Pubblichiamo questo interessante contributo di Agostino Soldini. Egli si pone, vista anche la sua funzione, in una prospettiva sindacale, di un sindacalismo di lotta; da questo punto di vista, l’orientamento e le priorità che egli indica ci sembrano assolutamente condivisibili. Resta il fatto che, in una prospettiva più strettamente politica, una riflessione su un’alternativa all’attuale sistema dei tre pilastri non può più essere rimandata. (Red)
“Voglio vincere questa votazione”, ha dichiarato Elisabeth Baume-Schneider (Le Temps, 4 settembre 2024). Si riferiva alla riforma della previdenza professionale (LPP 21). Ebbene, si è sbagliata. Come, nel caso della 13° AVS, non era bastata la sua campagna per la votazione nella quale aveva propagandato, “con grande entusiasmo”, i peggiori luoghi comuni della retorica neoliberale. Il risultato “è quello che possiamo definire come una grande sberla” (Le Temps, 23 settembre 2024): 67,1% di no. Sebbene fosse prevedibile, si tratta comunque di una vittoria per i sindacati e di una cocente sconfitta per gli ambienti padronali e il loro Consiglio federale. Dobbiamo quindi esserne più che soddisfatti.
Il ruolo decisivo del referendum contro PV 2020
Non è la prima volta che un tentativo di abbassare il tasso di conversione, che determina l’importo delle pensioni de 2° pilastro, viene sconfitto. È successo anche nel 2010 (72,7% di no) e nel 2017 (52,7% di no). Oltre a questa misura, il secondo tentativo (il progetto PV 2020 votato nel 2017) prevedeva anche l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne da 64 a 65 anni. In cambio, le future pensionate (e solo le future pensionate, non quelle che già ricevevano una rendita AVS) avrebbero ricevuto 70 franchi in più al mese. Il progetto era sostenuto dal consigliere federale Alain Berset, che ora vive in una dimora di 950 metri quadrati a Strasburgo [dal 18 settembre è segretario generale del Consiglio d’Europa]. Il suo compagno e futuro capo della Posta, Christian Levrat, allora presidente del PSS, ha fornito i servizi dopo vendita, con la complicità attiva di alcuni (ex)ministri social-liberali. Tuttavia, alcuni settori sindacali (principalmente SSP e Unia) e alcuni movimenti politici (SolidaritéS, MPS, ecc.) hanno lanciato un referendum, che ha portato alla bocciatura di PV 2020 al momento del voto popolare. Per farla breve, senza il lancio di quel referendum, il tasso di conversione sarebbe stato fissato al 6% da un bel po’… E la 13° AVS non avrebbe mai visto la luce. In effetti è stato il rifiuto di PV 2020 a convincere il movimento sindacale a lanciare l’iniziativa su questo tema. Questo dimostra che, quando prendono delle iniziative, i settori sindacali e i movimenti politici combattivi possono influenzare il corso degli eventi, e nella giusta direzione. È chiaro che rifiutare i “compromessi” che comportano importanti passi indietro, giustificate in nome del “male minore”, non solo può evitare queste regressioni, ma può anche aprire la strada ad importanti progressi dal punto di vista sociale.
“Rafforzare l’AVS”, con coerenza!
Comunque sia, se vogliamo guardare al futuro, è inutile illudersi. Naturalmente è giusto rivendicare la “compensazione automatica del rincaro per le rendite della previdenza professionale”, o anche l’introduzione di bonus per il lavoro di cura e di educazione, se non addirittura “l’esclusione degli assicuratori privati dal 2°pilastro”[sono le rivendicazioni avanzate dall’Unione sindacale svizzera, dopo il voto del 22 settembre]. Ma tali proposte non hanno alcuna possibilità di essere approvate. Non ci sarà alcun “cambiamento di rotta nella previdenza per la vecchiaia”. Per quanto riguarda i piani per consentire ai lavoratori a basso salario di accedere al 2° pilastro, il problema sarà lo stesso domani come lo è stato in passato e come lo è tuttora: sarebbe estremamente costoso per i lavoratori interessati, che alla fine continuerebbero a ricevere pensioni misere.
Non possiamo quindi che essere d’accordo con la conclusione del presidente dell’USS Pierre-Yves Maillard, secondo cui “la nostra priorità è chiaramente il rafforzamento dell’AVS” (Blick, 23 settembre 2024). Per dirla in altri termini: è il 1° pilastro che deve essere rafforzato affinché possa garantire pensioni sicure per tutti, in linea con le esigenze sociali, a scapito del 23° e del 3° pilastro, che oggi rappresentano vere e proprie mucche da mungere per banche e assicurazioni e formidabili strumenti di “ottimizzazione fiscale” per i padroni e per coloro che possono disporre di redditi molto elevati.
L’età pensionabile delle donne non deve essere aumentata!
Per quanto riguarda l’AVS, le questioni all’ordine del giorno sono due.
