A che punto è il sistema sanitario svizzero a vent’anni dall’entrata in vigore della Legge sull’asscicurazione malattia (LAMal)? Alcune “novità”, raccolte in questi ultimi mesi, danno il tono:
• “Gli ospedali zurighesi investono miliardi”, titola la NZZ (Neue Zurcher Zeitung) il 2 dicembre 2015, e consacra una doppia pagina a questo dossier d’interesse… per alcuni. 2.6 miliardi in 10 anni, tra il 2013 e il 2023, per essere più precisi. Allorché il nuovo modello di finanziamento degli ospedali è entrato in vigore nel 2012…
• Lo stesso quotidiano, constatava, una settimana dopo (9.12) che “regna un clima da cercatori d’oro tra le imprese che offrono cure a domicilio. Non esiste praticamente alcun altro mercato per cui le previsioni di crescita sono altrettanto sicure”. Il finanziamento delle cure, anche in questo ambito, ha un nuovo modello di finanziamento dal 2011…
• Il 18 dicembre, la maggioranza liberal-radicale e UDC del Consiglio nazionale approvava il progetto di legge che assegna durevolmente competenza ai cantoni per limitare l’insediamento di medici specialistici. Per quei settori della destra organicamente legati alle casse malati (Ignazio Cassis, presidente del gruppo liberal-radicale alla Camere, è presidente di Curafutura, una delle due organizzazioni di categoria degli assicuratori malattia; il presidente di Santesuisse, l’altra organizzazione, è l’UDC Heinz Brand), si tratta di rimpiazzare “misure burocratiche” di regolamentazione con meccanismi di mercato. Come, ad esempio, tariffe più basse per i medici attivia laddove l’offerta è maggiore, oppure la soppressione dell’obbligo di contrarre (vale a dire l’obbligo per le casse malati di rimborsare ogni medico abilitato alla pratica). Coincidenza (?), il giorno del voto, la NZZ pubblicava l’ultimo articolo della sua serie: “Agenda liberale: quello che la Svizzera deve fare” – vademecum per una nuova ondata di contro-riforme in Svizzera- intitolato “Per una sistema sanitario liberale”: l’eliminazione dell’obbligo di contrarre è presentata come la misura chiave per “aprire la via a più concorrenza”…
• Fine settembre 2015, la stampa faceva eco all’acquisto della catena SentéMed, 23 studi medici appartenenti all’assicuratore Swica, da parte di Medbase, gruppo di 12 studi medici appartenenti alla Migros. Ne risulta un’impresa di 35 studi medici di gruppi che impiegano più di 500 professionisti della salute, di cui 217 medici e 163 fisioterapisti, controllati dal gigante arancione. Migros mette così un piede, d’elefante, nel cuore della “medicina liberale”…
• Altro settore liberale storico, le farmacie. Nel 2014, un terzo delle farmacie non erano più indipendenti e facevano parte di una catena. Quasi una farmacia su 5 apparteneva a Galenica, il grossista dei medicamenti che ha sviluppato la sua integrazione verticale e possiede, tra le altre, le catene Amavita e Sunstore.
Il mercato, il cuore della LAMal
La legge sull’assicurazione malattia obbligatoria (LAMal), elaborata sotto la supervisione della consigliera federale “socialista” Ruth Derifuss (1° aprile 1993 – 31 dicembre 2002, già dirigente sindacale), è soprattutto associata al carattere obbligatorio dell’assicurazione malattia (benché il tasso di copertura fosse già molto elevato) e ai premi per testa, indipendentemente dal reddito e senza “partecipazioni padronali”, vale a dire senza salario indiretto versato per coprire le spese relativa alla salute.
Un’altra dimensione della LAMal, centrata sul sistema sanitario stesso, ha attirato meno l’attenzione. Il suo principio è formulato nell’articolo 32, capoverso 1, che indica come le prestazioni prese a carico dall’assicurazione malattia obbligatoria “devono essere efficaci, appropriate ed economiche”. Questo può sembrare evidente: i trattamenti rimborsati devono avere un effetto benefico (essere efficaci), rispondere a un bisogno (essere appropriati) e avere un costo “ragionevole” (essere economici). In realtà questo principio tende a fare del “costo” la misura di ogni cosa, compreso ciò che debba essere considerato efficace e appropriato. Ed è proprio su questi concetti che si fondano alcuni cambiamenti essenziali, come il nuovo finanziamento degli ospedali tramite DRG (il rimborso all’atto di ogni intervento medico). La LAMal rappresenta in questo modo l’adeguamento ad una tendenza forte, strutturata da organizzazioni come l’OCSE o la Banca Mondiale, nutrite da una valanga di produzione universitaria ortodossa, che mira a imporre l’idea che gli strumenti dell’economia di mercato (prezzi, profitti, concorrenza, accumulazione “privativa” del capitale) siano i solo pertinenti a pilotare le politiche sanitarie. Questa doxa non esige necessariamente che tutti gli attori sul mercato siano privati; ma tutti devono essere “incitati” ad agire come delle imprese private. Il primo passo, indispensabile, in questa direzione è quello di rendere tutto misurabile, valutabile, comparabile.
