Alexeï Navalny è stato appena condannato a 2 anni e 8 mesi di prigione con false motivazioni, in particolare procedendo alla revoca della condizionale comminatagli con la condanna per la vicenda Yves Rocher (eh sì!): il presunto colpevole avrebbe violato le regole del controllo giudiziario poiché…si trovava in Germania su autorizzazione del Cremlino per essere curato dopo l’attentato di cui era stato vittima in Russia… Una storia assurda, ma l’assurdità è ormai lo stile preferito del Cremlino: il tutto con l’obiettivo di rendere la politica un’assurdità.
Ma chi è Navalny? Non si parla che bene di lui in Occidente e senza dubbio è necessario smorzare tale entusiasmo. Allo stesso tempo, il coraggio che ha dimostrato tornando in Russia sapendo di essere in pericolo sia fisicamente che penalmente, lo eleva senza dubbio al rango di eroe moderno.
Personalmente non sono mai stata una sostenitrice di Navalny. Anche se bisogna ricordare che ha lottato a fianco degli abitanti di Mosca contro le speculazioni immobiliari che minacciavano l’ambiente, o della gente di Khimki per salvare la loro foresta da un progetto di costruzione di un’autostrada guidata dal gruppo Vinci (i francesi sono ovunque). Lo ricordo anche presente nelle “marce russe” nazionaliste (sotto lo slogan “Russia ai Russi”) della seconda metà degli anni 2000 e nei dibattiti (anche con me) sull’immigrazione, che egli considerava all’epoca un obiettivo di lotta (soprattutto contro l’immigrazione illegale, ma anche per un maggiore controllo).
La sua popolarità è decollata con le mobilitazioni del 2011-2012 contro i brogli alle elezioni presidenziali e, soprattutto, grazie ai suoi video di denuncia della corruzione e dell’arricchimento illegale dei più alti dirigenti dello Stato che hanno portato alle manifestazioni del 2016-17. Ma a quei tempi rimaneva ancora poco conosciuto dalla maggioranza della popolazione. Veniva percepito per lo più come uno dei suoi tanti “politicanti” che cercano di fare carriera ingannando la gente (secondo la classica percezione della politica come una “cosa sporca”).
La situazione però è radicalmente cambiata. Oggi è conosciuto dalla maggioranza della popolazione, anche grazie al fatto che il Cremlino, invece di ignorare come al solito le azioni dell’opposizione non istituzionale, continua a diffondere il suo nome attraverso i media statali, ovviamente per diffamarlo (“agente straniero”, “destabilizzatore”, “provocatore che manda bambini alle manifestazioni non autorizzate”), ma anche per rispondere alle sue accuse.
Per la prima volta, Putin si è giustificato pubblicamente (“no no, questo non è il mio palazzo, vivo umilmente come un vero patriota”…), il che, data la poca fiducia che i russi in generale hanno verso la televisione, non fa che rafforzare la certezza che anche lui sta attingendo a piene mani (e abbondantemente) dalle casse dello Stato. Inoltre, tutto ciò lo rende ridicolo, e sappiamo quanto egli sia sensibile alla propria reputazione di governante-integrato-dedito al benessere del proprio popolo. In poco tempo Putin è caduto dal suo piedistallo, anche tra coloro che hanno sempre votato per lui o pensavano che fosse almeno il garante della stabilità, dello Stato e dell’indipendenza della Russia.
Navalny ha incassato una vittoria e il re Putin è nudo. È riuscito a
1) distruggere il Putin simbolo della resurrezione della Russia e a trasformarlo in un politico come gli altri, corrotto, avido e sprezzante verso il suo popolo,
2) mostrare, attraverso il proprio esempio (impegnando il suo corpo e la sua vita) che era necessario smettere di avere paura.
