La CIA ha effettuato centinaia di sofisticati tentativi di assassinarlo, ma l’efficace DGI [Dirección General de Inteligencia] cubana è sempre riuscita a sventarli in tempo; il settore più duro dell’esilio cubano di Miami lo ha dichiarato “morto” decine di volte dopo che si era ammalato nel 2006 e i più grandi strumenti di comunicazione di tutto il mondo si erano subito affrettati a divulgare queste morti presunte.
Fidel si è visto costretto ad apparire più volte in pubblico per smentire la voce. Da anni la maggior parte dei media più importanti teneva nel cassetto il suo necrologio e aveva pronto un supplemento speciale su di lui, che aggiornavano entrambi in fretta e furia ogni volta che arrivava la notizia, “da fonte sicura”, della morte di Fidel. Ma Fidel non si presentò mai all’appuntamento. Scoppiava a ridere ogni volta che i media si mettevano a speculare sulla sua morte per vedersi costretti, qualche giorno dopo, a ‘resuscitarlo’ dopo che s’era fatto vedere in pubblico.
Alla fine, però, El Caballo è morto, nel suo letto, a 90 anni, serenamente, circondato dai suoi, dopo una lunga vita estremamente austera. Fino all’ultimo momento è stato lucidissimo, scrivendo le sue “riflessioni”: l’ultima, El destino incierto de la especie humana, su scienza e religione, nel «Granma» del 9 ottobre scorso. Il fatto è che Fidel si interessava di tutto ciò che accadeva sul pianeta Terra… e nell’universo.
Oggi tutta Cuba piange. O quasi tutta. Per quanto dura sia la situazione personale dei cubani o delle cubane di ogni età, per quanto duro sia stato il “periodo speciale” vissuto dall’isola dopo la frammentazione dell’URSS all’inizio degli anni Novanta, ai loro occhi la figura di Fidel è rimasta intatta.
I cubani, certo, si lamentano della loro situazione economica; molti di loro, certo, anni fa hanno affrontato su imbarcazioni artigianali il mare ostile nel tentativo di raggiungere le coste dell'”Eldorado” [Florida]; molti giovani, certo, invidiano la disponibilità delle nuove tecnologie e il consumismo vorace dei giovani statunitensi; altri, certo, rivendicano a gran voce un’apertura politica che si fa desiderare; ma tutto ciò non intacca il rispetto, la riconoscenza e l’ammirazione che una generazione dopo l’altra ha dimostrato per Fidel, così come per Raúl, così come per il Che Guevara.
Il fatto è che per loro è difficile dimenticare quel che era Cuba prima della Rivoluzione del 1959. La “gusanería” [verminaio: gli anticastristi] ha sempre insistito su quanto fosse meravigliosa l’Avana prima: splendide feste nei palazzi dell’oligarchia; grandi casinò, hotel e lussuose discoteche piene di “glamour”; e bische di ogni tipo – controllate dalla mafia statunitense – dove facevano la loro comparsa le più famose stelle di Hollywood.
I più importanti mafiosi d’origine italiana, Lucky Luciano, Meyer Lansky e tanti altri vivevano lì e facevano affari con Batista. Nel 2004 Arthur Miller doveva scrivere in «The Nation»: «Cuba era irrimediabilmente corrotta, un posto prediletto dalla mafia e un postribolo per gli statunitensi e altri stranieri».
Coloro che hanno nostalgia di questa Cuba dimenticano (o magari non se ne sono mai resi conto) l’estremo sfruttamento cui erano sottoposti i contadini e i lavoratori durante la dittatura di Fulgencio Batista – e anche prima che quest’ultimo arrivasse al potere nel 1952 – la crudeltà dei latifondisti e della polizia. Non accennano nemmeno alla totale assenza di diritti – politici, sociali e sindacali – durante la dittatura militare, all’assenza di assistenza sanitaria, al fatto che oltre un quarto della popolazione era analfabeta.