Questo orientamento verso una contro-riforma strutturale del sistema sanitario si intreccia con la contro-riforma fiscale, che tende a strangolare progressivamente le risorse dei poteri pubblici, defiscalizzando sempre di più il capitale e le sue differenti forme di reddito. L’austerità giustifica l’accelerazione della trasformazione mercantile del sistema sanitario, presentata come l’unico modo per “controllare” i costi.
Infine, non bisogna dimenticare che il sistema sanitario è sovrastato da un polo farmaceutico-industriale capitalista particolarmente potente e concentrato, onnipresente, che moltiplica le relazioni d’interesse a tutti i livelli, che non ha smesso, negli ultimi decenni, di penetrare e accerchiare il mondo medico, quellodella ricerca e della formazione continua, passando attraverso raccomandazioni di prescrizioni.
L’industrializzazione ospedaliera
Il nuovo finanziamento degli ospedali, attraverso i DRG (Diagnosis related Group, o Gruppi omogenei di diagnostica”), è l’esempio più avanzato di questo orientamento. Entrato in vigore nel 2012, combina tre fondamentali cambiamenti. In primo luogo, uno (pseudo) prezzo, armonizzato a livello nazionale, è attribuito a ogni tipo di presa a carico, raggruppate in circa un migliaio di (Diagnosis related Group) DRG. Questi (pseudo) prezzi, come tutti prezzi, non variano in funzione del costo di ogni prestazione individuale; non si tratta di una copertura dei costi. La possibilità di un utile o una perdita, è così data. In secondo luogo, gli ospedali devono fondamentalmente finanziarsi – compresi gli investimenti – attraverso la vendita delle loro prestazioni, al prezzo fissato. In principio, non ci deve essere copertura del deficit di garanzia da parte dei poteri pubblici, anche se dei sistemi, come quello delle prestazioni d’interesse generale, possono permettere di aggirare parzialmente questo divieto. In terzo luogo, tutti gli ospedali, pubblici o privati, sono messi formalmente sul piede di uguaglianza, nel senso che una volta iscritti sulle liste cantonali ospedaliere (Pianificazione ospedaliera in Ticino NdT), hanno diritto agli stessi rimborsi delle loro prestazioni, alle stesse tariffe. Corollario, i pazienti hanno in principio la libera scelta dell’istituto in cui farsi curare.
Gli effetti a cascata, si nutrono reciprocamente.
• Si delinea una nuova mappa degli ospedali, in grando di distinguere gli istituti e le attività redditizie da quelli che lavorano in perdita.
• Si instaurano di conseguenza, e rapidamente, alcuni meccanismi classici: specializzazione e/o ricerca di volumi nelle attività redditizie; diminuzione o abbandono di quelle che non lo sono; concentrazione delle attività per beneficiare delle economie di scala, standardizzazione dei processi di produzione delle cure. In pratica un’industrializzazione, rivendicata apertamente dai difensori della “riforma” ospedaliera.
• Nello stesso modo mutano la conduzione degli ospedali e lo spirito che la anima. I criteri economici prendono definitivamente il sopravvento, le direzioni mediche sono subordinate. Questa “governance” esige dei nuovi margini di manovra per adattarsi al mercato: gli ospedali devono essere delle entità indipendenti. Nel canton Berna, ad esempio, sono stati sistematicamente trasformati in società anonime, anche se lo Stato per ora resta l’unico azionista. Questo permette, in un secondo tempo, di “depoliticizzare” la politica ospedaliera: non ci sono più scelte politiche, ma delle imprese che si adattano al mercato. Viene così creato la possibilità di una privatizzazione ulteriore, parziale o completa.
