“Tutti sanno cos’è successo”: questa è la frase passata di bocca in bocca dei venezuelani poco dopo la mezzanotte del 28 luglio, quando sono stati annunciati i risultati delle elezioni presidenziali. Era il 29 luglio e abbiamo appreso da Elvis Amoroso, presidente del Consiglio nazionale elettorale (CNE), che Nicolás Maduro Moros, presidente della Repubblica, aveva vinto con il 51,2% dei voti espressi, staccando il candidato dell’opposizione tradizionale, Edmundo Gonzalez Urrutia, che aveva ottenuto il 44,2% dei voti. Tuttavia, questo annuncio ha contraddetto una serie di indicazioni contrarie: nel corso della giornata, risultati sfavorevoli a Nicolás Maduro sembravano emergere dai vecchi bastioni del chavismo, in particolare nei quartieri popolari urbani. Cosa era successo, dunque? Cosa dobbiamo pensare, da sinistra, del risultato di queste ultime elezioni presidenziali venezuelane? E come possiamo immaginare una via d’uscita che rispetti la democrazia e il voto espresso dal popolo venezuelano?
Dubbi e demoralizzazione: la sinistra si è divisa sotto la pressione madurista
In Venezuela, affermare di essere di sinistra e allo stesso tempo opporsi al governo di Nicolás Maduro non è cosa facile. Le testimonianze che ho potuto raccogliere durante un mese di colloqui con diversi esponenti della sinistra, tra cui persone che si dichiarano ancora membri del movimento chavista, mostrano quanto sia difficile organizzarsi quando si è bersaglio della repressione politica e sociale del governo. Questo è ancora più evidente durante il periodo elettorale. Un ex ministro chavista mi ha detto: “È impressionante vedere che la destra è riuscita ad avere il suo candidato, ma a noi della sinistra non è permesso avere un candidato. Non abbiamo alcuna rappresentanza in queste elezioni” [1]. In effetti, molte persone mi avevano espresso le loro preoccupazioni riguardo alla decisione che avrebbero dovuto prendere il giorno delle elezioni. Per questi attivisti di sinistra, membri di organizzazioni di base, molti dei quali sono stati anche intermediari dell’azione pubblica durante i governi chavisti, la questione che si poneva era se andare a votare o meno il 28 luglio. Da un lato, perché votare per Edmundo González Urrutia sembrava impossibile. Non era possibile per queste persone votare per il portavoce di María Corina Machado, leader dell’opposizione tradizionale, che in passato è stata in grado di stringere alleanze con personaggi ripugnanti come Donald Trump, Jair Bolsonaro e Javier Milei. Ma che dire del voto per Nicolás Maduro? L’uomo che per anni ha tenuto la sinistra popolare fuori dal governo? L’uomo che ha gestito la crisi economica facendo pagare ai più poveri la corruzione all’interno della compagnia petrolifera e gli effetti delle sanzioni economiche statunitensi? Colui che ha represso le classi lavoratrici durante le Operazioni di Liberazione del Popolo (OLP) tra il 2015 e il 2017, causando la morte di migliaia di giovani neri dei quartieri [2]? No, nemmeno questo era possibile. Quindi, per alcuni di questi attivisti, l’unica opzione sembrava essere l’astensione. Una soluzione che contrasta con anni di rivendicazione da parte del chavismo del voto come strumento politico a tutti gli effetti per risolvere i conflitti tra i Venezuelani. Ci sono anche posizioni divergenti: tra le persone con cui ho parlato, una ha deciso di votare per González Urrutia per “bloccare” Maduro. Un altro mi ha detto che era suo dovere di chavista votare per l’opposizione, per dimostrare al presidente al potere che non rappresentava più gli ideali di questo movimento politico. Ci sono ancora altre opzioni: tra le forze sindacali, trotskiste e comuniste che hanno avuto rapporti più o meno stretti con il chavismo, il voto nullo è sembrato essere il più popolare. Questo richiede agli elettori un piccolo sforzo tecnico. Non dimentichiamo che il voto in Venezuela è elettronico. Viene effettuato da macchine installate nei seggi elettorali, che trasmettono i voti al Consiglio elettorale nazionale (CNE) e rilasciano una ricevuta di voto che viene depositata in un’urna. L’unico modo per ottenere un voto nullo è avviare la procedura di voto sul touch screen, attendere i tre minuti totali concessi per votare e ritirare una ricevuta di “voto nulo“. La macchina non offre immediatamente un’opzione per esprimere questa scelta.
