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Il Collegio dei collaboratori del Dipartimento formazione e apprendimento (SUPSI-DFA) ha di recente preso posizione a sostegno del progetto La Scuola che verrà (SCV) in vista della votazione del prossimo 23 settembre.

Sono diverse le ragioni invocate dal DFA a sostegno della SCV, ma la più importante è sicuramente quella indicata nel primo punto della sua presa di posizione: “Innovazione e non rivoluzione. La scuola che verrà non rivoluziona la scuola, ma propone innovazioni coerenti con i valori fondamentali della Scuola ticinese, ancorati alla Legge della Scuola, e ribaditi nel concordato intercantonale HarmoS sottoscritto dal Cantone Ticino nel 2009. La scuola che verrà non solo si muove in linea di continuità con quanto iniziato con l’introduzione del nuovo Piano di studio della scuola dell’obbligo ticinese, in vigore dal 2015, ma ne rafforza il valore, poiché fornisce strumenti e risorse che ne permetterebbero una più coerente e completa applicazione”. (sottolineatura nostra)

Ha ragione il collegio del DFA ed è proprio per questa ragione che molti hanno espresso dubbi di fondo sulla SCV. In particolare tutti coloro che, ad esempio, a suo tempo hanno combattuto l’articolo costituzionale sul quale si è poi sviluppato il concordato Harmos, proprio perché in esso vedevano quegli elementi (insegnamento per competenze, standardizzazione, etc.) che oggi si ritrovano pari pari nel piano di studio della scuola dell’obbligo e che rappresentano di fatto uno degli elementi centrali (come ben dice il collegio del DFA) della SCV.

Naturalmente oggi le critiche rivolte allora alla logica di Harmos e quindi alla impostazione della SCV le hanno dimenticate tutti, in particolare coloro che al momento criticarono a fondo Harmos e la logica ad esso sottesa e oggi invece plaudono alla SCV, considerata un baluardo da difendere ad ogni costo. E tra i critici di Harmos vi erano gli attuali pretoriani della SCV.

Prendiamo, ad esempio, la VPOD docenti che, pur contando ed essendo rappresentativa come il due di briscola, ogni giorno emette un comunicato di sostegno alla SCV. Il suo segretario Raoul Ghisletta, in un articolo apparso su I diritti del lavoro del 30 marzo 2006, ricordava la posizione della VPOD docenti che invitava a votare NO all’articolo costituzionale, criticando “la mancanza di un diritto alla formazione”, i “difetti strutturali di Harmos” ed esprimendosi così sulla “pretesa di standardizzare la scuola”: “Forti critiche al progetto HarmoS sono state sollevate anche contro la pretesa di fissare degli standard nazionali di formazione, che sono di due tipi: standard di prestazione che misurano i livelli di competenza raggiunti nelle discipline e standard che determinano dei criteri sui contenuti della scuola obbligatoria e per la realizzazione”; e ancora: “Il timore è chiaramente che la scuola dell’obbligo si pieghi a questi standard un po’ aziendali e burocratici, dimenticando la dimensione culturale ed educativa, e finendo per mettere in una situazione di discutibile concorrenza le sedi scolastiche e i sistemi scolastici cantonali.”

La votazione sull’articolo costituzionale (la base legale del concordato Harmos) avvenne poche settimane dopo (il 21 maggio 2006) e l’articolo costituzionale ottenne una valanga di Sì a livello nazionale (l’85%) ma solo il 60% a livello cantonale, malgrado il sostegno dei maggiori partiti.

Quel risultato suscitò le riflessioni del PS, allora presieduto da Manuele Bertoli, che in una lunga presa di posizione di qualche mese dopo (nell’ambito della procedura di consultazione sull’accordo intercantonale sull’armonizzazione della scuola obbligatoria HarmoS) così si esprimeva: “Per quanto attiene agli strumenti di sviluppo e la garanzia di qualità del sistema, e cioè gli standard di formazione (art. 7), il PS rileva come si tratti di concetti definiti in maniera poco efficace e trasparente, ma che ciò malgrado condizioneranno fortemente l’elaborazione dei piani di studio e dei mezzi didattici. Con l’adozione di HarmoS si vedrà prevalere l’idea secondo la quale la qualità è comunque e sempre misurabile secondo parametri prefissabili; ciò comporta il conseguente rischio dell’appiattimento dell’insegnamento sullo standard, verificato verosimilmente attraverso strumenti tipo PISA, e una perdita di valore di quanto nella scuola non è quantitativamente misurabile: con un pericoloso prevalere dell’aspetto quantitativo sul quello qualitativo, di “contenuto” (verifica delle competenze – anche di tipo sociale – e non delle conoscenze). Il PS si oppone pertanto alle modifiche previste da HarmoS che provocherebbero un parziale ma importante smantellamento del sistema scolastico ticinese e una conseguente ridefinizione dei principi su cui questo sistema si basa.”

Parole sante, verrebbe voglia di dire. Una critica, con buona pace dei formatori del DFA e dei vertici del DECS, che potrebbe valere integralmente sia per il piano di studio della scuola dell’obbligo, sia per la SCV che, come ci dice il collegio del DFA, è uno strumento per concretizzare quel piano.

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