• Per difendere le loro fette di mercato ed estenderle, gli ospedali devono investire, in modo da essere concorrenziali in termini alberghieri, di strumentazioni di punta, ecc… Ancor prima dell’entrata in vigore dei DRG, le acquisizioni di strumentazioni si sono moltiplicate. L’articolo della NZZ, citato in introduzione, mostra che questa dinamica perdura. Chi dice investimenti, dice necessità di un margine beneficiario sufficiente per finanziarli. Ma anche rischio di sovrainvestimento, in una regione o in un segmento d’attività. Fatto che poi può condurre a chiusure di istituti o a delle fusioni.
• La parificazione degli ospedali privati a quelli pubblici è, fondamentalmente, una disuguaglianza, perché in generale le cliniche private non sono sottoposte agli stessi obblighi, quali, ad esempio, la presa a carico di ogni paziente che viene loro indirizzato. Possono concentrarsi sui segmenti redditizi, come numerosi interventi chirurgici pianificabili (non legati a un’urgenza) fatti presso pazienti che non cumulano più malattie. Questo garantisce loro, per lo stesso prezzo incassato dagli ospedali di cure generali, “costi di produzione” strutturalmente inferiori. È così che si offre loro tutto un nuovo territorio di investimenti e di espansione.
• Gli ospedali generalistici di media grandezza, dovendo assicurare una copertura completa per una regione, sono sovente i più in difficoltà. Raggruppamenti regionali, aumento della pressione interna per ridurre i costi ne sono le conseguenze. Questo può contribuire alla marginalizzazione di regioni nelle quali si sopprime un ospedale. E, nel contempo, accelera la fuga dei medici ospedalieri verso il privato. Ci si ritrova quindi confrontati a una profezia che si autorealizza: la chiusura di un ospedale era giustificata da una presunta impossibilità di garantire delle cure di qualità; la fuga dei medici realizza questa impossibilità. È una dinamica di questo tipo che, ad esempio, è all’opera da anni nel canton Neuchâtel.
• Un’altra via, a livello di ogni istituto, per ridurre i costi e generare margini, è quella di addensare la presa a carico: ridurre il più possibile la durata dei soggiorni, combinarli in modo da utilizzare al massimo le infrastrutture (letti, sale operatorie,…). Nuove professioni fanno la loro apparizione: delle infermiere che pianificano ormai il percorso di cure del paziente al momento della sua ammissione, in modo da ottimizzare l’utilizzazione delle strutture ospedaliere. In questo caso, è il personale ospedaliero, soprattutto le infermiere, che serve da variabile d’aggiustamento. Questo si traduce con un’intensificazione del lavoro, una difficoltà sempre più grande a realizzare la parte non tecnica (relazionale) del lavoro, pertanto cruciale per la qualità delle cure, e di conseguenza con il sentimento constante di non fare il proprio lavoro come si dovrebbe. Numerosi studi hanno confermato che questo si traduce in cure di minor qualità. Il paziente e chi gli sta vicino si ritrovano così a dover assumere una parte crescente del lavoro “periferico” all’intervento in senso stretto: visite mediche pre-ospedalizzazione; presa a carico dopo un’uscita rapida dall’ospedale, allorché l’autonomia è ancora molto limitata, …. Il che va di pari passo con l’aumento dell’ansia e delle spese.
• L’incitamento di questo nuovo sistema di finanziamento a realizzare più ampi volumi nei segmenti redditizi, dunque a fornire prestazioni “inappropriate” per riprendere il vocabolario della LAMal, è evidente e denunciato da diverse associazioni professionali di medici. La sovramedicalizzazione è così alimentata dalla diffusione della logica del mercato, cosa che non è evidentemente una sorpresa. La contromossa è già pronta: un aumento di regolamentazioni, indicatori di qualità, analisi del rapporto costo-efficacia di questo o quell’intervento. Da una lato, questa evoluzione burocratizza e “procedurizza” ancora più il lavoro, riafforzando il sentimento di esproprio dei professionisti. D’altro canto, questi sistemi di controllo (indicatori di qualità, calcolo di costo-efficacia), sono dei sotto-prodotti della logica di mercato generalizzata, presi in prestito dall’industria. Non allentano la morsa della logica economica, ma al contrario la stringono.
