Negli ultimi due anni si è registrato un ampio consenso tra il padronato svizzero e i suoi rappresentanti politici – UDC, PLR e Centro – per favore un massiccio aumento delle spese militari entro il 2030: dagli attuali 5 miliardi di franchi circa si passerà a 9 o 10 miliardi di franchi, con alcuni che vorrebbero si arrivasse addirittura a 15 miliardi di franchi.
I motivi per cui la borghesia svizzera vuole far esplodere la spesa per gli armamenti sono quattro. In primo luogo, in questo periodo di virtuale stagnazione economica, si vuole mettere a disposizione commesse redditizie per l’industria svizzera; in secondo luogo, poiché gran parte degli acquisti saranno effettuati dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, essi potranno essere utilizzati come merce di scambio per ottenere concessioni su altri fronti, in particolare quello economico; più in generale, nel contesto della promozione del militarismo da parte dell’Unione Europea, con il pretesto dell’infame guerra condotta dalla Russia contro l’Ucraina, la borghesia svizzera non vuole apparire come un “ventre molle” nel cuore dell’Europa; infine, l’obiettivo di fondo è quello di rimilitarizzare la società e le menti svizzere, soprattutto tra i giovani.
Come verrà finanziata questa esplosione di spese militari? È qui che le associazioni padronali, i partiti borghesi e il Consiglio federale (compresi i socialdemocratici) recitano la loro solita sinistra commedia.
Atto I: gridare al disastro: “Non ci sono più soldi, il deficit e il debito saliranno alle stelle, la Confederazione va verso la rovina”. È tutto un inganno! Innanzitutto, sono le stesse persone che stanno sistematicamente svuotando le casse dello Stato, tagliando le imposte ai ricchi e alle imprese. In secondo luogo, quando – nel marzo 2023 – il Credit Suisse è crollato, il Consiglio federale e la Banca Nazionale Svizzera (BNS) hanno messo sul tavolo 209 miliardi di franchi per stabilizzare la piazza finanziaria svizzera. Infine, le cifre sono chiare: tra il 2007 e oggi, il livello di indebitamento lordo della Confederazione è sceso – nonostante il Covid! – dal 21% al 18% del PIL. Una situazione idilliaca nel confronto internazionale.
Atto II: per darsi una parvenza di legittimità, il Consiglio federale ha nominato un gruppo di “esperti”, composto da quattro neoliberisti intransigenti – che da anni sostengono l’austerità di bilancio – a cui si è aggiunta l’immancabile garanzia socialdemocratica. Il 5 settembre il gruppo di lavoro ha pubblicato le sue conclusioni che – sorpresa! – erano quasi esattamente quelle che i datori di lavoro avevano chiesto fin dalla primavera: un pacchetto di 60 misure di riduzione dei costi per un totale di 5 miliardi di euro.
Atto III: il 20 settembre, il Consiglio federale ha annunciato un programma di austerità per il 2027.

Questo programma riprende il 90% delle proposte avanzate dal gruppo di “esperti” e consiste essenzialmente in tagli alle spesse sociali ed ecologiche: abolizione del sussidio federale per gli asili nido (quasi un miliardo di franchi); tagli alle spese per l’asilo e l’aiuto allo sviluppo per i Paesi poveri (800 milioni); tagli ai contributi per la politica di lotta al riscaldamento globale (400 milioni); tagli ai sussidi per l’AVS e l’assicurazione malattia (400 milioni) e così via.
Il IV atto si svolgerà in Parlamento, dove è improbabile che la maggioranza borghese apporti modifiche sostanziali a questo programma.
Sarà importante mobilitarsi contro questo ennesimo piano di austerità e formare una coalizione di tutte le forze decise a combatterlo, nelle urne ovviamente, ma anche nelle piazze.
*articolo pubblicato sul quindicinale Solidarités il 27 settembre 2024.