In primo luogo, la necessità di annullare la votazione su AVS 21, che aveva decretato l’aumento dell’età pensionabile delle donne da 64 a 65 anni. Per costringere le lavoratrici, le infermiere e le commesse a faticare ancora un anno, il Consiglio federale aveva sostenuto, anche nell’opuscolo ufficiale di voto, che “nei prossimi dieci anni l’AVS avrà bisogno di circa 18,5 miliardi di franchi in più per coprire i suoi costi”. Questa affermazione si è rivelata completamente falsa. È stato quindi solo grazie a un massiccio inganno dell’opinione pubblica, degno delle fake news di Donald Trump, che AVS 21 è stata accolta [come si ricorderà con uno scarto di poco meno di 40’000 voti, pari allo 0,5% dei votanti]. La Costituzione federale, che garantisce “la libera formazione delle opinioni e l’espressione fedele e affidabile della volontà popolare”, è stata allora chiaramente violata. La conclusione è ovvia: il voto AVS 21 deve essere annullato! In attesa della decisione del Tribunale federale sui ricorsi presentati, il minimo che si possa fare è sospendere il previsto aumento dell’età pensionabile delle donne previsto a partire dal 1° gennaio del prossimo anno. Ricordiamo che, da quella data, le donne nate nel 1961 dovrebbero andare in pensione tre mesi dopo. Oppure appare “eccessivo”, in uno Stato di diritto, chiedere l’effetto sospensivo quando è in corso un ricorso chiaramente giustificato?
La seconda questione all’ordine del giorno è la 13a AVS. Il 13 settembre il Consiglio federale ha presentato la sua proposta. Essa “corrisponde sostanzialmente al punto di vista dei datori di lavoro”, ha commentato l’Unione svizzera dei datori di lavoro (Tribune de Genève, 15 agosto 2024). Elisabeth Baume-Schneider e altri intendono attendere fino all’ultima scadenza possibile – dicembre 2026, quasi tre anni dopo la sua accettazione! – per versare la 13a AVS. Naturalmente, questa rapidità con quella messa in pratica per stanziare i crediti per l’esercito: le Camere federali hanno recentemente votato per aumentare il tetto di spesa dell’esercito di 4 miliardi di franchi per il periodo dal 2025 al 2028 (dall’anno prossimo, in altre parole!), per un totale di quasi 30 miliardi di franchi… Inoltre, il Consiglio federale ha deciso di ridurre il contributo della Confederazione al finanziamento delle spese dell’AVS dal 20,2% al 19,5%. Per finire, prevede di aumentare l’IVA dello 0,7%.
Un’imposta profondamente antisociale
Su quest’ultimo punto, sono necessarie alcune riflessioni. L’IVA è un’imposta profondamente antisociale. In primo luogo, perché non tiene conto del reddito o della situazione familiare delle persone: che si guadagnino 3’000 franchi al mese o che si possa contare su un reddito milionario, i consumi sono tassati allo stesso modo, forfettariamente. In secondo luogo, le classi lavoratrici devono destinare ai consumi una quota proporzionalmente molto maggiore del loro reddito; le persone con un reddito elevato, invece, possono risparmiare quella parte che non è soggetta all’IVA. In breve, il principio in gioco è il seguente: più si guadagna, meno tasse si pagano, e viceversa. L’esistenza di un’aliquota ridotta non compensa in alcun modo la natura regressiva dell’IVA. Inoltre, un aumento dell’IVA ridurrebbe il potere d’acquisto di lavoratori e pensionati in un momento in cui i salari reali sono in calo da anni e le pensioni del 2° pilastro sono in caduta libera (-40% rispetto al 2002, secondo la società di servizi finanziari VZ-VermögensZentrum!).
In ogni caso, l’AVS non è affatto sull’orlo del collasso: ha un patrimonio record – quasi 50 miliardi – e, secondo le ultime proiezioni federali, quest’anno avrà un’eccedenza di 4,2 miliardi! Se è necessario un finanziamento aggiuntivo, ci sono altre opzioni in alternativa all’aumento dell’IVA, in particolare l’aumento dei contributi sui salari. Non c’è partita tra questi due sistemi di finanziamento: i contributi salariali sono proporzionali al reddito e la metà è a carico del datore di lavoro. Per non parlare del fatto che l’aliquota per l’AVS è praticamente la stessa di 50 anni fa (per i dipendenti, 4,35% rispetto al 4,2% del 1975) e che l’aliquota per tutte le assicurazioni sociali (AVS, disoccupazione, ecc.) è diminuita negli ultimi anni.
In conclusione, oltre all’annullamento della votazione su AVS 21, tre rivendicazioni devono essere rilanciate con forza: la 13a AVS deve essere pagata già con il 1° gennaio 2025, cosa del tutto fattibile; il contributo della Confederazione al finanziamento dell’AVS non deve assolutamente essere ridotto; si deve rinunciare all’aumento dell’IVA. È questa la strada da seguire per lanciare nuove battaglie tese a “rafforzare l’AVS” in modo coerente.
*Agostino Soldini è segretario centrale del SSP/VPOD