiche” su canali televisivi secondari negli anni Novanta. Il suo lavoro è considerato una sorta di teatro senza alcuna serietà, mentre oggi l’Unione di Centro è apparsa come il principale veicolo del voto di protesta “anti-politica”.
Da parte loro, i neo-nazisti di Alba Dorata, il cui leader ha cinicamente ammesso la responsabilità politica dell’assassinio dell’artista antifascista Pavlos Fyssas, sono aumentati in percentuale, anche se, per il calo della partecipazione al voto, il partito è arretrato leggermente nel numero dei voti rispetto a gennaio.
Unità popolare, ovviamente, non ha riportato un successo domenica. Con il 2,86%, non è riuscita a ottenere la rappresentanza parlamentare: Si tratta di un evidente fallimento politico, specialmente se si tiene presente il fatto che essa è nata dalla massiccia scissione di Syriza e che è stata una delle principali forze politiche a insistere sul significato del “NO” [referendario]. Antarsya, da parte sua, è riuscita a progredire sia in voti sia in percentuale, raggiungendo lo 0,85%.
Come spiegare il risultato di Unità Popolare
Ecco alcune rapide riflessioni, visto che la discussione su questi risultati è appena agli inizi.
Unità Popolare ha sottovalutato il fatto che larga parte del “popolo del NO”, tradito e sconfitto, ha votato non per indicare la prosecuzione della resistenza, ma nel quadro della mentalità del “niente può realmente cambiare”, scegliendo di raccogliere l’appello di Tsipras a dargli una “seconda possibilità” e preferendo Syriza a Nuova Democrazia per la supervisione del nuovo memorandum.
Unità Popolare ha creduto che alla scissione nel partito corrispondesse un’analoga scissione nel corpo elettorale di Syriza. In realtà, i rapporti di rappresentanza politica si sono rivelati ben più complessi. E il fatto che sia intercorso un intervallo di tempo e che ci siano stati andirivieni nel percorso di uscita da Syriza non ha contribuito a migliorare le cose.
Unità Popolare, infine, ha fallito nel riferirsi efficacemente alla rabbia dei giovani senza futuro e alla perdita di speranza che ha portato numerosi elettori ad astenersi o a scelte come l’Unione del Centro.
Non siamo riusciti a fare di Unità Popolare quel nuovo indispensabile fronte, quella sorta di fronte che si sarebbe impegnato seriamente nel dibattito e nell’intervento attivo sui problemi ereditati da Syriza. Siamo apparsi come la variante di Syriza che era stata fedele ai suoi principi, anziché come un nuovo fronte organicamente emergente dal movimento e dalla dinamica degli antagonismi sociali.
Anche l’assenza di autocritica sulla partecipazione di membri della Piattaforma di Sinistra al governo di Syriza ha contribuito a quest’immagine. Durante la campagna elettorale abbiamo fallito nell’insistere su quello che era, forse, il nostro punto di forza, vale a dire: potevamo avvalerci di un discorso alternativo rispetto all’annullamento del debito e all’uscita dall’Eurozona. Gli elettori si aspettavano un programma completo e uno schema di uscita dall’Eurozona, non una mera retorica anti-austerità ed anti-memorandum.
Unità Popolare non è riuscita ad aprirsi a tutte le forme di radicalità emerse con la crisi di Syriza, né a tutte le esperienze del movimento sociale. Più ancora, i problemi di comunicazione reale con la diverse sensibilità e varietà della sinistra radicale, sia dentro sia fuori Syriza, sono persistiti, incluso il fatto che la direzione della Piattaforma di Sinistra era più diffidente di quel che non avrebbe dovuto nei confronti di altre tendenze, e non è riuscita a concretizzare l’esigenza di un appello largamente rivolto a tutti i potenziali partecipanti a Unita Popolare. La formazione non è, inoltre, riuscita ad offrire garanzie sufficienti che sarebbe stata aperta e democratica, sgomberata dalla logica burocratica che minava Syriza.
Sia quel che sia, le elezioni ci sono state. Per quanto ci riguarda, dobbiamo affrontare l’attuazione pratica del terzo memorandum, un’aggressiva austerità e una nuova serie di riforme neoliberiste. Siamo di fronte alla sfida della ricostruzione del movimento e della fiducia nelle capacità di vittoria di quest’ultimo.
Unità Popolare e l’intera sinistra radicale (che include anche Antarsya, militanti che hanno lasciato Syriza senza aderire a Unità popolare, voci critiche emerse in ambito KKE e militanti dei movimenti sociali) devono impegnarsi nell’indispensabile processo, necessariamente doloroso, di autocritica e di rilettura della congiuntura, nel tentativo di reinventare la sinistra radicale come progetto contro-egemone.
Sarà un compito arduo, ma non c’è niente di nuovo: la politica di sinistra equivale a costruire una barca quando si è già nel bel mezzo di un mare in tempesta.
*Panagiotis Sotiris è militante di Unità Popolare. Il suo articolo, uscito in inglese il 22 settembre (in www.jacobinmag.com/2015/09/tsipras-syriza-austerity-september-20-electio…), traccia un primo bilancio delle elezioni e dei risultati deludenti di UP. Lo riprendiamo dal sito di Europe Solidaire sans Frontières (http://www.europe-solidaire.org/). Si veda anche di A. Sartzekis, per il NPA,
http://www.npa2009.org/actualite/elections-en-grece-les-signes-du-decouragement