[Quello che segue è un riassunto schematico di tre dettagliati articoli pubblicati su https://chinaworker.info/en/ che ho effettuato aiutandomi con IA]
Introduzione
L’economia cinese, un tempo considerata un motore inarrestabile di crescita globale, sta attraversando una fase di profonda crisi strutturale. Molti osservatori, influenzati dai dati ufficiali del PIL di Pechino che tendono a sovrastimare la crescita economica, interpretano erroneamente la situazione attuale come una crisi ciclica: una debole ripresa dopo tre anni di pandemia, aggravata dalle politiche draconiane di “Zero-Covid” imposte dal presidente Xi Jinping. Tuttavia, un’analisi più approfondita rivela che i problemi della Cina sono di natura strutturale, non ciclica, e minacciano di avere conseguenze di vasta portata non solo per il gigante asiatico, ma per l’economia globale nel suo complesso.
Il collasso del modello economico cinese
Il modello di capitalismo di stato guidato dal debito, promosso dal Partito Comunista Cinese (PCC), sta mostrando segni evidenti di cedimento. Questo crollo si manifesta in tre aree principali:
1. Crisi del debito: particolarmente acuta a livello di governo locale, che nell’ultimo paio di decenni è stato il principale motore degli investimenti in Cina.
2. Calo dei consumi: causato da disoccupazione, tagli salariali e insicurezza economica, esacerbati dal crollo del settore immobiliare e del valore delle abitazioni.
3. Sovrapproduzione e sovraccapacità: record storici di eccesso produttivo, alimentati dal progetto di Xi Jinping di costruire “nuove forze produttive di qualità” (soprattutto nell’ambito dell’industria high-tech), che hanno scatenato guerre dei prezzi brutali e spinto l’economia verso la deflazione.
Questi fattori interni sono ulteriormente amplificati dalle crescenti tensioni geopolitiche tra Pechino e Washington, che esercitano una forte pressione esterna sul regime di Xi.
La crisi immobiliare e il suo impatto
Il settore immobiliare, un tempo pilastro dell’economia cinese, è ora al centro della crisi. La bolla immobiliare, che per anni ha alimentato la crescita economica, si è trasformata in un buco nero che risucchia la vitalità dell’economia cinese. Tale bolla, iniziata nelle città cosiddette “di prima fascia” (Pechino, Shanghai e le altre metropoli maggiori), si è ampliata a quelle di seconda e poi terza fascia, che tuttavia hanno minore bisogno di alloggio, poiché la popolazione diminuisce a causa dell’emigrazione. Alcuni dati chiave illustrano la gravità della situazione:
– Nel 2021, il 78% della costruzione totale di abitazioni avveniva nelle città di terzo livello.
– Le 71 città di terzo livello, con una popolazione combinata di oltre 300 milioni, hanno subito una perdita di popolazione del 2% (circa sei milioni di persone) in un solo anno nel 2021.
– Nel primo semestre di quest’anno, l’avvio di nuove costruzioni è diminuito del 24% su base annua, dopo cali del 21% nel 2023 e del 39% nel 2022.
Le misure adottate dal governo centrale per stabilizzare il mercato immobiliare, tra cui tassi di interesse più bassi e controlli più lassi, non hanno avuto alcun impatto significativo. Un fondo da 500 miliardi di yuan (circa 64 miliardi di euro) lanciato a maggio per consentire ai governi locali di acquistare case invendute e convertirle in “alloggi a prezzi accessibili” ha visto l’utilizzo di soli 24,7 miliardi di yuan (meno del 5%) secondo i dati della Banca Popolare Cinese di agosto.
La crisi ha portato al default di 80 società immobiliari, mentre le vendite di case di seconda mano, un settore meno regolamentato dove i prezzi sono scesi più rapidamente, lo scorso anno hanno superato per la prima volta le vendite di nuove case, aggravando ulteriormente i problemi di finanziamento del debito delle società immobiliari.
Il mercato del lavoro in crisi
La crisi economica ha avuto un impatto devastante sul mercato del lavoro cinese, con conseguenze particolarmente gravi per i giovani:
– A luglio, secondo i dati ufficiali, 17 milioni di giovani (under 25) erano disoccupati. Questa cifra, già allarmante, è probabilmente una sottostima della reale disoccupazione giovanile.
– Il fenomeno ha dato origine al termine “rotten tail kids” diffusosi sui social media, che paragona i giovani disoccupati ai milioni di edifici incompiuti e abbandonati che deturpano le città cinesi dopo il crollo immobiliare.
