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La stampa argentina (e anche quella internazionale) ha accolto con grande sorpresa il voto ottenuto dal candidato “libertario” Javier Milei domenica 13 agosto durante le PASO (Primarie Aperte Simultanee Obbligatorie), una votazione preventiva in cui gli elettori anticipano il voto per il partito di loro preferenza, scelgono chi sarà il candidato quando c’è più di un aspirante di quel partito e definiscono quali partiti potranno partecipare al processo elettorale, dato che per poter partecipare alle vere e proprie elezioni (che si terranno il 22 ottobre) è richiesto un minimo dell’1,5% dei voti nelle PASO. Le PASO sono quindi molto importanti anche perché gli indici di solito cambiano molto poco tra essi e le elezioni vere e proprie, e sono dunque un forte indicatore delle tendenze elettorali. La stampa lo presenta come il “Grillo argentino” o come il “Trump di Buenos Aires”. Ma c’è qualcosa di più.

Il risultato è stato impressionante, con una clamorosa vittoria del candidato di estrema destra che, nonostante la fragile struttura partitica del suo La libertad avanza (LLA), ha ottenuto il 30% dei voti ed è stato il più votato, davanti ai candidati di Juntos por el Cambio di destra (28,2%) e della kirchnerista Unión por la Patria (27,3%). Altre due formazioni hanno superato lo sbarramento minimo e parteciperanno alle elezioni: il conservatore Hacemos Nuestro País (3,8%) e il fronte della sinistra trotskista FIT – Unidad, con il 2,65%.

L’ascesa dell’estrema destra argentina

Da lontano, colpisce il significativo voto per un candidato che relativizza i crimini della dittatura militare in un paese come l’Argentina, dove è stata fatta giustizia e la memoria dei crimini della dittatura si rafforza quotidianamente. Tuttavia, non deve sorprendere il trionfo di una candidatura che esprime un profondo disagio per la prolungata crisi del paese, anche se paradossalmente quel candidato promette dosi ancora più massicce delle politiche ultraliberiste che sono all’origine della crisi stessa.

Javier Milei, economista ultraliberista che cerca di presentarsi come critico “antisistema”, si è inizialmente distinto per il modo folcloristico in cui si presenta: trasandato, con un vocabolario gergale autodefinito “autentico” e in aperta opposizione al politically correct. La sua ascesa è stata notevolmente facilitata dal contesto più ampio di crescita politica e sociale della destra.

Com’è accaduto in numerosi paesi europei (e in Italia), ma soprattutto in Brasile, quando si è assistito all’ascesa di Bolsonaro nel contesto delle manifestazioni reazionarie del 2015-2016, il discorso fascista di Milei è stato legittimato dallo spostamento a destra del conservatorismo tradizionale argentino (Juntos por el Cambio), e persino dallo scivolamento verso destra anche di settori della coalizione di governo kirchnerista.

Così, la campagna contro la sinistra e i suoi programmi, la denuncia fondamentalista delle politiche di genere, la criminalizzazione delle lotte sociali e giovanili, l’attacco all’indipendenza dei giornalisti, la creazione della paura per l’ “insicurezza” delle città e l’incoraggiamento all’armamento personale e al “farsi giustizia da sé”, il razzismo e la legittimazione dei gruppi neonazisti hanno spinto sempre più in là i confini di ciò che sembra essere “accettabile”.

Anche in Argentina, la destra macrista (Juntos por el Cambio) ha assunto una posizione negazionista contraria alle politiche di contenimento della pandemia.

Tutto ciò ha aperto la strada e ha favorito il discorso radicale individualista ultra-liberale di Milei, discorso che, in nome della “libertà individuale”, ha caratterizzato come dittatoriale qualsiasi politica socialmente concordata, con argomenti e pratiche molto simili a quelle che Bolsonaro usava in Brasile.

“Liberale in economia, conservatore nei costumi”: fascista

Javier Milei è un candidato fascista, anche se non si presenta come tale. Il nucleo del suo discorso è la difesa di una radicale riduzione dell’azione dello stato nell’economia, in termini vicini al cosiddetto “anarco-liberalismo”. Milei si presenta come un libertario nella tradizione del libertarismo americano, con una difesa fondamentalista della libertà individuale associata ad un profondo e radicale conservatorismo nel campo dei costumi, che lo ha aiutato a conquistare il sostegno di gruppi reazionari di stampo religioso integralista.

E’ una formula che risale agli Stati Uniti degli anni Settanta, quando il “libertario” Murray Rothbard propose una sintesi tra conservatorismo sociale e culturale e ultralibertarismo economico, per la quale coniò l’espressione “paleolibertarismo”. Rothbard propose di abbandonare le posizioni tradizionalmente difese dai libertari americani, come la legalizzazione dell’aborto e l’uso ricreativo delle “droghe”, mirando così ad acquisire il sostegno dei settori socialmente conservatori, soprattutto quelli legati al fondamentalismo religioso.