Un effetto già largamente acquisito di questo insieme di alterazioni è che il “criterio economico” è oramai onnipresente, non solo nella conduzione degli ospedali, ma anche nel loro funzionamento quotidiano. Una nuova “cultura” prende così piede, impregna le referenze, gerarchizza le priorità, delimita le possibilità. E tutto questo malgrado il fatto che gli effetti diretti del nuovo finanziamento degli ospedali non siano che agli inizi. Si accentueranno nei prossimi anni, sotto l’impatto combinato della pressione al ribasso degli assicuratori sul “baserate” (il costo unitario di un punto DRG, per semplificare), della crisi fiscale dei cantoni e dell’obbligo per gli istituti ospedalieri di autofinanziare i nuovi investimenti. Inoltre, il modello di finanziamento per DRG, che non si applica per ora che alle cure acute, sarà prossimamente esteso alla psichiatria, benché questo settore si presti ancor meno a questo tipo di finanziamento.
Resta per ora nella mappetta degli assicuratori e della destra un altro gran progetto, che coronerebbe la rivoluzione ospedaliera: il finanziamento monista. Attualmente, il 55% della fattura ospedaliera è finanziata direttamente dai cantoni, il saldo viene pagato dalle casse malati o dai pazienti. Gli assicuratori vedono nel finanziamento cantonale diretto un ostacolo al pieno dispiegamento delle “incitazioni” di mercato, e lo considerano un freno alla riforma ospedaliera. Per esempio, in nome di considerazioni regionali, alcuni cantoni potrebbero finanziare prestazioni di interesse generale “eccessive”, “falsando” la concorrenza. Un finanziamento erogato unicamente dagli assicuratori darebbe invece pieno potere a questi ultimi per pesare sul divenire degli ospedali. Per ora, i cantoni si sono sempre opposti a questa proposta. Gli ospedali rappresentano una posizione importante nei loro bilanci e una posta economica, regionale e politica troppo importante. Ma gli assicuratori non rinunciano. Puntano sull’aggravamento della crisi fiscale dei cantoni per costruire delle nuove maggioranze su questo tema.
Un nuovo mercato è nato: le cure a domicilio
Ritroviamo una dinamica parzialmente simile nelle cure a domicilio. L’aumento del numero di persone molto anziane e la scelta di posticipare il più possibile l’entrata nelle case anziani – per ragioni di costi per i poteri pubblici, di preferenza e di costi per gli utenti – fanno sì che questo settore sia in piena espansione. Dal 2002 al 2014, l’impiego nel settore è raddoppiato.
In questo settore storicamente monopolizzato da organizzazioni senza scopo di lucro, le imprese del privato hanno beneficiato di un cambiamento della loro situazione con la nuova legge sulle cure, entrata in vigore nel 2011: sono state, anche loro, messe sullo stesso piano delle organizzazioni senza scopo di lucro, dal punto di vista del finanziamento. Questo ha aperto loro nuovi orizzonti. Fino ad allora, le imprese private proponevano i loro servizi a privati, per esempio, i servizi di “badanti” (assistenti di cura) polacche o ucraine, sottopagate e sovrasfruttate, al capezzale di persone anziane 24 ore su 24. Oggi, possono partire alla conquista del mercato dei mandati pubblici, per coprire i bisogni di cure a domicilio di un comune, essendo, per esempio sovente in Svizzera tedesca, responsabili di questo settore. I comuni e i cantoni, sotto la pressione finanziaria, potrebbero quindi essere interessati dalle loro offerte, meno costose in quanto basate su un livello importante di sfruttamento del personale.
Dal 2012, l’impiego nelle imprese private di cure a domicilio è infatti cresciuto più rapidamente che nelle organizzazioni senza scopo di lucro. Questa concorrenza fa pressione sulle organizzazioni storiche delle cure a domicilio e sul loro personale. Si coniuga con l’intervento degli assicuratori malattie e dei poteri pubblici per limitare la crescita delle spese in questo settore. La generalizzazione del minutaggio del lavoro, del suo pilotaggio con i tablet, della sua disumanizzazione si inseriscono in questo contesto. Salari e orari di lavoro sono inevitabilmente messi sotto pressione.
Farmacie e case anziani: cambiamento di scala
Le farmacie e le case anziani sono storicamente il campo d’attività di piccole imprese indipendenti. Non c’era quindi bisogno di aprire altro spazio al privato, dato che è stato sempre dominante (benché sovvenzionato e dunque, in una certa misura, soggetto a un certo inquadramento). I meccanismi del mercato, la cui influenza è stata aumentata con un’accresciuta pressione degli obblighi finanziari – nuovi metodi di rimborso dei medicamenti per le farmacie e pressioni sulle case anziani a livello dei rimborsi delle cure dagli assicuratori e delle pressioni dovute all’austerità nei cantoni – hanno “semplicemente” sviluppato le loro logiche e messo in moto un processo di concentrazione.
