di Giuseppe Sergi*
Lunedì il SECO (Segretariato di stato all’economia) ha presentato un bilancio del quindicennio intercorso dai primi accordi in materia di liberalizzazione del mercato del lavoro (impropriamente chiamata libera circolazione). Come fa puntualmente da più di un decennio nei sui rapporti, continua ad insistere sugli elementi di grande positività apportati all’economia svizzera dagli accordi bilaterali ed in modo particolare dalla liberalizzazione totale del mercato del lavoro.
Il maggiore quotidiano del cantone riassumeva lo studio con due sottotitoli eloquenti: “La SECO: dall’inizio della libera circolazione nel 2002 l’economia ha prosperato” e ancora: ” E in Ticino le retribuzioni dei residenti sono aumentate come nelle altre regioni”.
Per quel che riguarda le regioni di frontiera, come il Ticino, Il SECO è costretto a riconoscere che qualche “situazione particolare”, problematica, possa esserci stata, che in materia di effetto di sostituzione (assunzione di salariati con salario più basso) qualche problema possa essersi verificato, ma che nel complesso l’operazione è stata un bene per tutti, Ticino compreso.
In materia salariale, poi, si insiste sulla progressione media dei salari dell’1%, in linea con quella di altre regioni, in particolare per i salari degli occupati residenti.
Naturalmente questi dati (sulla cui attendibilità, come sempre, vi sarebbe da discutere ampiamente) hanno suscitato commenti di insoddisfazione, soprattutto da parte di coloro che hanno un contatto diretto con la realtà quotidiana che vive la stragrande maggioranza dei salariati del Cantone. La realtà quotidiana offre indicazioni assai diverse.
Ma, proprio il giorno successivo al rapporto del SECO, ci ha pensato il Consiglio di Stato della repubblica e cantone del Ticino ad infliggere un poderoso colpo alla credibilità di studi come quelli del SECO. Il governo cantonale fa sapere di avere deciso “il potenziamento di 5 unità entro fine anno dell’ Ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento del Dipartimento della sanità e della socialità”. In un periodo di risparmi sul personale, di ottimizzazione e di blocco di fatto del personale, un aumento di 5 unità, in un solo ufficio, è certamente un fatto notevole, a testimonianza di una situazione veramente difficile.
In effetti, ci dice il governo, “L’Ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento è stato confrontato nel corso degli ultimi anni con un’importante crescita del numero di pratiche gestite (+62% dal 2010 al 2016) e delle uscite (+80% nello stesso periodo di riferimento)”.
Ma, ci chiediamo, a cosa è dovuto questo eccezionale aumento dell’intervento sociale? Ecco la lapidaria risposta del governo: “Il sostegno sociale, che garantisce la copertura del fabbisogno vitale ad un numero sempre maggiore di cittadini che non hanno altre risorse, è sempre più sollecitato poiché confrontato con un contesto di riferimento in continua evoluzione e toccato anche da fenomeni come il cambiamento in atto nel mondo del lavoro, i flussi migratori, l’esaurimento del diritto alla disoccupazione, le difficoltà dei giovani in cerca del primo impiego, la carenza di formazione adeguata”.
E allora, a chi dobbiamo credere? Al SECO che dice che grazie agli accordi bilaterali e alla liberalizzazione del mercato del lavoro abbiamo mantenuto i nostri redditi, siamo più formati, più flessibili e più “prosperi”, oppure al governo ticinese che dice, sostanzialmente, il contrario?
A noi pare che, almeno questa volta, si possa, senza esitazione alcuna, dare ragione al governo ticinese.
* Opinione apparsa su La Regione il 6.7.2017