La crisi occupazionale non si limita ai giovani. Un’indagine del South China Morning Post ha rivelato che 14 delle 23 più grandi aziende cinesi hanno ridotto il loro organico nell’ultimo anno. Aziende come Alibaba e Poly Real Estate hanno tagliato rispettivamente il 12,8% e il 16% del loro personale. Anche giganti del settore tecnologico come ByteDance, JD.com e Kuaishou Technology hanno avviato piani di licenziamento.
Nel settore automobilistico, dove è in corso una feroce guerra dei prezzi, i maggiori produttori cinesi di veicoli elettrici, tra cui Li Auto, Xpeng e Nio, hanno tutti effettuato tagli al personale nell’ultimo anno.
La situazione ha portato a una diffusa insicurezza lavorativa:
– Lo scorso anno, un lavoratore su tre nel settore dei colletti bianchi ha subito un taglio salariale.
– In un sondaggio, quasi il 50% ha dichiarato di temere di perdere il lavoro.
– Alcuni lavoratori hanno subito due tagli salariali nell’arco di un anno, con stipendi e bonus ridotti su una scala senza precedenti in tutta l’economia.
L’economia dei “lavori precari” come valvola di sfogo
In questo contesto di crisi, l’economia dei “lavori precari” (gig economy) è emersa come una parziale eccezione alla tendenza negativa, fungendo da “spugna” occupazionale di ultima istanza. Attualmente, oltre 200 milioni di persone (il 23% della forza lavoro cinese) lavorano in questo settore. Tuttavia, le condizioni di lavoro sono spesso precarie e stressanti, con una copertura pensionistica e sanitaria minima o nulla.
I dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro mostrano un drastico peggioramento delle condizioni contrattuali:
– Tra il 2018 e il 2021, la percentuale di lavoratori del settore delle consegne di cibo con un contratto di lavoro formale si è dimezzata, passando dal 43,3% al 20,7%.
– Nel 2021, il 41,6% dei lavoratori non aveva alcun contratto.
– In città come Pechino e Chengdu, solo circa un quinto dei lavoratori della gig economy è coperto da un piano pensionistico.
Questo settore, pur offrendo un’alternativa alla disoccupazione, solleva serie preoccupazioni sulla qualità del lavoro e sulla sicurezza sociale a lungo termine dei lavoratori.
Sovrapproduzione e sovraccapacità
Uno dei problemi più gravi che affligge l’economia cinese è la massiccia sovrapproduzione e sovraccapacità in numerosi settori industriali. Questo fenomeno è stato esacerbato dal progetto di Xi Jinping di sviluppare le “nuove forze produttive di qualità“, che ha portato a un’espansione incontrollata della capacità produttiva.
Alcuni dati significativi:
– Il numero di aziende cinesi in perdita è aumentato del 44% nella prima metà del 2024, superando il picco precedente registrato durante la crisi asiatica del 1998.
– Le aziende “zombie” (non redditizie ma mantenute in vita artificialmente) rappresentano ora circa il 30% di tutte le aziende industriali in Cina, in aumento dal 7% del 2019.
La situazione è particolarmente critica in alcuni settori:
– Automobilistico: nel 2023, solo 20 dei 77 produttori di automobili cinesi hanno riportato livelli di utilizzo della capacità produttiva superiori al 60%. Meno della metà della capacità produttiva di 55 milioni di veicoli è stata utilizzata.
– Energia verde e veicoli elettrici: questi settori, nonostante siano al centro della strategia di sviluppo di Xi, hanno registrato forti cali nell’utilizzo della capacità produttiva nel primo trimestre di quest’anno.
– Semiconduttori: nel 2023, quasi 11.000 aziende legate ai chip sono fallite, circa 30 al giorno.
– Robotica: la Cina ha ora una massiccia sovraccapacità nella produzione di robot di bassa gamma, ma dipende ancora fortemente dalla tecnologia e dai componenti importati per i robot più avanzati.
Questa sovraccapacità è il risultato di un modello di capitalismo guidato dallo stato che incoraggia una feroce competizione tra province e città per affermarsi come centri di produzione. Ciò porta a un’espansione cieca, duplicativa e non coordinata, l’opposto dello sviluppo pianificato sotto proprietà e controllo pubblico che i socialisti sostengono.