È questa la forza del personaggio e certamente impone rispetto. Al di là delle reticenze che si possono avere su di lui e che possono essere anche numerose. Il suo programma economico, per esempio, che non illustra mai direttamente, sembra chiaramente neoliberale (concorrenza, competitività, privatizzazione, deregolamentazione, integrazione più avanzata nel mercato mondiale). Le sue simpatie nazionaliste possono suscitare diffidenza, ma testimoniano anche l’estro politico di quest’uomo che cerca di avvicinarsi il più possibile ai sentimenti dei suoi concittadini.
All’epoca dei suoi frequenti viaggi nelle varie regioni, verso la fine degli anni 2010, sollevava regolarmente la questione delle disuguaglianze sociali, dei salari pietosamente bassi, dello stato di degrado delle infrastrutture e dei servizi pubblici (ed era l’unico a farlo tra gli esponenti dell’opposizione “liberale”). Ha anche sostenuto iniziative sindacali (sostegno a un sindacato indipendente dei medici) e iniziative dei cittadini (sostegno ai reclami dei residenti sulla gestione dei loro edifici). Padroneggia dunque il discorso populista. Allo stesso tempo, è sostenuto dai governi occidentali e, senza dubbio, dal capitale russo legato all’Occidente.
Tutte queste riserve non impediscono di accogliere con favore l’impressionante mobilitazione che è riuscito a provocare, ancora una volta a prezzo della sua libertà e a rischio della sua vita. Le attuali proteste segnano un punto di svolta. Prima di tutto, sono caratterizzate da una partecipazione massiccia nelle regioni, con manifestazioni che hanno avuto luogo anche in luoghi molto remoti. Uno smacco per l’arroganza sprezzante dell’élite intellettuale “illuminata” e filo-occidentale, che ha sempre mostrato il più totale disprezzo per i russi di queste regioni demonizzate per essere dei cosiddetti docili vassalli dello zar Putin.
Come confermano da tempo diverse indagini sociologiche, questa Russia delle regioni è costantemente agitata da lotte e iniziative dei cittadini e delle cittadine – soprattutto nella lotta per la sopravvivenza, per quelle piccole cose che permettono di conservare un minimo di benessere e che tuttavia richiedono un grande coraggio e una forte capacità di auto-organizzazione. Naturalmente, queste lotte delle regioni, degli operai, della popolazione povera, non sono state lotte per i diritti umani in astratto, né per il sostegno a una mitica e monolitica “opposizione”, né per la “democrazia”, di cui, tra l’altro, non si sa bene che aspetto possa avere in Russia.
Le attuali mobilitazioni indicano quindi un’evidente politicizzazione delle lotte sociali, mentre molte persone dicono di scendere in piazza non per sostenere Navalny e lottare contro Putin, ma perché la popolazione possa vivere meglio, perché venga rispettata, per porre fine al monopolio della ricchezza del paese da parte di una manciata di oligarchi. Queste aspirazioni sono in linea con ciò che ho potuto personalmente riscontrare nelle ricerche sociologiche che ho condotto a livello regionale negli anni 2016-2018. Lì avevo trovato, almeno tra le classi lavoratrici, insoddisfazione e una critica acuta del potere dominante (soprattutto la condanna delle enormi disuguaglianze e di uno Stato controllato dall’oligarchia dei più ricchi).
Non dimentichiamo che in un paese così vasto (e ricco di risorse naturali) come la Russia, la disuguaglianza pone anche le regioni contro il centro, accusato di impossessarsi della ricchezza e di non redistribuirla, in particolare dal punto di vista degli abitanti di alcune province che vivono come se fossero vere e proprie “colonie” di Mosca. La propaganda patriottica del Cremlino ha ulteriormente aggravato il malcontento sottolineando la cosiddetta “ricchezza” della Russia, che la maggior parte della popolazione può facilmente confrontare con la propria reale e misera esperienza di vita.
Questo malcontento e queste critiche, ampiamente condivise e parte delle discussioni quotidiane della gente, rimanevano tuttavia sotterranee o venivano talvolta appena evocate in occasione di piccole lotte sociali. Troppo forte la consapevolezza della disuguaglianza delle forze, troppo forte la sensazione di impotenza contro quello che era (giustamente) visto come il muro del denaro e della repressione. Ora, sembrerebbe che Navalny sia riuscito a invertire la tendenza e a far credere alla gente che, sì, è possibile resistere.
