Milioni di studenti e di lavoratrici e lavoratori hanno occupato tutti i palazzi del potere a Dahka e nella altre città del paese, sciogliendo il parlamento, costringendo il governo alle dimissioni e alla fuga, impedendo l’istaurazione di un governo militare e imponendo la formazione di un governo provvisorio affidato a un Premio Nobel per la Pace.
Dopo settimane di gigantesche mobilitazioni che hanno coinvolto l’intero paese, scoppiate inizialmente contro un sistema di quote con cui il governo pretendeva di regolamentare l’accesso ai lavori nel settore pubblico, il Bangladesh (oltre 170 milioni di abitanti, al 136° posto nell’Indice di sviluppo umano, fra i paesi più densamente popolati, con circa metà degli abitanti che vive al di sotto della soglia di povertà), alle quali il governo della Bangladesh Awami League diretta dalla premier Sheikh Hasina ha risposto con una repressione che ha causato più di duecento vittime, e migliaia di arresti, dopo che lunedì (5 agosto), in seguito all’appello lanciato ieri dalle organizzazioni studentesche e dalle strutture nate durante le lotte popolari, diversi milioni di manifestanti hanno marciato verso i centri di potere della capitale, Dhaka, il governo si è dimesso, la prima ministra è scappata in elicottero (prima nella vicina India, poi non si sa).
I generali dell’esercito, dopo aver collaborato con il governo nella repressione, hanno proclamato un governo provvisorio, sostenendo di fraternizzare con il popolo ma chiedendo un immediato “ritorno all’ordine”, per “far riprendere le attività economiche ed educative”, decretando persino un coprifuoco. Ma i principali portavoce del movimento studentesco che ha avuto un ruolo di primo piano nell’insurrezione, hanno respinto la proposta dei militari, hanno proclamato lo scioglimento del parlamento (peraltro occupato dai manifestanti), esigendo un “vero governo provvisorio”, composto da veri rappresentanti della società e non da militari, e l’indizione di “elezioni veramente libere”.
I generali, ben consapevoli di non poter continuare a controllare le loro truppe (durante le mobilitazioni numerosi soldati si sono rifiutati di sparare e molti sono persino passati con le loro armi dalla parte degli insorti), e di non riuscire neanche a far rispettare il coprifuoco, dopo qualche esitazione hanno accettato il diktat degli insorti, concordando con loro la formazione di un governo presieduto da Mohammed Yunus, Premio Nobel per la Pace nel 2006, per la sua azione teorica e pratica nel campo del microcredito, anche se coinvolto in vicende giudiziarie a causa del discusso sostegno ai suoi progetti solidali da parte della multinazionale francese Danone, vicende strumentalizzate dal governo per screditarlo. Mohamed Yunus ha accettato l’incarico.
Facciamo notare che la Bangladesh Awami League è un partito che si autoproclama “socialista”, esplicitamente sostenuto da Russia e Cina (oltre che dall’integralista induista indiano Narendra Modi) e, dunque, non ci sorprenderemo se la sinistra “campista” solidarizzerà con la premier in esilio piuttosto che con i milioni di bengalesi insorti (come peraltro ha già fatto puntualmente il “quotidiano di informazione” Faro di Roma, che titola sul suo sito: Il colpo di stato in Bangladesh benedetto dagli Stati Uniti).
Certo, la situazione è complessa e gravemente instabile, la sinistra nel paese, come in tante altre parti del mondo, è segnata da una gravissima debolezza, e l’autorganizzazione delle masse studentesche e popolari è appena iniziata. La mobilitazione democratica dei giovani studenti è riuscita a unificare il paese, che era già stato segnato da anni di scioperi di massa, in particolare nell’industria tessile e nelle piantagioni di tè, nel corso degli ultimi due anni.
Il governo ha tentato inizialmente di reprimere le proteste chiudendo tutti gli istituti scolastici e torturando e brutalizzando i dimostranti, schierando militari e guardie di frontiera, bloccando Internet e telefoni. Il paese sta vivendo il paradosso di una forte crescita del PIL (attorno al 6-7% annuo) ma di una ancor più forte crescita delle disuguaglianze, con almeno una metà della popolazione costretta a lottare quotidianamente per uno standard minimo di vita.
Sin dall’indipendenza del Bangladesh (1971), i movimenti giovanili e studenteschi sono stati la spina dorsale delle lotte di massa contro i governi al potere. Un’ampia coalizione di partiti di opposizione e organizzazioni della società civile, tra cui gruppi di sinistra e progressisti, sostiene gli studenti oggi, mentre la destra tradizionale del Partito nazionalista del Bangladesh (BNP) e il partito islamista Jamaat-e-Islami hanno finto di sostenere l’ampio movimento studentesco e popolare. Il BNP è un tradizionale partito liberale di destra, assolutamente non interessato alla giustizia sociale, mentre il partito islamico promuove da sempre politiche fondamentaliste, considerando le donne beni di consumo e ritenendo che esse possano lavorare solo se indossano il burqa. Peraltro questi ultimi sono gli epigoni di coloro che nella lotta per l’indipendenza sostenevano la necessità di restare uniti al Pakistan (a 1.600 km di distanza) in nome della comune religione.
La sinistra bengalese ha perso forza e importanza negli ultimi anni: i due maggiori partiti di sinistra, il Workers’ Party (una formazione marxista-leninista) e il Jatiya Samajtantrik Dal (JASAD, socialdemocratico), si sono affiliati all’Awami League, cosa che ha contribuito a dividere la sinistra.
Ma esistono altre formazioni di sinistra di opposizione, attive sul terreno delle disuguaglianze economiche e diritti dei contadini e dei lavoratori. Si tratta in particolare della Left Democratic Alliance, del Communist Party of Bangladesh (CPB) e del Communist Party of Bangladesh (marxist-leninist), che, al di là dell’autodefinizione “m-l” in realtà è una formazione trotskista.
Il Bangladesh dipende in larga parte finanziariamente dall’industria dell’abbigliamento e i partiti di sinistra sono stati una presenza fondamentale tra le lavoratrici dell’abbigliamento e nei sindacati, nel sostenere le rivendicazioni salariali. I sindacati, che contano molti milioni di aderenti, sia nell’industria dell’abbigliamento sia nelle piantagioni, oltre che negli altri settori, l’anno scorso sono riusciti ad ottenere per le lavoratrici dell’abbigliamento un aumento del salario minimo da 8.000 a 12.500 taka (anche se corrisponde a poco più di 100 euro).
Esiste poi la Bangladesh Krishok Federation (BKF), con 1,6 milioni di aderenti in quarantanove distretti del Bangladesh. Sono agricoltori e le persone senza terra che lottano per una riforma agraria autentica e completa, per avere accesso a terreni coltivabili e sovranità alimentare e per poter vivere con dignità, ottenendo prezzi più equi per i loro prodotti agricoli, organizzando banche di semi di qualità, fornendo servizi legali e medici. La BKF, nel corso degli anni ha ottenuto vari risultati concreti nella redistribuzione delle terre in tutto il paese ai contadini senza terra.
Ci sono anche il Bangladesh Kishani Sabha (che organizza le donne contadine), il Bangladesh Adivasi Samity (rivolto alle minoranze etniche) e il Bangladesh Chhatra Shava (attivo tra gli studenti).
*articolo apparso sul sito Refrattario e controcorrrente (https://andream94.wordpress.com/)