1. Non è riuscito a Salvini il tentativo di conquistare l’Emilia-Romagna; ci aveva creduto e sperato avendo profuso tutte le sue energie personali e l’attività senza sosta della infernale macchina di propaganda del suo partito. E’ questo l’elemento primo e positivo delle elezioni regionali che si sono svolte domenica. Ma sarebbe un grave errore ritenere che il pericolo della Lega e delle destre sia stato allontanato.
La sconfitta di Salvini e della sua candidata (che si è fermata al 43,6% dei voti), ed in parte anche dello schieramento delle destre i cui sondaggi davano per certo il superamento del 50% dei voti espressi (hanno raggiunto in ogni caso un ragguardevole e preoccupante 46% mentre il centro sinistra ha di poco superato il 48%) contiene infatti, ma non blocca, la spinta propulsiva reazionaria dei partiti di destra alimentata da dinamiche economiche e sociali assai più profonde.
Il Pd può tirare un sospiro di sollievo insieme al governo (in cui permangono tuttavia forti squilibri) ed anche provare a riproporsi come elemento centrale del rilancio del bipolarismo, reso possibile dalla crisi profonda del M5S e dal suo crollo elettorale non solo in Emilia e Romagna, ma anche in Calabria, dove solo due anni fa aveva raggiunto cifre da capogiro. Il 26 gennaio è rimasto invece sotto l’assurda soglia di sbarramento dell’8% prevista dalla legge regionale calabra che impedisce l’accesso alla rappresentanza. Gli opinionisti politici già vanno a gara nel ”consigliare” Zingaretti ad abbandonare le proposte di elettorali proporzionali (anche se con soglia di entrata al 5%) per rilanciare invece il maggioritario come strumento fondamentale di stabilità governativa del sistema.
2. Tuttavia il giudizio sul risultato elettorale è ben più complesso. La Calabria consegna infatti alle forze della destra un grande successo (oltre il 55% dei voti per la loro candidata) e permette loro di conquistare l’ennesima regione del paese. La sconfitta del centro sinistra (poco più del 30% dei voti), responsabile di una gestione fallimentare della regione e di numerose faide interne di potere, è molto pesante e Zingaretti non può certo vantare vittoria perché il PD con un modestissimo 15% resta il partito più votato. Resta tuttavia da dire che l’astensione in Calabria è molto alta, segnalando una sfiducia e un ripiegamento da parte di settori molto consistenti della popolazione. Ciò ha lasciato campo libero alle tradizionali consorterie di potere legate alla vecchia Forza Italia, che potrebbero ripetere un risultato analogo anche in Campania. Ad ogni modo, è necessario un approfondimento maggiore sul Sud Italia, che potrebbe avere un ruolo molto importante nella tendenza generale al rafforzamento delle destre nazionaliste.
Per quanto riguarda i rapporti di forza interni alle destre, i risultati delle due regioni sono diversificati: in Emilia e Romagna la Lega (31,9% e 689.000 voti – poco meno che nelle elezioni regionali – e anche Fratelli d’Italia – che raddoppia rispetto alle europee – (8,6% e185.000 voti) la fanno da padroni, con Forza Italia quasi scomparsa (2,6%); in Calabria invece la Lega si ferma al 12,2% e Fratelli d’Italia (10,9%) cresce di poco rispetto europee, mentre Forza Italia (12,3%), può disporre di due altre liste, quella della candidata (8,5%) e quella della Casa delle libertà (6,4%) che sono suoi satelliti, garantendo a Berlusconi ancora un ruolo.
Il pericolo costituito da Salvini e dal suo progetto politico e sociale resta dunque in campo. I suoi risultati in termini percentuali e di voti assoluti nella vecchia “regione rossa”, sono impressionanti, la sua presa di massa e la capacità di orientare (o disorientare) e mobilitare settori importanti della società messe in luce in questa campagna indicano che la progressione di questa forza reazionaria è tutt’altro che bloccata. Il nemico resta alle porte anche perché i difensori nazionali e locali del “fortino” sono assai lontani nell’avere una proposta politica e sociale in grado di contrastare con efficacia l’offensiva della destra nel contesto di crisi sociale prodotta dalle politiche economiche liberiste.
Come abbiamo avuto modo di sottolineare a più riprese il vincitore, Bonaccini, resta completamente interno e fortemente ancorato, come nella passata amministrazione, ad una gestione e a una politica liberista (privatizzazioni, cementificazione del territorio, autonomia regionale rafforzata, profilo securitario, atteggiamento rispetto alle lotte operaie ecc…) con tutto quello ne deriva per le condizioni di vita di ampi settori della società.
