Il Parlamento italiano ha approvato la legge di bilancio 2023, una legge fondamentale che decide delle grandi scelte economiche e sociali del paese, senza nessuna reale discussione, utilizzando ancora una volta il voto di fiducia per evitare il ricorso all’esercizio provvisorio, complice una maggioranza di governo che fino all’ultimo si è litigata al suo interno, ognuno dei partiti impegnato ad ottenere qualche vantaggio per il suo bacino elettorale ed a garantirsi la visibilità, dentro il quadro comune di una legge finanziaria antisociale e nemica dei lavoratori.
Le forze delle destre hanno potuto fare e disfare a loro piacimento anche perché in questi mesi nel paese non è stata costruita nessuna seria campagna politica di opposizione ed ancor meno una campagna di lotte e di mobilitazioni per ostacolare e rendere difficile a Meloni e soci di portare a casa i loro obiettivi.
Le direzioni CGIL e UIL, all’ultimo e quasi malvolentieri, hanno indetto uno sciopero di 4 ore, articolato su base regionale nella settimana dall’11 al 16 dicembre, mettendo in piedi forme di mobilitazione assai differenti da situazione a situazione. Hanno scelto cioè una modalità di lotta, del tutto dimostrativa, assai poco efficace e che, al di là dei giudizi positivi dei dirigenti sindacali e dello stesso Manifesto, ha avuto una adesione limitata ed ha prodotto delle manifestazioni assai contenute numericamente, sostenute dall’apparato e da una cerchia ristretta di militanti di lavoratrici e dei lavoratori, certo le/i più disponibili e consapevoli della gravità della situazione. Per giocare sulle parole potremmo dire che è stato attivato appena “il minimo sindacale”, quasi simbolico, per evitare la passività completa davanti all’azione di un governo che tira dritto per la sua strada. Siamo al di sotto delle stesse tre manifestazioni interregionali dello scorso anno contro la finanziaria di Draghi che pure già erano state segnate dalla scelta di una mobilitazione tardiva e dimostrativa. In quella occasione tuttavia la presenza di numerosi settori operai combattivi, aveva spinto i segretari di CGIL e UIL a spergiurare sulla volontà di costruire una prolungata mobilitazione, che, come è noto, non è mai stata attuata. Anche oggi dal palco qualcuno dei dirigenti sindacali ha proclamato che “siamo solo all’inizio”. Affermazione assai poco credibile agli occhi della gran massa dei lavoratori che in questi anni hanno potuto verificare come i gruppi dirigenti si muovano in ben altra direzione spinti solo a preservare il ruolo degli apparati burocratici e non a combattere realmente le politiche delle forze capitaliste e dei loro gestori di governo. Ma è proprio questa subordinazione e la rinuncia alla lotta dei vertici sindacali che, combinate con le sconfitte prodottesi, hanno generato passività e demoralizzazione in larghi settori di massa.
Se in alcune riunioni interne molti dirigenti hanno espresso forti preoccupazioni sui gravi pericoli incombenti per la classe lavoratrice, nulla di serio hanno fatto negli ultimi due mesi per attivare una forte discussione nei luoghi di lavoro per costruire le condizioni di una reale mobilitazione di massa e di uno sciopero generale credibile agli occhi delle lavoratrici e dei lavoratori, capace quindi di porre delle zeppe nei progetti del governo. Non avendo fatto un anno fa alcuna seria opposizione al governo Draghi, i vertici sindacali, oggi sono quasi imbarazzati a costruire una significativa contrapposizione al governo Meloni ripiegando su un pericoloso attendismo in cui si combina la vuota denuncia delle scelte governative e la passiva e fallimentare richiesta (quasi col cappello in mano) al governo di venire incontro alle loro proposte rivendicative.
Il sindacato che ha meno problemi è la CISL, sempre più moderata e governista, che ha subito escluso qualsiasi iniziativa, anche solo tattica, che contemplasse qualche forma di mobilitazione.
Le classi lavoratrici per le scelte irresponsabili delle organizzazioni sindacali che dovrebbero organizzarla e mobilitarla contro i padroni e governo rischiano così di essere triturate e frantumate dall’attacco congiunto e combinato dei padroni e del governo.