In poche parole, se sappiamo che stiamo affrontando un muro e che lo dobbiamo affrontare comunque, è bene che la rabbia ci sia e che si sia accumulata! Possiamo disquisire sul fatto che le mobilitazioni non sono massicce. Ma ricordiamoci, prima di tutto, che ai manifestanti è spesso vietato riunirsi e che quindi vagano in disordine per le strade, il che ne rende difficile valutare l’entità della partecipazione. In secondo luogo, il sostegno più o meno attivo va ben oltre le persone presenti: ci sono in continuazione clacson di auto che suonano, persone che aiutano, milioni di visualizzazioni del video sul “palazzo” di Putin e discussioni quotidiane.
Una rivolta giovanile? Non c’è dubbio che negli ultimi anni i giovani sono sempre più numerosi nelle manifestazioni, mentre fino a poco tempo fa erano uno dei gruppi sociali più apolitici. È l’effetto del nuovo stile politico di Navalny e di pochi altri (video, social network), del gusto della libertà, ma anche della mancanza di qualsiasi prospettiva: un ascensore sociale ormai rotto, i migliori posti arraffati dalla prole degli oligarchi. Ci sono anche studenti di Mosca e San Pietroburgo che vengono dalle regioni e possono confrontare il livello di vita e le infrastrutture nelle loro regioni e in questi centri: e, intervistati, esprimono orrore per una tale disparità di trattamento all’interno dello stesso paese.
Anche se vi partecipano molti giovani, questo non è un movimento giovanile o un conflitto generazionale. Come mostrano i sondaggi condotti tra i manifestanti a Mosca e San Pietroburgo da squadre coordinate da Alexandra Arkhipova, tutte le fasce di età vi sono rappresentate. Anche le persone più anziane, che l’opposizione liberale accusa di essere lobotomizzate dalla propaganda del Cremlino, sono scese in piazza. Stanno cominciando apertamente a condannare Putin e le sue politiche, senza paura di essere di nuovo coinvolti nel caos delle brutali riforme ultraliberali degli anni ’90 condotte da Yeltsin, ed esprimono di nuovo rabbia per le loro misere pensioni paragonate al lusso così disgustoso dei vertici dello stato.
La propaganda patriottica è sicuramente alla base di tali reazioni. Ma per molti ha avuto l’effetto opposto a quello atteso dal governo al potere: lungi dal rafforzare la legittimità del sistema, ha soprattutto contribuito alla politicizzazione della popolazione, all’allargamento dei suoi punti di vista, alla denuncia della povertà delle masse (“come si può vivere così male in un paese così ricco?”) alla considerazione degli interessi del paese nel suo insieme, all’aspirazione di far parte di un “popolo” che si pensava fosse morto e sepolto da ognuno per sé stesso, e l’umiliazione di un paese rovinato e dissestato.
Le ragioni della protesta sono quindi molto diverse e vanno ben oltre Navalny o la corruzione. Ognuno esce con i propri sentimenti e le proprie aspirazioni. Tutti vogliono il cambiamento, il rispetto, la fine del furto delle ricchezze. Speranze e rifiuti che si amalgamano senza contraddizioni e tensioni per il momento, poiché la lotta è soprattutto per il cambiamento. Quale cambiamento? Quando la domanda sarà posta, emergeranno le divisioni; ma per ora si tratta di una sorta di unione nazionale per recuperare la propria dignità e, in un certo senso, la sovranità popolare. Da quello che ho sentito nelle manifestazioni, osservo che c’è l’idea di rivoltarsi “per tutti i russi”, “per il popolo”, “per la Russia”, “perché voglio aiutare il mio paese”.