3. Quali sono gli elementi che hanno permesso la vittoria di Bonaccini (51,4%, quasi un milione e 200.000 voti) grazie anche al successo della sua lista personale (5,8% e 125 mila voti) e al buon risultato del PD (34,7% e circa 750.00 voti) che torna il primo partito in regione? E’ importante ricordare che nelle elezioni del 2014 solo il 37,71% degli aventi diritto era andato a votare, segno indiscutibile di una sconfitta politica e sociale imminente, con la fuga dal voto di una parte molto consistente del vecchio elettorato fedele, ma non per sempre e nei secoli, alle varie trasformazioni del PCI, PDS e PD e che Bonaccini era stato eletto con appena 615.000 voti.
Nelle elezioni di domenica l’affluenza alle urne è stata invece del 67,7% segnando un ritorno al voto di larghi settori dell’elettorato. È molto indicativo politicamente e socialmente anche il fatto che il centro sinistra abbia vinto nelle 5 province centrali, Bologna (che ha fatto la differenza), Modena, Reggio Emilia, Ravenna e Forlì-Cesena, mentre ha perso nelle altre 4 province “periferiche”, Rimini, Ferrara, Parma e Piacenza.
Il candidato del PD ha potuto utilizzare in primo luogo la complessa e articolata rete amministrativa locale, adeguatamente attivata, e i profondi rapporti che intercorrono con le diverse sfaccettature del mondo economico e imprenditoriale e naturalmente con le cooperative. Bonaccini ha potuto inoltre valorizzare il vecchio passato positivo delle amministrazioni di sinistra e quanto di esso ancora resta, tanto più se comparato ai risultati di altre regioni. Ha saputo presentarsi come amministratore capace e valido, tenendo le opportune distanze dal governo e dal suo stesso partito per non farsi schiacciare sulla contrapposizione nazionale che sembrava perdente in partenza ed ha potuto avvalersi del voto disgiunto. Qualcuno sostiene che è stata la stessa offensiva di Salvini a dargli un ruolo alternativo credibile e a farlo emergere.
Il forte aumento alla partecipazione al voto è stato il secondo elemento decisivo che sembra, per altro, fortemente collegato alla attività del movimento delle sardine. Questo ha saputo attivare ed interpretare le sensibilità antifasciste antirazziste e democratiche presenti nella società e costruire un livello di mobilitazione corrispondente a questo livello parziale di politicizzazione; è stato un movimento soprattutto di opinione più che sociale in senso proprio, ma ha potuto riportare al voto settori di giovani e meno giovani, costruendo una controtendenza visibile a livello di massa alle posizioni di Salvini e alla Lega. Bisogna anche ricordare che tutto questo è stato possibile per l’impegno di aree significative del cattolicesimo, a partire dal ruolo del cardinale Zuppi di Bologna.
Un terzo elemento che ha determinato il voto è stata la paura di che cosa potrebbe produrre in futuro l’azione di Salvini: “Se quanto finora ha fatto il capo della Lega ha già così invelenito la società, stravolto i livelli di coscienza democratica e di socialità in settori di massa, quali operazioni reazionarie superiori (forse irreversibili sul medio periodo) potrà mettere in atto se consegue anche la vittoria di Emilia e Romagna?”, è la domanda che molti si sono posti e che da una spiegazione alla irresistibile pressione al voto utile su Bonaccini.
Tutto questo avviene (e ne spiega le ragioni di fondo), nel quadro socio-politico dell’inesistenza da tempo di un movimento sociale e sindacale attivo, reale, indipendente dalle forze politiche interne al sistema capitalista ed effettivamente confederale (per usare un aggettivo tanto caro ai dirigenti CGIL), cioè capace di unire l’insieme delle lavoratrici e lavoratori in obiettivi comuni, alternativi alle politiche padronali.
4. Per quanto riguarda il M5S prendiamo atto del suo inevitabile ed auspicabile declino. Abbiamo sempre caratterizzato questo partito come una forza piccolo borghese che ha potuto ottenere i successi politici ed elettorali solo sulla base della demoralizzazione delle classi lavoratrici in un contesto in cui persistevano malcontento e rabbia contro le politiche dell’austerità e la sinistra di classe era impossibilitata a darne risposta. Il partito “né di destra né di sinistra”, privo di un programma socio-economico coerente, privo di reali rapporti sociali strutturati e non solo sui social, e privo di una struttura che consentisse una reale discussione tra gli e le aderenti, di fronte alle dinamiche delle contraddizioni di classe non poteva che sciogliersi come neve al sole. E’ stata infine la destra a raccogliere la rabbia e la disperazione di certi settori popolari. Che molti, a suo tempo, nella sinistra abbiano potuto credere che il M5S fosse un’alternativa su cui valeva la pena di impegnarsi, non ha certo aiutato la costruzione dello schieramento di classe che sarebbe stato necessario.