Ma, al di là della scelta elettorale, c’è la questione dell’organizzazione collettiva e unitaria della sinistra che si oppone al governo Maduro. Divisa tra partiti politici, sindacati, movimenti sociali e altri spazi plurali (think tank, riviste letterarie, ecc.), la convergenza delle lotte sembrava difficile prima delle elezioni, quando i vari partiti si criticavano a vicenda per le loro posizioni divergenti rispetto alla storia della Rivoluzione Bolivariana. Le questioni di linguaggio diventano allora questioni strategiche centrali: in un’assemblea generale che cercava di costruire un’alleanza tra le organizzazioni per il periodo post-elettorale, è stato sorprendente vedere che alcune parole sono state abbandonate dal vocabolario quotidiano. Non si parla più di “potere popolare” o di “popolo”, ma piuttosto di “lavoratori” e di “patti d’élite”. È una sorta di vittoria per i sindacati e per alcuni appartenenti a una certa visione del trotskismo, che possono vantarsi di non aver mai integrato i ranghi del chavismo. In questo contesto, un noto attivista e ricercatore che lavora sui temi della violenza e dei quartieri popolari mi ha detto: “Sarà il momento successivo alle elezioni a riunirci. A pochi giorni dalle elezioni (19 luglio), possiamo ancora parlare della necessità di recuperare la compagnia petrolifera facendola funzionare attraverso delle cooperative, oppure di nazionalizzare le cliniche private… ma dopo le elezioni sapremo se avremo lo spazio necessario per lottare per i nostri diritti sociali e collettivi, o se dovremo lottare semplicemente per il diritto di esistere politicamente“. Questa opinione converge con quella di un leader di un’importante organizzazione che difende il diritto alla casa per le classi lavoratrici: “Nicolás non può vincere. Non hanno i voti. E se Nicolás vince le elezioni con la forza, non ci resterà altro da fare che difendere la nostra capacità di fare politica“. Stando alle conversazioni e alle espressioni politiche di questi stessi attori dopo le elezioni, tutti sembrano concordare sul fatto che è la seconda opzione ad imporsi.
28 luglio: la fine della democrazia rivoluzionaria?
Alla vigilia delle elezioni sono andato a trovare i leader della comunità in un quartiere operaio della zona ovest di Caracas, storico bastione del chavismo. Le loro posizioni erano cambiate rispetto a quelle che mi erano state riferite un mese prima. Erano convinti che la maquinaria electoral, cioè le strutture di mobilitazione elettorale del chavismo, potessero vincere. Dopo un mese di discussioni con vari settori della sinistra venezuelana, era la prima volta che sentivo un’affermazione del genere. E, cosa ancora più sorprendente, un attivista chavista mi ha detto: “e anche se non vinciamo, dobbiamo vincere. Il pericolo è troppo grande“. Queste persone appartenenti alle classi popolari, identificate nei loro quartieri come attivisti chavisti, avevano paura di ciò che avrebbe potuto accadere a seguito della vittoria dell’opposizione tradizionale. Infatti, un’altra espressione circola per le strade di Caracas e sui social network: ahora vamos a cobrar, gli faremo pagare quanto dovuto. L’opposizione tradizionale sembra riferirsi a quella che considera una nuova strategia che dovrebbe consentirle di rivendicare queste elezioni, a differenza di quanto avrebbe fatto Henrique Capriles Radonski nel 2013 contro Nicolás Maduro, un’elezione che considerava rubata anche se la verifica del CNE aveva confermato la vittoria di Maduro. Ma per gli attivisti storici del chavismo suona diversamente: il cobrar sarebbe più un attacco materiale e fisico al luogo in cui vivono, al loro attivismo, a loro stessi e alle loro famiglie. Un noto ricercatore che da anni si occupa di negoziati in Venezuela comprende questi timori: “Purtroppo, il discorso dell’opposizione tradizionale più radicale non rassicura i chavisti, il che impedisce di fare progressi, anche nei massimi organismi negoziali”.
