1. Il capitalismo ha costruito una trama di reti economiche e finanziarie, ha regolamentato il lavoro e il consumo mondiale, si è espanso e ha conquistato il pianeta consolidando le vecchie diseguaglianze e introducendone nuove. In questo momento il sistema è alle prese contemporaneamente con una pandemia, con la carenza di infrastrutture per gestirla e col crollo del mercato azionario e del prodotto interno lordo (sottoposto a “trombosi” che occludono pericolosamente le “vene” della circolazione di merci e capitali). Il vulcano della produzione, materiale e immateriale, trova difficoltà a raggiungere i tradizionali canali mercantili, il battito della circolazione cala d’intensità e con esso scende il tasso di valorizzazione del plusvalore del capitale.
Il meccanismo intrinseco al modo di funzionamento del sistema-capitale si è fatto sempre più impersonale e astratto. Produrre per produrre, accumulare per accumulare è la ragione strumentale del sistema messo in atto che si scontra con un’altra ragione sostanziale, quella avente come scopo il benessere delle persone e la soddisfazione dei loro bisogni materiali. La grande potenzialità economico-produttiva svela ancora una volta una cruda verità: non è al servizio delle persone; al contrario, le persone altro non sono che strumenti al servizio dell’ingranaggio economico impersonale che ha invertito il rapporto tra mezzo e fine, il mezzo è diventato il fine. È come se lo “spirito” del capitale, evocato dalle borghesie nazionali nei secoli scorsi, fosse “sfuggito” di mano anche alle classi dominanti, alle élite del potere economico, politico, finanziario. Certo continuano a trarne profitti, vantaggi, privilegi di status, ma in cambio devono cedere l’anima al diavolo capitale, ingabbiarsi nelle sue leggi di funzionamento vincolanti, le devono rispettare declinandole nelle situazioni reali storiche e sociali specifiche per valorizzare accumulazione e profitto, senza alcuna remora morale. Fa fine indignarsi moralmente per l’indifferenza etica del sistema attuale di produzione e riproduzione, ma che senso ha prendersela con quello che non c’è? Questo sistema non ha alcuna etica, non ne ha bisogno, è impermeabile a ogni considerazione o regolazione morale, non è anti-etico, è semplicemente senza etica.
Se il capitalismo è mondiale, le borghesie sono molteplici, nazionali o d’area geografica, legate alla storia delle specifiche formazioni economico-sociali, diseguali quindi negli interessi e nelle necessità, con esigenze contrastanti che richiedono risposte diverse per difendere e mantenere la loro posizione di rendita. Difatti la presente e improvvisa pandemia è affrontata dalle borghesie con tempi e modalità diverse. Esse si dividono secondo interessi peculiari di settori e nazioni e affrontano in modo differenziato un fenomeno che invece è globale. Le loro risposte a ranghi sciolti, messe alla prova del virus, amplificano il pericolo per la vita della specie umana. Le élite dominanti borghesi, lungi dal proporsi un piano di salvaguardia mondiale della specie, hanno difficoltà a pianificare le risorse economiche e sociali, “imprigionate” dai vincoli e dalle esigenze differenti di valorizzazione di singole parti di capitali investiti.
2. Già prima della diffusione del Coronavirus si cominciava a prospettare una recessione economica e finanziaria globale e la discussione tra gli esperti riguardava solo la sua possibile entità. Non è corretto incolpare il Coronavirus della nuova crisi economica. Esso ha però contribuito a scatenarla e gli esiti appaiono allo stato attuale imprevedibili nelle ricadute sociali immediate e nelle conseguenze future. L’emergenza sanitaria s’intreccia con quella economica, finanziaria e sociale. I sussulti tellurici delle borse e dei mercati, ha scritto Federico Fubini sul Corriere della sera del 17 marzo 2020, segnalano che il virus alimenta una recessione mondiale, che la pandemia sta paralizzando poco a poco le economie più vaste e interconnesse del mondo e la loro stasi a sua volta falcidia gli utili delle imprese, innescando a catena crolli di mercati finanziari sempre più fragili e carichi di debito. Una “catastrofe” quindi non causata dall’evento natura, ma dal suo intrecciarsi col modo in cui è organizzata la società.
Nell’insieme delle cause della crisi, la pandemia virale va considerata un fattore accidentale, il caso che ha fatto emergere tutte le contraddizioni accumulate in precedenza dal sistema e dalle sue leggi “oggettive”. Il caso Coronavirus si lega con la necessità del sistema. Se quest’ultima indica il contesto reale, determinato da fattori oggettivi, governati dai rapporti causali, il caso invece coglie la casualità, cioè tutti quegli accidenti caratterizzati da assenze di scopo e che tuttavia influiscono, interagendo con la necessità, alla produzione dell’evento.
La malattia è globale come il capitalismo. Infatti l’Organizzazione mondiale della sanità ‒ organismo che si presenta come ente volto a tutelare la difesa della specie umana contro i pericoli naturali e quelli “artificiali” provocati dal sistema attuale di produzione ‒ l’ha dichiarata una pandemia, cioè un’epidemia con tendenza a diffondersi ovunque, invadendo rapidamente vastissimi territori e continenti, favorita da tre fattori: un organismo virale virulento, la mancanza di immunizzazione specifica nell’uomo e la facilità di trasmissione da persona a persona. I casi di Coronavirus nei vari paesi del mondo segnalano una continua crescita. La vita di milioni di persone è stata rapidamente sconvolta dall’unico modo che si conosce per ora di contrastarlo: separare e isolare le persone. Cosa più facile a dirsi che attuarsi perché si vive in una società di movimento frenetico dei corpi messi al lavoro nelle fabbriche, negli uffici, nelle catene dei servizi e nel consumo attivo e partecipe del tempo libero dal lavoro.
