Pubblichiamo l’ultima intervista rilasciata da Gilbert Achcar e pubblicata da “L’Anticapitaliste” , organo dell’”NPA-Anticapitaliste”
Dal 23 settembre, i bombardamenti dell’esercito israeliano sul Libano hanno provocato la morte di oltre mille persone, la partenza verso la Siria di centomila persone e lo sfollamento di un milione sui quasi cinque di abitanti libanesi.
C’è da temere che gli attacchi di metà settembre in Libano rappresentino una nuova fase della guerra iniziata a Gaza nell’ottobre 2023…
Da quando Israele ha grossomodo concluso la fase più intensa della distruzione di Gaza, si è rivolto contro il Libano, contro Hezbollah per mettere in sicurezza la sua frontiera nord. Lo fa non lasciando a Hezbollah che la scelta della capitolazione, ritirandosi lontano dalla frontiera o subire una guerra totale. Gli israeliani hanno iniziato una escalation di violenza via via sempre maggiore che è sfociata nella decapitazione di Hezbollah, compreso l’assassinio del suo leader Hassan Nasrallah e il rifiuto di tutte le proposte di cessate il fuoco. Una capitolazione pura e semplice dell’organizzazione è comunque poco probabile, quindi bisogna prepararsi al proseguimento dell’escalation, compreso un intervento di terra con operazioni precise, che hanno l’obiettivo di infliggere quanti più danni possibile all’organizzazione e smantellare le sue infrastrutture.
Quello che sta avvenendo oggi, in cosa è diverso dai conflitti precedenti: 2006, 1982?
R. Nel 1982 aveva invaso la metà del Libano fino alla capitale Beirut, attaccata dalle truppe israeliane nel settembre. Molto rapidamente, la resistenza, iniziata dai comunisti, fece indietreggiare l’esercito israeliano che restò in una porzione del Libano del Sud per diversi anni (diciotto anni di occupazione) finché fu costretto ad abbandonarlo nel 2000. In questo caso Israele subì una sconfitta politica. Tanto la guerra segnò un punto di vantaggio per Israele contro l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), che dovette evacuare da Beirut nel 1982, tanto Israele si è dimostrato vulnerabile di fronte alla resistenza che si sviluppò in Libano. Nel 2006, Israele tenne conto della lezione del 1982 e non mirò ad una occupazione permanente. Ci fu un’incursione di truppe che si scontrarono con una resistenza feroce, più costosa (per Israele. N.d.T.) del previsto. Anche quella guerra finì con un fiasco per Israele, perché Hezbollah, lungi dall’essere distrutto, ne uscì alla fine rafforzato, ricostituì il suo arsenale, ampliandolo considerevolmente. La lezione che l’esercito israeliano ha tratto dal 2006, è quella di non correre il rischio quando interviene in zone come Gaza o il Libano, soprattutto in quelle popolate, ma di distruggere tutto prima di entrarvi, cosa che si è tradotta nella terribile distruzione di Gaza e il carattere genocidario della guerra condotta contro la Striscia.
In Libano, non sono ancora arrivati a questo stadio, ma minacciano apertamente di trasformare parti di Libano in un’altra Gaza.
Dopo la morte di Hassan Nasrallah, cosa rappresenta Hezbollah in Libano?
L’organizzazione è stata molto indebolita non solo dall’uccisione di Nasrallah, ma anche dallo smantellamento della sua rete di comunicazione interna e l’assassinio di diversi quadri militari. L’organizzazione è stata veramente decapitata. Si ricostruirà e cercherà di ricostruire il suo arsenale anche se Israele rende la cosa sempre più difficile bombardando in Siria le vie di trasporto attraverso cui le armi possono arrivare dall’Iran a Hezbollah.
Anche sul piano politico c’è un indebolimento considerevole dell’organizzazione. Certo, Hezbollah conserva la sua base sociale, di cui una gran parte dipende finanziariamente dall’organizzazione. Ma tra la popolazione libanese c’è una grande disaffezione iniziata con l’intervento di Hezbollah in Siria al fianco di Assad. Questo intervento ha cambiato molto l’immagine di Hezbollah in Libano e nella regione: dal combattere Israele, l’organizzazione è passata a combattere in difesa di un regime sanguinario. Hezbollah è apparso più che mai e prima di tutto come un vassallo dell’Iran.