Il 28 luglio, giorno delle elezioni, Caracas e il resto del Paese erano tranquilli. Anche se sono state segnalate irregolarità al momento dell’insediamento dei seggi, i Venezuelani si sono messi in fila per votare già a partire dalla sera precedente. Non si è trattato nemmeno della “festa elettorale” che il chavismo ha storicamente rivendicato. In un Paese in cui i giorni delle elezioni sono sempre stati giorni di grande movimento, di mobilitazione cittadina, di riunioni familiari, di amicizie e di attivismo, questa volta tutto sembra stranamente calmo, sicuramente troppo calmo. È stato difficile trovare persone con cui trascorrere la giornata e attendere i risultati, a parte gli incontri chiusi organizzati dalle ONG nelle loro sedi per monitorare gli aspetti tecnici delle elezioni. Nella zona est di Caracas, in un quartiere medio-alto, gli assenti si fanno sentire: le generazioni più anziane votano, ma i loro giovani, che da anni vivono all’estero, non ci sono. Con oltre 7 milioni di Venezuelani che vivono all’estero, pari a un terzo della popolazione del Paese, ora sono i quartieri popolari a essere svuotati delle loro generazioni intermedie.
Il 29 luglio, l’annuncio dei risultati arriva tardi, molto tardi. Il 29 luglio. Non è un fatto eccezionale di per sé, ma fa sorgere dei dubbi. Fin dalla fine del pomeriggio, quando si sono chiusi i seggi, attrverso comprendiamo che i risultati non sono stati trasmessi al CNE, o che i testimoni autorizzati dallo stesso consiglio e i rappresentanti dei partiti politici stanno incontrando difficoltà nell’ottenere i verbali di registrazione dei risultati nei rispettivi seggi. Inoltre, da diverse fonti si apprende che ai rappresentanti di González Urrutia è vietato entrare nell’ufficio di tabulazione del CNE, dove i risultati delle elezioni generali vengono stampati e convalidati dai membri del Consiglio e dai rappresentanti dei partiti politici. Dopo la mezzanotte, il presidente del CNE annuncia la vittoria di Nicolás Maduro, dopo aver denunciato un attacco terroristico al sistema di trasmissione dei risultati. L’attacco sarebbe stato superato, permettendo alle autorità elettorali di annunciare i risultati dopo aver ottenuto, secondo loro, l’80% delle segnalazioni dai seggi. In Venezuela, solo il CNE ha il diritto di annunciare i risultati. Questi vengono annunciati quando mostrano una tendenza cosiddetta irreversibile, cioè che non può cambiare nemmeno dopo l’arrivo dei risultati mancanti. La differenza annunciata da Amoroso tra Maduro e González è di 700.000 voti. Il 20% di voti mancanti rappresenta più di 2 milioni di voti. L’inversione dei risultati è ancora matematicamente possibile. E le testimonianze dai seggi e la mobilitazione popolare che ne è seguita dicono molto.