E poi arrivò Fidel e tutto finì! Perché sì, in piena Guerra fredda, a sole 90 miglia dagli Stati Uniti, una piccola isola, l’orgogliosa Cuba, aveva spezzato le sue catene e s’era risollevata, in atteggiamento di sfida.
Nessun analista allora aveva previsto qualcosa di simile. I “barbudos” della Sierra Maestra, i rivoluzionari del Movimiento 26 de julio, non erano armati né finanziati e nemmeno appoggiati politicamente dall’Unione Sovietica. Il Partido Socialista Popular – i comunisti cubani allineati conl’URSS – dicevano che i “barbudos” erano “agenti della CIA”, elementi “piccolo-borghesi”.
Nelle sue memorie Chruscev ha ammesso di aver ignorato del tutto allora chi fossero quei ribelli male armati che, partendo da un primo foco guerrigliero, riuscirono a porsi alla testa della lotta contro la dittatura militare che, anni dopo, condusse al rovesciamento di Batista e alla sua fuga negli USA.
Furono gli Stati Uniti che, con la loro immediata ostilità nei confronti del Governo rivoluzionario il loro violento boicottaggio, misero i nuovi giovani dirigenti spalle al muro.
Con il loro atteggiamento gli USA non solo condannarono il popolo cubano al più brutale e prolungato blocco economico mai sopportato sino ad allora da alcun Paese, ma servirono anche su un vassoio il nuovo governo all’URSS.
Nel 1961, al Primo Vertice dei Paesi non allineati, il movimento internazionale fondato nel 1955 come alternativa al blocco statunitense e al blocco sovietico, Cuba fu l’unico Paese dell’America latina e del Caribe che vi prese parte.
In quello stesso 1961 si ebbe l’invasione della Baia dei Porci, organizzata, finanziata e armata dagli Stati Uniti. Poco dopo Cuba, la cui economia era stata modellata dagli USA, dai quali dipendeva completamente, tenta di por termine all’asfissia economica e alla minaccia militare statunitense cercando l’appoggio dell’URSS.
Fu questo rapporto che avrebbe rapidamente inserito Cuba nella logica dei blocchi della Guerra fredda, trasformandola nel nemico principale degli Stati Uniti e dei loro alleati nell’emisfero occidentale.
Ma l’isola resistette. Contro tutti i pronostici, Cuba resistette anche al durissimo colpo rappresentato dallo smembramento dell’URSS e dalla caduta di tutti i Paesi dell’Est, quelli del cosiddetto “socialismo reale”.
La Cuba di Fidel commise molti errori, naturalmente: errori di gestione economica che aggravarono la già difficile situazione determinata dal blocco commerciale, economico, finanziario e tecnologico – che tuttora persiste -; indubbi problemi di burocratizzazione; inammissibile intolleranza politica nei confronti della stessa dissidenza interna alle proprie fila; un egualmente inammissibile ritardo nel riconoscimento dei diritti degli omosessuali. E molti altri errori.
A causa di certe pratiche staliniste copiate dall’URSS, della lentezza delle riforme e dell’inefficacia e burocratizzazione della gestione, il governo ha ancor più acuito la difficile situazione in cui si è trovato e continua a trovarsi il popolo cubano a seguito del blocco criminale cui Cuba è sottoposta dal 1962.
In ogni caso, in un bilancio fatto di luci e ombre, non v’è dubbio: le luci in Fidel sono del tutto prevalenti. Non si può dirlo in altro modo: c’è un prima e un dopo Fidel, un rivoluzionario integerrimo che restituì dignità e rispetto internazionale al popolo cubano, e che con il suo internazionalismo – come con l’internazionalismo del Che – ha aiutato per decenni alla lotta di liberazione dei popoli dei cinque continenti.
* Roberto Montoya è giornalista, esperto di geopolitica e autore di libri come El Imperio Global, La Impunidad Imperial, Drones: la muerte por control remoto. Fa parte del Consejo Asesor di «Viento Sur». Questo articolo è apparso originalmente in http://www.publico.es/opinion/historia-absolvio.html