Ben altro avrebbe dovuto fare la principale organizzazione sindacale storica, la CGIL, davanti a una manovra economica e un progetto politico profondamente conservatore, volto a dividere e penalizzare le classi lavoratici. L’impropria visita di Landini e di 5 mila sindacalisti al Papa non supplisce certo a questa mancanza di lotta e non produrrà certo il miracolo di salvare i lavoratori.
Con ben altro spirito e con un programma assai più completo e coerente i sindacati di base hanno indetto e organizzato lo sciopero del 2 dicembre che ha mobilitato aree di avanguardia di lavoratrici e lavoratori, ancora disposti a una forte lotta contro lo sfruttamento padronale e le politiche governative. Questi e queste sono state le/i protagoniste della bella manifestazione nazionale a Roma del giorno successivo, in cui la presenza di molti settori di giovani e di lavoratori migranti offrono qualche speranza sul futuro delle mobilitazioni della classe.
Resta purtroppo il fatto, per ora, che queste punte di lotta e di resistenza sono ancora minoritarie e non riescono ad avere una capacità di polarizzazione e quindi di mobilitazione di settori ben più larghi e di massa come sarebbe necessario per modificare i rapporti di forza sui luoghi di lavoro e nella società.
La costruzione di un forte sindacalismo di classe che riesca a mettere in sintonia quanto si muove sia all’esterno che all’interno dei maggiori sindacati resta il compito di questa fase storica.
Se questo è il quadro politico e sociale, è evidente che i margini di manovra e di azione del governo, ed anche le possibilità di mascheramento delle sue intenzioni, sono molti, così come lo è la libertà di azione dei capitalisti. Tutti costoro chiuderanno la legge finanziaria senza problemi e potranno brindare alla loro vittoria.
E la legge di bilancio 2023 non è solo una legge di classe, come tutte quelle propinate dai governi precedenti, ma è una legge particolarmente brutale che esprime l’odio e il disprezzo delle destre estreme e postfasciste verso le classi subalterne e che, senza infingimenti, vuole affermare il dominio di classe; colpevolizza i poveri e gli strati più deboli della società, cerca di mettere i penultimi contro gli ultimi, soprattutto creare una massa di proletari, senza risorse, tutele e organizzazione, totalmente ricattabili, costretti a vendere la propria forza lavoro a qualsiasi condizione e sfruttamento, non solo al grande padronato, ma soprattutto alla piccola e media borghesia, minacciata dalla dura competizione capitalista, quegli strati sociali, a loro volta rancorosi e impauriti, che sono la base elettorale delle destre.
Questo governo non solo è la continuità delle politiche liberiste di Draghi e dei padroni, ma vuole anche restaurare un “ordine reazionario”, in cui ognuno deve stare al suo posto di classe che la nascita e il destino gli hanno assegnato; se sei povero e disoccupato è colpa tua e la tua condizione è quella che meriti; il tutto confezionato dentro un’ideologia nazionalista, oscurantista, razzista e antimigranti del dominio di classe borghese, che si vuol far diventare egemone nella società producendo una sempre più marcata involuzione della coscienza e dell’identità di larghi settori di massa.
Di fronte a queste politiche antioperaie e antipopolari e di fronte anche ai dati dell’Istat che confermano come dal 2007 ad oggi i salari siano diminuiti del 10% , i contributi dei lavoratori siano rimasti più o meno costanti e quelli dei padroni siano invece diminuiti del 4% e infine che i profitti di tantissime aziende non solo quelle energetiche, abbiano conosciuto grandi impennate (si stima una crescita del 34% nel 2022), garantendo una larga distribuzione di dividendi agli azionisti, in questo autunno avrebbe dovuto venir giù il mondo: per combattere le misure ignominiose della finanziaria e i tanti altri progetti reazionari, sulla scuola, sulla autonomia differenziata, sulla ulteriore controriforma del fisco, ecc., ma così non è stato e grande è la responsabilità delle maggiori organizzazioni sindacali di massa.
Se volesse essere utile il congresso della CGIL dovrebbe affrontare con coraggio questi nodi e individuare gli strumenti per un profondo cambiamento di rotta che le compagne e i compagni del documento alternativo “Le radici del sindacato” propongono. C’è da dubitare che questo avvenga anche perché molte volte gli arretramenti sociali invece di spingere a un cambio di passo coraggioso, spingono al conformismo e a stringersi intorno all’apparato conservatore esistente. Per questo anche bisogna che le forze di classe si diano da fare già dalla mattina del primo gennaio 2023…..
*Sinistra Anticapitalista