Mobilitazione popolare e cittadina: la democrazia di fronte alla repressione
Alle 7 del mattino del 29 luglio, Caracas dormiva ancora. Dopo aver attraversato la città da ovest a est, sono rimasta sorpresa nel vedere quanto fosse vuota, mentre di solito la capitale si sveglia con il sole, tra le 5.30 e le 6 del mattino. Qualche ora prima, una mia amica, ecologista e attivista femminista, mi aveva detto, preoccupata: “Altri 6 anni di così sono troppi! Cosa potremo fare?” [3]. Lei e sua madre, che in passato avevano lavorato al CNE, non avevano alcuna spiegazione per il presunto e remoto attacco terroristico. Secondo le loro conoscenze, è qualcosa di impossibile. Ma ancora più importante è la conclusione tratta da questa attivista che si batte per l’ecofemminismo in un Paese ricco di petrolio dove il diritto all’aborto è ancora penalizzato dalla legge: “l’unica cosa di cui mi fidavo ancora era il sistema elettorale. Ma ora è come con gli apagones (interruzioni di corrente diffuse che si sono verificate nel 2019), allora era un’iguana [4] che è arrivata e ha tagliato tutto, e ora non abbiamo una spiegazione vera e propria, ma solo risultati che dobbiamo accettare sulla parola“.
Se alle 7 del mattino tutto era tranquillo, poche ore dopo la città ha iniziato a muoversi. E non solo a Caracas, ma anche nel resto del Paese. Una rivolta popolare ha attraversato le strade. I cacerolazos (concerti di padelle) si sono trasformati in mobilitazioni di strada. Queste mobilitazioni vanno oltre le organizzazioni politiche, oltre la divisione binaria che storicamente è stata al centro delle analisi sul Venezuela. Donne e uomini delle classi lavoratrici, molti dei quali sono stati indubbiamente sostenitori del chavismo, scendono in piazza e chiedono il rispetto del loro voto e del loro diritto a vivere in una democrazia. Queste mobilitazioni non sono guidate dalla destra venezuelana o dall’imperialismo statunitense. Per molti versi, le superano e i leader dell’opposizione tradizionale hanno difficoltà a incanalarle [5]. Lo stesso vale per il governo chavista, la cui risposta è stata molto rapidamente la repressione. In soli tre giorni sono state imprigionate più di mille persone. Ci sono già stati più di venti morti e diverse persone sono scomparse. Maduro ha annunciato la costruzione di nuove carceri di massima sicurezza in cui si farà ricorso ai lavori forzati e alla rieducazione “come ai vecchi tempi” [6]. Allora, era durante l’ultima dittatura militare del XX° secolo, quella di Marcos Pérez Jiménez che, come ha ricordato l’attuale presidente del Venezuela nel suo discorso, metteva i prigionieri a lavorare per costruire strade. “Lasciateli andare a costruire strade“, aveva detto. Una mia conoscente, una ricercatrice, sta ospitando in casa sua una donna il cui figlio è stato vittima dell’OLP e che è stata testimone [7] al suo seggio elettorale. La polizia cerca i testimoni nei quartieri e li porta nelle prigioni. Si moltiplicano le testimonianze sulla repressione e sul controllo da parte delle forze di sicurezza e delle organizzazioni paramilitari dei quartieri da cui sono nate le manifestazioni. Stiamo assistendo alla criminalizzazione della rivolta popolare e alla sua inesorabile repressione.
Una via d’uscita attraverso la diplomazia latinoamericana e la solidarietà internazionalista
Il conflitto politico venezuelano è mediato da diversi attori internazionali. Il ruolo delle diplomazie latinoamericane è centrale. Paesi governati dalla sinistra, come Brasile, Colombia e Messico, in un comunicato stampa hanno chiesto al governo Maduro una verifica pubblica dei voti espressi il 28 luglio, come unico strumento istituzionale che consentirebbe di superare legittimamente le tensioni, i dubbi e la repressione che gravano sul popolo venezuelano. Lontano dalle affermazioni di Anthony Blinken, secondo cui gli Stati Uniti riconoscono direttamente González Urrutia come vincitore delle elezioni, provocando così una tensione ancora maggiore, le diplomazie latinoamericane stanno facendo il duro lavoro per mantenere aperti i canali di dialogo con le parti coinvolte nel conflitto e cercare di costruire negoziati tra questi attori.