Nelle farmacie, come indicato in precedenza, questo è già molto avanzato. Le professioni della farmacia sono state rivoluzionate e somigliano sempre di più a quelle della grande distribuzione. Per il pubblico, il ruolo di consulenza del farmacista tende a diminuire.
Quest’evoluzione è solo agli inizi nel settore delle case anziani. Ma è “incoraggiante”. In uno studio sul “futuro del mercato delle case medicalizzate”, apparso nel 2015, il Credit suisse stimava in non meno di 40 miliardi gli investimenti in questo settore entro il 2040. Indipendentemente dalla precisione di questa stima (per definizione molto discutibile), questo significa che in questo settore si potranno realizzare grandi affari, che gi”a d’altronde, si stanno realizzando. Così, ad esempio, il gruppo Tertianum, presente soprattutto in Svizzera tedesca e in Ticino, raggruppa oggi 53 istituti che accolgono circa 3’000 persone anziane. Dal 2013, Tertianum è proprietà di Swiss Premier Site, la prima società immobiliare in Svizzera, con un portfolio attivo di 9.9 miliardi di franchi. Altre catene si stanno sviluppando, come Senevita, 21 case anziani e 2’300 letti, che fa parte dal 2014 di ORPEA, un gruppo europeo di origine francese, quotato in borsa, presente in Belgio, Germania, Austria, Svizzera, Spagna, Italia e Repubblica ceca, che gestisce circa 68’000 letti in 690 istituti, attivo anche nella reintegrazione, la psichiatria e le cure a domicilio. Attori di questo tipo, capitalisti, determineranno sempre di più lo sviluppo di questo settore con un’importanza sociale crescente e costruiranno le referenze in termini di condizioni d’impiego e di soggiorno.
Avete detto medicina liberale?
La medicina urbana, o ambulatoriale, può apparire meno toccata da questi cambiamenti. Il modello ufficiale resta quello della medicina liberale, con medici indipendenti, remunerati all’atto (tariffe Tarmed). Le trasformazioni non sono comunque mancate negli ultimi 20 anni. E la volontà di accelerarle è ben presente, come testimonia la decisione evocata del Consiglio nazionale di approvare la legge che dà ai cantoni la competenza di limitare l’insediamento di medici specialisti. Quattro dimensioni nei cambiamenti intervenuti negli ultimi due decenni possono essere messe in evidenza.
In primo luogo, gli assicuratori malattia hanno rapidamente ingranato la marcia superiore nel controllo e la contestazione delle fatturazioni dei medici, in particolare attraverso intralci amministrativi e sanzioni finanziarie di vario genere. Questo ha contribuito a diffondere un nuovo stato d’animo: sentendosi sorvegliati numerosi medici hanno accolto le esigenze degli assicuratori.
In secondo luogo, la normalizzazione della presa a carico e le raccomandazioni, prendono sempre più spesso la forma di valutazioni “costo-efficacia” dei trattamenti; per esempio lo Swiss Medical Board, si sono moltiplicati. Questo contribuisce allo stesso modo a ancorare la logica economica nell’approccio medico.
Questo ancoraggio, in terzo luogo, può esprimersi anche attraverso un approccio restrittivo per talune prescrizioni (per esempio in materia di certificati medici) o per un impegno deciso a cogliere opportunità di affari, in studi di gruppo o in collaborazione con gruppi privati.
Infine, alcuni cambiamenti a livello dei pazienti (affievolimento dell’immagine del medico di famiglia, ricerca di orari estesi in reazione all’estensione degli obblighi di lavori e del pendolarismo, abitudine ad un’accessibilità immediata) e dei medici (femminilizzazione, affievolimento della concezione vocazionale della professione, bisogno di ammortizzare le spese di insediamento) hanno condotto a un importante arretramento dello studio singolo a beneficio di studi collettivi, ma anche di “centri di cura” di diverso tipo. A Losanna, ad esempio, un gruppo come VidyMed, pu?o contare in tre struttura diverse, circa 80 “prestatori di cure”, in maggioranza medici, azionisti del gruppo e 180 impiegati.
L’arrivo di Migros prospetta un possibile passaggio a un’altra dimensione: lo sviluppo di autentiche catene nazionali, in sinergia con i mercati del wellness e del fitness (i centri salute della Migros sono sovente istallati all’interno o nelle vicinanze dei loro centri fitness). Un processo analogo a quello che si sta sviluppando per le cure dentarie potrebbe allora nascere, con la moltiplicazione di catene più o meno low cost che diventerebbero la referenza per un segmento della “clientela”.