Oggi, una gran parte della popolazione libanese rimprovera a Hezbollah di coinvolgere il Libano in una guerra con Israele in nome della solidarietà con Gaza, anche se questo elemento è limitato, sempre puntando il dito contro la Siria, che si ritiene faccia parte dello stesso “asse della resistenza” e che pur avendo certamente molti più mezzi di Hezbollah non fa assolutamente nulla. Allo stesso modo, l’Iran, leader di questo “asse” non fa granché, al di là dei discorsi. Una volta sola, in rappresaglia contro l’assassinio di dirigenti iraniani a Damasco nell’aprile scorso, l’Iran ha lanciato missili e droni con un preavviso tale che ha contribuito a renderne minimo l’impatto.
In molti in Libano si chiedono, quindi “perché noi, piccolo Paese, il più debole della regione, dovremmo subire le conseguenze al posto dell’Iran?”. Questo genere di argomento oggi è diventato molto forte. Fino a questo punto, Hezbollah rivendicava il fatto di costituire una sorta di scudo, una garanzia di sicurezza per il Libano di fronte a Israele, ma questo argomento viene smentito grandemente dalla dimostrazione di come Israele usa in modo spettacolare la sua grande superiorità militare, tecnologica e di servizi di informazione.
Effettivamente, con il rischio di vedere il Libano distrutto…
Una piccola parte di Libano, perché Israele mira specificamente contro Hezbollah, le regioni dove questo è presente. (Israele, N.d.T.) Punta sugli scontri confessionali e su quelli interni agli stessi sciiti che in Libano sono divisi in due campi alleati, ma ben distinti: Hezbollah da una parte e dall’altra Amal. Il movimento Amal non è coinvolto nella battaglia in corso contro Israele e non dipende dall’Iran come Hezbollah. Israele quindi punta su questo e prende di mira in modo specifico le regioni e le zone controllate da Hezbollah. È forte il timore che la minaccia di ridurre questa parte del Libano come Gaza possa essere messa in atto.
Come costruire la solidarietà per gli anticapitalisti e gli anticolinialisti pur non condividendo i progetti politici delle forze in campo?
Se domani ci fosse un’offensiva di Israele e degli Stati Uniti contro l’Iran, bisognerebbe mobilitarsi in maniera possente contro di questa in quanto aggressione imperialista, senza per questo sostenere “incondizionatamente” il regime iraniano e ancor meno appoggiarlo contro il suo popolo se questo dovesse sollevarsi in quella occasione. Nello stesso modo, nel 1990-’91, bisognava mobilitarsi contro l’aggressione imperialista contro l’Iraq, senza per questo sostenere il regime di Saddam Hussein, e ancora di meno la sua repressione sanguinosa delle popolazioni del sud e del nord del Paese che si sollevarono in quella occasione. Non bisogna cadere né in un tranello né nell’altro. Ci sono persone a sinistra che, a causa della natura di Hezbollah come organizzazione confessionale e integralista legata strettamente al regime iraniano dei mullah, hanno un atteggiamento neutrale, che sfiora a volte il sostegno a Israele. Questo deve essere combattuto con forza: non bisogna assolutamente esitare a mobilitarsi contro l’aggressione israeliana, quella di uno Stato coloniale, oppressore e predatore. Quali che siano le direzioni politiche dominanti in campo, la resistenza all’aggressore coloniale è giusta. Ma non bisogna cadere nell’altro tranello che consiste nel fare di Hezbollah o Hamas – o peggio degli Houti in Yemen che sono equivalenti ai talebani – dei campioni progressisti. Si tratta di forze che sul piano sociale e culturale possono essere del tutto reazionarie e delle dittature come lo sono i regimi iraniano e siriano.
*Intervista raccolta da Fabienne Dolet per www.lanticapitaliste.org . Traduzione italiana a cura di Cinzia Nachira.