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Pubblichiamo l’intervento che Matteo Pronzini ha pronunciato nel corso della seduta di Gran Consiglio di Lunedì 13 novembre. In discussione tre mozioni (la prima presentata addirittura nel 2017) che affrontano la questione della “depressione” salariale in Ticino, collegandola anche alla migrazione di giovani formati verso altri Cantoni. Temi sul quale tutti si dicono preoccupati, ma sui quali i passi in avanti fatti sono pari a zero. (Red)

Ci sono tre elementi che vanno segnalati in relazione al rapporto della commissione sulle mozioni che ho presentato e che sono state accorpate.

Il primo è quella dei tempi. Comprendiamo tutto, la pandemia, la guerra, etc. Ma non possiamo non ricordare che la prima mozione (quella che pone, tra le altre cose, il tema del saldo negativo dei giovani, i famosi “talenti” che non riusciamo a far tornare, ad attirare in Ticino) era del 2017. Ci sono voluti ben sei anni per affrontare un tema che oggi appare urgente e problematico. Sul quale nulla si è fatto né per approfondirlo (approfondimento ora auspicato  dalla commissione), né – evidentemente – per cercare in qualche modo di contrastarlo.

Un segno di inadempienza verso i giovani da parte di questo Parlamento. Giovani: termine con il quale vi riempirete la bocca in questa campagna elettorale, ma del cui futuro poco o per nulla vi preoccupate.

Il secondo punto è che questo rapporto avviene più o meno in concomitanza con la pubblicazione di uno studio dell’Ufficio cantonale di statistica secondo il quale i salari mediani in Ticino sono del 23,3% inferiori al resto della Svizzera (fatto già noto in base  alla Rilevazione della struttura dei salari effettuata ogni due anni); studio che attesta un fatto d’altronde già noto, e cioè che il divario cresce e che la quasi totalità di questa differenza non è spiegabile con criteri oggettivi come l’età, la formazione, gli anni di servizio o la posizione gerarchica, ecc.. La “novità” è che l’Ustat, per la prima volta, dice chiaramente che in Ticino i salari sono più bassi perché …le aziende pagano meno.
Alla commissione, nel suo rapporto, deve essere sfuggito che questa tendenza non solo dovrebbe essere indagata meglio, ma ha direttamente a che fare con uno dei temi affrontati nella mozione, cioè la tendenza dei giovani ad andare oltre Gottardo.

Questa seconda considerazione ci spinge anche a riflettere, ed è il terzo punto, sulle ragioni per le quali dal rapporto della commissione emerge, tutto sommato, un quadro rassicurante. A colpi di segnalazioni bibliografiche (o di articoli sul web) ci si vuole convincere che, certo si può ancora indagare qualcosa, ma che in sostanza la situazione è sotto controllo ed è anche conosciuta.

E pazienza, aggiungiamo noi, se i giovani, finiti gli studi universitari non tornano in Ticino. Perché in realtà sono proprio i rappresentanti dei maggiori partiti che hanno firmato questo rapporto a non essere così preoccupati che i giovani non tornino. Partiti che rappresentano in maggioranza interessi economici evidenti per i quali è preferibile attingere a un mercato del lavoro transfrontaliero abbondante e che, a causa delle differenze di cambio, deve accontentarsi di salari bassissimi anche per funzioni estremamente qualificate. D’altronde non molto tempo fa un imprenditore ticinese, additato ad esempio di successo, si vantava pubblicamente di reclutare per la sua azienda ingegneri diplomati al Politecnico di Milano per 3’500 franchi al mese. E non è certo un caso isolato!

In realtà occuparsi seriamente di quanto proposto nelle nostre mozioni vorrebbe dire aggredire seriamente il dumping salariale che sempre più si sviluppa sul nostro territorio. Ma con salari minimi legali di 3’200 franchi non si aggredisce alcun dumping. Anzi, lo si favorisce spingendo tutto il sistema salariale cantonale ad allinearsi, verso il basso, attorno a questo standard legale.

Siamo sicuri che questo tema, in particolare quello di come convincere i giovani ticinesi e non solo i giovani, a tornare in Ticino, ad intraprendere attività professionali, a formare nuclei famigliari terrà banco nei prossimi anni: si tratta di un’occasiona ghiotta per convegni, studi, conferenze. Che chiacchiereranno molto e, come finora, combineranno poco. L’importante è dare l’impressione di occuparsene, non di occuparsene sul serio.

È proprio in questa direzione che va il rapporto della commissione.