Per questo tipo di raggruppamenti potrebbero aprirsi delle nuove opportunità se venissero meno due ostacoli: quello della libertà di contrarre e quello del managed care. La libertà di contrarre è in testa alle contro-riforme desiderate: dando alle casse malati la possibilità di scegliere i medici e gli ospedali con i quali lavorare, darebbe loro un potere, incommensurabile rispetto a quello attuale, per imporre i loro orientamenti. D’altro canto, il managed care, rifiutato in votazione popolare, rappresenterebbe il modo migliore per incitare gli assicurati, strangolati finanziariamente dall’aumento dei premi assicurativi, ad accettare trattamenti molto più standardizzate in cambio di una (leggera e ridotta) diminuzione dei loro premi assicuarativi.
Fino ad oggi, questi due progetti sono stati sconfitti dall’opposizione dei medici e dall’attaccamento della maggioranza della popolazione alla libera scelta del medico. La destra e gli assicuratori malattia contano sulla pressione congiunta dell’aumento continuo dei premi di cassa malati e dell’esacerbazione della concorrenza tra medici per superare anche questo ostacolo.
Assicurazioni: dominio privato su una missione pubblica
Se prendiamo in esami il settore degli assicuratori malattia, notiamo come la concorrenza accresciuta voluta dalla LAMal abbia rapidamente condotto a una concentrazione senza precedenti del settore: oggi meno di 10 grandi gruppi (css, helsana, sanitas, mutuel, assura, swica, visana, cpt) dominano completamente il mercato, storicamente diviso tra decine di casse. Una missione pubblica – la gestione di un’assicurazione sociale obbligatoria – è così tra le mani di un oligopolio di interessi privati. Anche se il grosso degli assicuratori sono separati internamente da conflitti di interesse, che si riflettono nell’esistenza di due associazioni di categoria, Santésuisse e Curafutura, la robustezza dei loro legami politici e la loro capacità di imporre le loro priorità sono notevoli. La farsa dell’ordinanza della legge sulla sorveglianza delle casse, vuotata del suo contenuto (benché questa legge fosse stata presentata dal consigliere federale Alain Berset, membro del Partito socialista, come una risposta ragionevole alla cassa unica) ne è un’illustrazione. La stessa cosa si può dire per l’approvazione del controllo cantonale sull’insediamento di nuovi medici. Senza parlare della loro capacità di uccidere in grembo i tentativi di riforma del sistema assicurativo, schiacciando le due iniziative per una cassa unica.
Durante questi 20 anni, il sistema dell’assicurazione malattia fondata sul premio individuale si è tradotto, per gli assicurati, in un aumento ininterrotto dei premi che, con le franchigie e le partecipazioni ai costi, assorbono una parte crescente dei bilanci delle famiglie. Pertanto, la diversità delle situazioni degli assicurati, derivante dalle differenze tra le casse, le regioni e i modelli di assicurazione (livelli di franchigia, medico di famiglia,…), ma anche del sistema dei sussidi legati al reddito (27% degli assicurati beneficia di un sussidio), ha neutralizzato fino a oggi il potenziale di insofferenza collettiva che potrebbe essere alimentata da quest’evoluzione.
Il problema finanziario si rafforzerà nei prossimi anni: l’aumento dei premi di cassa malati corrispondente all’aumento delle spese della salute sarà rafforzato dall’impatto delle misure di austerità collettive pubbliche (diminuzione dei sussidi cantonali, ribaltamento di una parte crescente delle spese sugli utenti delle cure a domicilio o delle case anziani,…).
Per gli assicuratori e i loro relais politici, questa impasse finanziaria è invece un’opportunità: permette loro di rilanciare, con maggior forza, alcune proposte che, senza questo, non avrebbero nessuna possibilità di trovare un’eco, tutte tendenti ad allentare i pochi meccanismi di solidarietà presenti nel finanziamento della LAMal. Il primo passo, concreto, è la proposta di diminuire i premi dei giovani, che sarebbero compensati da un aumento di quelli per i più anziani. Proposta che aprirebbe la porta al principio dei premi legati al rischio. La questione della riduzione del catalogo delle cure coperte dall’assicurazione di base è anche tornata d’attualità, il contribuirebbe ad aumentera la differenza, a dipendenza del reddito, nell’accesso alle cure. All’orizzonte si profilano poi proposte ancor più radicali, come quella di una sorta di 2° pilastro (vale a dire un regime a capitalizzazione) per finanziare le cure delle persone anziane.