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Mercoledì 17 luglio, più di 200 senzatetto, uomini, donne e giovani, sono stati evacuati dai loro rifugi di fortuna nella zona nord di Parigi. Si è trattato della terza evacuazione in tre giorni, per complessive più di 500 persone sloggiate.

Il tempo sta per scadere per il ministro dell’Interno dimissionario, che sta rendendo invisibile la povertà. Negli ultimi nove mesi, famiglie e giovani sono stati ospitati lontano da Parigi, in luoghi come Besançon e Rouen. Poi, improvvisamente, negli ultimi tre giorni, sono stati trovati posti in centri di accoglienza nella regione parigina, accessibili secondo criteri rigorosi. Ma, attenzione: questi posti costosi sono requisiti per uno o due mesi, per tutta la durata dei Giochi.

Con quindici milioni di visitatori previsti, il governo vuole svuotare le strade. Secondo il collettivo Le Revers de la médaille, in un anno sono state espulse dalla regione di Parigi 12.000 persone. In questi giorni le cose si stanno accelerando. Un centinaio di giovani sono stati svegliati alle 5.30 del mattino dalla polizia per lasciare le loro tende senza alcuna soluzione alternativa di accoglienza, il che è illegale.

Sono stati allertati i centri diurni e sono stati messi a disposizione posti nei CAES (alloggi per adulti), ma le soluzioni offerte distano più di un’ora da Parigi, senza nessuna soluzione di trasporto.

Questi giovani frequentano corsi di francese, sono iscritti ad attività sportive, hanno appuntamenti in tribunale, ecc. Se si isolano per uno o due mesi, perdono i loro appuntamenti e, in ogni caso, non hanno soldi per il trasporto e, alla fine, si oppongono.

Utopia 56 e altre associazioni di volontariato hanno accompagnato i giovani a sistenarsi in un terreno libero indicato dal comune di Parigi. Ma poco prima di mezzanotte la polizia li ha sfrattati e i vicini sono diventati aggressivi. Verso le 2 di notte, le associazioni trovarono un parcheggio sotterraneo abbandonato, esauste dopo più di otto ore di vagabondaggio.

Niente di nuovo: nel 1947 il geografo Jean-François Gravier scriveva a proposito delle espulsioni operate a metà del XIX secolo dal prefetto Georges-Eugène Haussmann nella Plaine Monceau di Parigi, per fare spazio ai palazzi signorili della borghesia rampante:

Distruggendo centinaia di edifici per metà borghesi e per metà operai per costruire Chaillot e la Plaine Monceau, cacciando i proletari in periferia, il barone Haussmann si è assunto una pesante responsabilità. Ha creato questi ambienti chiusi, impermeabili gli uni agli altri, cosicché un abitante di Passy deve inchinarsi ai riti della borghesia, mentre un abitante di Aubervilliers, Saint-Ouen o Clichy si trova imprigionato in un clima di tristezza e povertà […] Il proletariato è definito non tanto dalla cifra di un salario quanto da una separazione geografica e morale dal resto della società”

Béatrice Vallaeys ha contestualizzato in un editoriale di Libération che riproduciamo qua sotto questa parola coniata dal comico Coluche, grande figura della solidarietà. 

Poveri bastardi?

Jean Gabin, in Traversée de Paris di Autant-Lara, fu il primo a usare l’espressione ripresa da Coluche: “Poveri bastardi!” Il personaggio attaccava una coppia di baristi, non dei veri poveri. Coluche, invece, ha indossato gli abiti dei benestanti e ha scandito un inventario di luoghi comuni: i “senza un soldo” sarebbero fondamentalmente dei pigri che si meritano quello che hanno. E per di più vogliono che ci dispiacciamo per loro.
Ma è Baudelaire il più impertinente, in Assommons les pauvres! (fuori gioco i poveri, ndt), un poema in prosa di perfidia maligna contro gli agiati. Il poeta suggerisce di picchiare un mendicante per costringerlo a rispondere con la stessa violenza.
Nel XIX secolo, l’utopista Charles Fourier, critico del nuovo mondo industriale, sognava di restituire ai poveri almeno la dignità umana. L’esperimento falansteriano di Fourier fallì, anche se più di un secolo dopo ispirò molti reduci del ’68 sopravvissuti alla speranza della “grande notte” a creare comunità al di fuori delle norme dell’odiato stato. La storia di come vengono trattati i poveri è infinita. È lo specchio dei destini dei ricchi, dove primeggia la coppia di sociologi Pinçon-Charlot, inventori della frase tanto azzeccata “il ghetto dei gotha” (nel famoso libro intitolalo I ghetti di Gotha: come la borghesia difende il suo spazio, ndt). Un gotha coccolato dagli attuali poteri, mentre l’altro ghetto si nutre nelle mense per i poveri.