Un ultimo dettaglio merita ancora attenzione: mentre i russi sono abituati (almeno nelle manifestazioni degli ultimi anni) ad essere molto “prudenti” nei cortei, molto rispettosi delle regole e delle convenzioni, si constata ora un’aggressività inaspettata, soprattutto nell’opporsi agli arresti arbitrari e nel tenere testa alle forze dell’ordine. La difesa della dignità si contrappone sempre più all’agire della polizia. E la repressione (migliaia di arresti arbitrari in tutto il paese) non fa che rafforzare la rabbia e la determinazione del momento.
In sostanza, si tratta di una mobilitazione nella quale concorrono malcontento e aspirazioni molto diverse, che per il momento si esprimono in un’ondata di solidarietà di un popolo che recupera la sua dignità. Navalny non è il leader ma il detonatore – nemmeno Navalny il politico (che come politico può solo suscitare diffidenza), ma l’esempio reale, fisico, dell’uomo Navalny che ha rischiato la vita per dimostrare che si può resistere.
In queste condizioni, non è possibile definire il volto politico della mobilitazione, non è possibile denunciare o gioire dell’ultraliberalismo o del filo-occidentalismo dei manifestanti, né denunciare o gioire dell’aspirazione a un’equa distribuzione della ricchezza e a una lotta contro l’oligarchia. Il rifiuto della politica è così profondo, il disorientamento così radicale, che nessuna delle coordinate politiche conosciute in Occidente ha senso in Russia, per la maggioranza delle persone. Né la destra, né la sinistra, né il conservatorismo, né il progressismo, nemmeno la monarchia o l’anarchia, ecc.
La mobilitazione è coraggiosa, è un dato di fatto. Mostra solidarietà e si estende a tutto il paese e a tutte le fasce d’età. Prenderà la piega politica (se deve prenderne una) che le dinamiche e le deviazioni della mobilitazione in corso le faranno prendere. È nell’incontro tra i manifestanti, nelle discussioni nelle strade e nelle stazioni di polizia che si può costruire un nuovo rapporto con la politica, un’altra politica.
Per quanto riguarda il Cremlino e l’attuale sistema politico, sta attraversando la più grande crisi che ha conosciuto da quando Putin è salito al potere (che lui stesso aveva già salvato dal collasso in epoca Eltsin). Il sistema ha infatti esaurito le sue fonti di legittimazione: né il patriottismo, né il populismo, né la figura di Putin salvatore possono più sostenerlo. Gli oligarchi e tutti coloro che traggono profitto dal sistema hanno una sola opzione: la brutale repressione.
La situazione è quindi molto tesa, i rischi sono grandi, ma il sistema può anche crollare. Per essere sostituito da che cosa? Questa rimane una domanda aperta. Essendo di sinistra e convinta dell’attualità dell’agenda sociale, spero che tutti gli attivisti di sinistra in Russia (non sono molti) possano essere coinvolti nella lotta e, insieme al resto dei manifestanti, reinventare la politica.
*Sono sociologa affiliata al CNRS. Scrivo dalla Francia da quando, l’anno scorso l’FSB, mi ha vietato di tornare in Russia per un periodo di dieci anni. Secondo i servizi di sicurezza, rappresento una “minaccia per lo Stato”. Negli ultimi anni, tuttavia, ho svolto solo il mio lavoro di sociologa in diverse università di San Pietroburgo. Ma prima, soprattutto negli anni 2000, ero molto coinvolta nelle lotte sindacali e cittadine che stavano emergendo in tutta la Russia in quel periodo, su questioni molto concrete quali i salari non pagati, la difesa degli spazi verdi, degli alloggi, ecc. Con amici e colleghi, avevamo creato l'”Istituto per l’Azione Collettiva” che aveva lo scopo di far conoscere queste lotte attraverso un sito Internet e di aiutarle a farsi conoscere e a svilupparsi.
È stato allora che ho incontrato Alexei Navalny. Senza essere “compagni”, ci siamo incontrati diverse volte sul campo, a Mosca, Astrakhan o altrove.
**Articolo pubblicato da Karine Clément sul suo blog su Mediapart il 5 febbraio 2021.