La sinistra internazionale, e quella francese in particolare, può fare la sua parte. I nostri compagni e l’intero popolo venezuelano hanno bisogno del nostro sostegno. Chiedere il rispetto della democrazia è senza dubbio la strada migliore da percorrere in questa situazione. “Tutti sanno cosa è successo“, compresi i nostri compagni che ora cercano di costruire uno spazio politico degno di questo nome. Lo dobbiamo alle lotte popolari di cui sono portavoce.
* Yoletty Bracho, attivista e ricercatrice venezuelana che vive in Francia, ha dedicato la sua ricerca al rapporto tra le organizzazioni di quartiere della classe operaia e lo Stato nato dalla rivoluzione bolivariana. Presente in Venezuela nelle settimane precedenti le elezioni, ha potuto incontrare i rappresentanti di varie componenti della sinistra e del chavismo. In questa sede, sulla base delle testimonianze raccolte, fornisce le sue impressioni sulla situazione attuale e sullo svolgimento delle elezioni e invita alla solidarietà internazionalista con il popolo venezuelano.
[1] Sto parafrasando. In generale, la situazione politica in Venezuela impedisce di registrare le interviste per motivi di sicurezza, sia dell’intervistatore che dell’intervistato.
[2] Si tratta di un programma di sicurezza messo in atto dal governo Maduro, che ha assunto la forma di interventi militarizzati da parte delle Forze speciali di sicurezza (FAES), una forza di polizia i cui membri mascherati intervengono nei quartieri alla ricerca di presunti criminali. Il lavoro sul campo, sia quantitativo che qualitativo, dimostra che queste OLP sono responsabili di migliaia di morti di giovani neri e poveri dei quartieri urbani popolari. Cfr. Keymer Ávila e Magdalena López, “La nécropolitique au Venezuela bolivarien : l’État comme machine de guerre”, Cahiers des Amériques latines, n. 103, 2023 [online].
[3] Questo resoconto fa eco al comunicato stampa dell’organizzazione femminista Les comadres púrpuras, che teme che la repressione post-elettorale possa rendere la vita ancora più difficile, costringendo le donne a sviluppare nuove pratiche e strategie di assistenza. Vedi “Prácticas que buscan embrutecer y promover la mediacridad del pensamiento crítico. Pensamiento absolutista gubernamental que busca un orden dependiente del terror, miedo y subordinación”. Las comadres púrpuras, 31 luglio 2024 [online].
[4] Durante le diffuse interruzioni di corrente del 2019, le autorità hanno avanzato diverse spiegazioni, tra cui incendi e attacchi informatici. Queste spiegazioni circolano insieme a quelle più improbabili, come gli effetti delle iguane sulle centrali elettriche. L’iguana che attacca il sistema elettrico è diventata un’immagine comune, utilizzata ironicamente per criticare l’incapacità del governo Maduro a spiegare le proprie azioni.
[5] I dissidenti di sinistra e i ricercatori locali che si occupano delle classi lavoratrici mostrano come, il 29 luglio, l’opposizione tradizionale non abbia avuto i mezzi per impadronirsi strategicamente di queste manifestazioni. Le manifestazioni non hanno risposto ad alcun appello di organizzazioni politiche. Le origini geografiche e sociali dei manifestanti, così come i loro codici politici, erano molto diversi da quelli dei sostenitori dell’opposizione tradizionale. Su questo tema si veda: Rebecca Hanson e Verónica Zubillaga, “Massive protests erupt again over disputed Venezuela elections – but they look different this time”, The Conversation, 31 luglio 2024 [online].
[6] Si veda un estratto di questo tweet: https: //x.com/Karenmendezl/status/1819498113071304806.
[7] I testimoni sono persone accreditate dal CNE per conto dei partiti politici che partecipano alle elezioni, con il diritto di monitorare il processo elettorale nei rispettivi uffici e di partecipare allo spoglio e alla verifica finale dei risultati. Al termine dello spoglio, questi testimoni devono ottenere copie dei verbali rilasciati dalle macchine di voto.