5. Per la sinistra di alternativa, schiacciata dalla minaccia della destra, senza nessun elemento di lotta sociale che potesse reggere la sua per altro debole proposta politica, disponendo quindi di una credibilità tendente a zero nello scontro complessivo, non c’era alcun spazio elettorale (in tutto ha raccolto l’1% cioè circa 25.000 voti). Riuscire poi, in una situazione di così estrema polarizzazione nell’exploit di presentare tre liste in contrapposizione, ha qualcosa di surreale che rimanda alla vecchia massima sugli Dei che accecano coloro che vogliono perdere.
Il fatto che la lista E-R Coraggiosa Ecologista Progressista abbia ottenuto un discreto 3,8% e più di 81.000 voti come alleata di Bonaccini e quindi in grado di avere una rappresentanza (2 eletti), rilancerà in molti settori di sinistra l’idea che l’alleanza con Zingaretti sia l’unica strada da percorrere. È una linea politica che presuppone un ruolo subalterno ed ancillare rispetto al PD: non c’è dubbio che per alcuni soggetti sia ben gradita, anche se questa scelta archivia del tutto la problematica della alternativa al liberismo e al capitalismo dal punto di vista non solo strategico, ma anche politico.
6. Forze politiche, politologi e commentatori stanno discutendo delle alchimie politiche ed istituzionali, delle formule elettorali e del rilancio del bipolarismo nonché del futuro del governo che resta, in ogni caso, assai complicato, avendo di fronte a breve scadenza un referendum, numerose elezioni regionali, per non parlare del nodo delle ristrutturazioni industriali.
Per il movimento dei lavoratori la situazione e le prospettive rimangono quanto mai difficili; sul piano politico si confrontano solo due alternative entrambe negative per le classi lavoratrici, quella delle forze liberiste “europeiste” e quella reazionarie e nazionaliste, due varianti diverse, ma entrambe interne alle scelte della classe dominante e alle politiche dell’austerità.
Noi proponiamo una sola stella polare per il cammino delle forze della sinistra autentica. Il bandolo della matassa sta nella dimensione sociale; non abbandoniamo le altre battaglie politiche e democratiche, ma non usciamo da questa situazione di impasse se non si riesce a produrre un rilancio delle mobilitazioni sociali in difesa delle condizioni di vita e di lavoro delle classi subalterne, in direzione della ricostruzione di un nuovo movimento operaio, senza il quale la sinistra di alternativa al capitalismo non ha, semplicemente, le gambe per camminare.
Tutto questo chiama in causa prima ancora delle forze, assai deboli, della sinistra, l’azione rivendicava del sindacato (noi sosteniamo con convinzione l’azione dei delegati e delle delegate combattivi/e dell’opposizione CGIL e le lotte del sindacalismo di classe fuori dalla CGIL), la battaglia per i salari, contro la precarietà, contro lo sfruttamento sui luoghi di lavoro, per difendere e creare occupazione cioè per una piattaforma alternativa ai programmi liberisti del capitale e contro le divisioni e contrapposizioni degli sfruttati.
Senza la costruzione di questo percorso l’influenza di massa delle forze della destra e dell’estrema destra e la possibilità che queste arrivino al governo saranno sempre aperte.
Il movimento delle sardine si è espresso come un movimento di opinione pubblica democratico e ha dato dei risultati in Emilia e Romagna, ma non ha funzionato in una realtà diversamente complessa come la Calabria. Resta da vedere quale influenza potrà avere nelle elezioni che avranno luogo in alcune regioni nei prossimi mesi e anche quale intersezione avrà con i progetti ricompositivi della dirigenza del PD. Per affrontare la sfida che abbiamo davanti il passaggio all’attività sociale, intesa come centrale è obbligatorio. Le organizzazioni della sinistra alternativa, divise politicamente e in grande difficoltà, possono tuttavia giocare un ruolo ed essere utili se non cercheranno di correre verso il “nuovo centrosinistra”, ma se utilizzeranno le forze militanti di cui ancora dispongono, insieme a quelle presenti in molti movimenti sociali, per aiutare i lavoratori e le lavoratrici a non essere soggetti passivi, a non rivolgersi a qualche falso demiurgo e a subire le scorrerie di Salvini, ma ad essere protagonisti diretti della difesa dei loro interessi e a rafforzare la loro autonomia e indipendenza. È una strada che può e deve essere percorsa.
* Presa di posizione della direzione di Sinistra Anticapitalista.