E’ una sintesi perversa, che oggi si può riassumere nella formula “liberale in economia, conservatore nei costumi”. Quell’impostazione ha permesso a Rothbard di partecipare alla svolta reazionaria degli anni di Reagan e attualmente ispira innumerevoli movimenti di estrema destra, soprattutto quelli legati alla rete internazionale ispirata da Steve Bannon, che annovera il bolsonarismo, VOX spagnolo, i governi fascisti di Ungheria e Polonia, per certi versi in Italia il partito di Giorgia Meloni e la Lega di Salvini, e ora anche La Libertad Avanza di Milei.

Il fascismo di Milei come sintomo della crisi politica

Nonostante il suo carattere reazionario, il fascismo emerge e si rafforza sempre in contesti di crisi politica e di crescente malcontento. Nel processo argentino, come in molti altri paesi, il malcontento, che prima si rivolgeva a sinistra grazie alla maggiore compattezza sociale, oggi si è progressivamente spostato verso destra, a causa della crescente polverizzazione della società.

Lo stesso slogan “que se vayan todos” (Via tutti), frase fatta, vuota e depoliticizzante adottata anche da una parte della sinistra argentina, ha facilitato l’avanzata della destra e del fascismo, che ne ha colto facilmente il significato omologante anche rispetto a progetti politici e sociali strutturalmente contraddittori.

In Argentina, forse ancor più quanto è accaduto in Italia con i “Vaffaday” e l’ascesa del “grillismo”, l’immagine del nemico si è focalizzata sulla “casta” politica, allontanando così la comprensione dei processi più strutturali dell’azione sociale. Si è quindi consentito che il “nuovo” fascismo del XXI secolo si costruisse sulla demonizzazione della politica in quanto tale.

La responsabilità del kirchnerismo

La crisi politica, sociale ed economica dell’Argentina è intensa e innegabile. L’attuale governo, con Alberto Fernández come presidente e Cristina Fernández de Kirchner come vicepresidente, è stato eletto con un ampio margine di voti in un contesto di aggravamento della crisi a causa delle politiche neoliberali di Macri. Ci si aspettava quindi un ritorno a una prospettiva “sviluppista”, anche se in uno scenario internazionale avverso, peraltro aggravatosi con la pandemia, che in Argentina ha colpito assai duramente: 130.000 morti su una popolazione di 45 milioni di persone).

Il presidente Fernández, di fronte alla radicalizzazione della destra liberale e fascista, negazionista rispetto al Covid, ha assunto una politica erratica e contraddittoria, allentando tutti i controlli e vanificando il positivo contenimento iniziale del contagio. Come se non bastasse, durante il lockdown nel luglio 2020 Fernandez fu sorpreso a partecipare a una festa di compleanno clandestina per la moglie, il che favorì notevolmente il discorso dei negazionisti e fece apparire ipocrita la sua politica.

E, in campo economico, le sue scelte politiche sono state tutt’altro che “sviluppiste” e hanno rafforzato il modello neoliberale e aggravato la crisi in tutte le sue dimensioni. L’accordo con il Fondo Monetario Internazionale ha persino portato a una frattura tra Cristina Kirchner e il presidente. Il suo ministro dell’Economia Sergio Massa, un vero e proprio superministro, è stato un campione delle politiche neoliberiste.

Il fatto che la coalizione di “centrosinistra” Unión por la Patria abbia scelto proprio Sergio Massa come candidato presidente ha drasticamente screditato quella candidatura agli occhi delle vittime della politica neoliberale.

I sondaggi e le previsioni facevano ritenere che l’annunciata avanzata dell’estrema destra avrebbe diviso i voti del campo conservatore, erodendo i voti di Juntos por el Cambio. Invece, il confronto con i risultati delle elezioni del 2019 mostra che due terzi dei voti conquistati dal fascismo provengono dal campo kirchnerista, che ha perso oltre il 20% dei voti (dal 47,6% al 27,3%). Anche Juntos por el Cambio ha subito un calo, ma di meno del 4% (dal 32,1% al 28,2%).

La sinistra anticapitalista, nel frattempo, non è stata in grado di conquistare il sentimento anti-sistema e la sua principale formazione ha registrato un piccolo calo di voti, passando dal 2,86% del 2019 al 2,7% delle PASO di domenica 13 agosto. Gli analisti indicano che Milei è avanzato soprattutto tra i più poveri e tra i più giovani, un elettorato che tradizionalmente era vicino al kirchnerismo (e anche alla sinistra) piuttosto che alla destra tradizionale “macrista”.

La “lezione argentina” dimostra, una volta di più, che gli effetti delle politiche neoliberali sono il miglior lievito per la crescita del fascismo, e che quindi qualsiasi prospettiva antifascista coerente deve assumere come parte di questa lotta il confronto contro le politiche neoliberali, anche se proposte da governi di “centrosinistra” o “progressisti” e, addirittura, in nome della lotta al fascismo.

*articolo apparso sul blog https://refrattario.blogspot.com/ il 17 agosto 2023