Rallentare la circolazione del traffico mercantile e dei corpi messi al lavoro e al consumo non fa bene all’attuale sistema economico. Se le misure di isolamento dovessero durare per lungo tempo, con relativa chiusura di molti stabilimenti, aziende, reti logistiche e di trasporto, il punto di collasso del sistema produttivo si avvicinerebbe e con esso del capitalismo, il quale non può sopravvivere senza produrre plusvalore. Non per nulla subito dopo le dichiarazioni del premier Conte che nella serata del 22 marzo annunciava la chiusura di settori lavorativi non essenziali, il presidente di Confindustria ha scritto una lettera nella quale chiedeva la sostanziale revisione di questo provvedimento per salvaguardare gli interessi degli associati: imprenditori e industriali la cui priorità è la salvaguardia dei profitti, mascherata dietro la dizione “bene del paese”.
3. La rapida diffusione del virus accelera confuse tendenze protezionistiche su scala mondiale, di non facile applicazione in un sistema divenuto globale. Ogni singola borghesia nazionale vuole mantenere e difendere la propria posizione esportando, laddove sia possibile, i costi sociali della crisi. L’Italia in particolare, terza forza economica del continente, e l’Europa sono colpite al cuore del mercato comune le cui regole sono per ora “sospese”. L’attuale crisi ha un elemento nuovo, imprevisto, eccezionale e in più, rispetto al tradizionale modo di manifestarsi di una crisi del modo di produzione capitalistico e delle cure che si è cercato di mettere in atto per “sostenerlo”. In Europa, ad esempio, non colpisce un solo paese, che può essere abbandonato al destino speculativo dei mercati-cravattari spread, colpisce in tempi frettolosamente eguali tutti i paesi europei. Sono finiti i tempi in cui bastava avere i conti in ordine per cavarsela, poiché il disordine è nei rapporti reali, di produzione e di scambio.
Quando si è adombrata la possibilità di ricorrere al MES, Meccanismo europeo di stabilità, detto anche Fondo salva-Stati, che presta denaro vincolandolo all’imposizione di scelte di politica macroeconomica ai paesi aderenti, da parte italiana e di altri Stati del sud Europa si sono sollevati dubbi e resistenze perché imporrebbe regole di rientro dal prestito che scatenerebbero una pioggia di austerità, che annullerebbe ogni possibilità di ripresa e aprirebbe la via a una sicura recessione. Difatti questa è stata la bollente questione che ha esagitato il vertice dei capi di Stato europei del 26 marzo, dove l’incubo di far la fine della Grecia aleggiava sostenuto dai paesi del Nord Europa, con Germania in prima fila.
D’altro canto, la Banca centrale europea, smentendo clamorosamente la sua Presidente Christine Lagarde, nel giro di pochi giorni ha predisposto un piano d’intervento sui mercati finanziari di circa 750 miliardi di euro di qui fino alla fine di questo “indimenticabile” anno. Si tratta di un’operazione tesa a smorzare l’impatto che la pandemia sta avendo sulle borse e il mercato dei titoli di Stato, una sorta di antivirus per le obbligazioni statali, per il settore privato e quello bancario sotto forma di denaro contante che sostituisce titoli a rischio di svalutazione. Si badi bene però: come ha sottolineato Luigi Pandolfi su il manifesto del 20 marzo, «la montagna di soldi che la BCE ha messo sul piatto non andrà a finanziare la costruzione di ospedali, infrastrutture viarie, ferrovie, scuole o case popolari. Né contribuirà a creare nuovi posti di lavoro e a garantire un reddito a chi oggi non ce l’ha. I titoli che vengono acquistati sono quelli che hanno in pancia le banche. Non c’è alcun finanziamento di spesa pubblica aggiuntiva, per essere chiari».
Non è questo l’unico modo adombrato dagli economisti di scuola liberista. Negli Stati Uniti oltre che a Hong Kong o in Turchia, è stata rilanciata l’idea di distribuire un reddito di base alla popolazione disoccupata o senza reddito, detto anche helicopter money, cioè distribuzione diretta dei soldi ai cittadini, se non altro per sostenere i consumi di prima necessità ed evitare lo scoppio di rivolte. Il sistema dell’helicopter money si configura come un esempio di socializzazione delle risorse attuata dal capitalismo stesso. È, peraltro, una contraddizione in essere, una risposta temporanea e minimale, un paradosso che non può reggere a lungo e che andrebbe presto sciolto in un modo (socializzazione dei mezzi di produzione, pianificazione della produzione secondo le esigenze materiali della società) o nell’altro (inflazione generalizzata, impoverimento delle classi subalterne, crollo di mercati e borse, distruzione di forze produttive e poi, forse, lenta ripresa all’insegna dei rapporti di produzione capitalisti).
*articolo apparso il 10 aprile 2020 su sito https://volerelaluna.it/. Diego Giachetti cura regolarmente una rubrica di commento sulla politica italiana su Solidarietà, il giornale pubblicato dall’MPS.