Deflazione e crisi del debito
La sovrapproduzione e la sovraccapacità stanno spingendo l’economia cinese verso la deflazione, con conseguenze gravi per le aziende e il sistema finanziario:
– I prezzi al consumo in Cina sono sostanzialmente stagnanti.
– I prezzi alla produzione sono in calo ininterrotto da 20 mesi.
La deflazione sta erodendo i profitti delle aziende cinesi e creando sempre più “aziende zombie” che faticano a generare entrate sufficienti per fare fronte ai rimborsi del debito. Di conseguenza, la crisi del debito cinese sta raggiungendo un nuovo livello di gravità.
Il recente Terzo Plenum del PCC ha riaffermato le politiche che hanno portato a questa situazione (più fabbriche che operano a mezza capacità, più aziende “zombie“, più debito), segnalando che non ci saranno cambiamenti fondamentali di rotta. Tuttavia, sono inevitabili marce indietro opportunistiche di portata secondaria e zigzag, come si vede nella “riabilitazione” del settore delle lezioni private, di fatto soppresso qualche anno fa, e nell’inversione di molti dei controlli imposti al settore immobiliare.
Tensioni geopolitiche e protezionismo
La crisi economica interna della Cina è ulteriormente complicata dalle crescenti tensioni geopolitiche, in particolare con gli Stati Uniti. Queste tensioni stanno spingendo la Cina verso una corsa disperata per raggiungere l’autosufficienza nella catena di approvvigionamento e tecnologica, come contrappeso al contenimento strategico e al disaccoppiamento promosso dagli Stati Uniti.
Tuttavia, questa strategia sta incontrando diversi ostacoli:
1. Il mercato interno cinese è saturo e non può assorbire i prodotti che le sue fabbriche stanno producendo.
2. I tentativi di reindirizzare la produzione in eccesso verso le esportazioni stanno esasperando le tensioni tra gli stati e si scontrano con muri protezionistici.
3. Il crescente militarismo e i preparativi per un'”economia di guerra” spingono gli Stati Uniti e altri governi occidentali a cercare di ricostruire la loro base industriale depleta.
Inoltre, mentre la Cina cerca di reindirizzare le sue esportazioni dai mercati occidentali al cosiddetto Sud del mondo, si trova ad affrontare un’ondata di restrizioni commerciali anche da parte di governi “amici“. Vietnam, Thailandia e Malesia hanno recentemente annunciato indagini anti-dumping contro la Cina, mentre l’Indonesia ha minacciato di imporre dazi fino al 200% su alcuni beni.
Conclusioni
La crisi economica della Cina è profonda e strutturale. Il modello di capitalismo di stato trainato dal debito promosso dal PCC ha raggiunto i suoi limiti, producendo una combinazione tossica di sovrapproduzione, deflazione e crisi del debito. La situazione è ulteriormente complicata dalle tensioni geopolitiche e dal crescente protezionismo globale.
Le conseguenze di questa crisi sono già visibili nel mercato del lavoro, con alti livelli di disoccupazione giovanile e precarietà diffusa. Il settore immobiliare, un tempo motore della crescita economica, è ora un peso morto che trascina l’intera economia.
Le politiche attuali del governo cinese, riaffermate nel recente Terzo Plenum del PCC, non sembrano in grado di affrontare le cause profonde di questi problemi. Anzi, l’insistenza su investimenti trainati dal debito in settori già sovraccarichi rischia di aggravare ulteriormente la situazione.
Per superare questa crisi, la Cina dovrà probabilmente affrontare una dolorosa ristrutturazione economica. Ciò potrebbe richiedere una riduzione significativa della capacità produttiva in eccesso, una riforma del sistema finanziario per affrontare il problema del debito, e forse un ripensamento più fondamentale del suo modello di sviluppo economico.
Le implicazioni di questa crisi vanno ben oltre i confini della Cina. Data l’importanza dell’economia cinese nel contesto globale, una prolungata stagnazione o un crollo più drammatico avrebbero ripercussioni significative sull’economia mondiale. Inoltre, le tensioni geopolitiche e il crescente protezionismo potrebbero accelerare la frammentazione dell’economia globale in blocchi rivali.
In definitiva, la crisi economica cinese rappresenta una sfida non solo per il PCC e il popolo cinese, ma per l’intero ordine economico globale. Come si evolverà questa situazione nei prossimi anni avrà profonde implicazioni per il futuro dell’economia mondiale e delle relazioni internazionali.
*articolo apparso su https://www.facebook.com/andrea.ferrario.125 il 26 settembre 2024.