L’ex-Twitter, è al centro delle critiche per la sua trasformazione in una macchina per l’espansione dell’ultradestra internazionale. Molte personalità hanno annunciato il loro abbondono e sempre più spesso si discute della deriva di questo social network nelle mani di Elon Musk, ma le alternative restano difficili. Con oltre 250 milioni di utenti – tra cui presidenti, leader politici e giornalisti – non è facile, per il momento, trovare un sostituto. Pubblichiamo qui sotto l’analisi di Pablo Elorduy, scritta prima che l’uomo più ricco del mondo fosse individuato da Trump come componente fondamentale della sua imminente nuova amministrazione americana. (Red)
“Internet è come il vecchio West. Pensavamo di esserne i cowboy, ma scopriamo di essere i bisonti”. Questa citazione coniata dallo scrittore olandese Geert Lovink non sembra applicarsi a Elon Musk, il Liberty Valance che domina la prateria più influente della politica internazionale, come il bandito del film L’uomo che uccise Liberty Valance (1962) che devasta il selvaggio West. Musk, l’uomo dal patrimonio di 221 miliardi di dollari, è diventato una minaccia non solo per la sinistra e i movimenti sociali online, ma anche per una parte fondamentale dell’establishment. Musk è oggi il portabandiera della nuova estrema destra, nota negli Stati Uniti come “Alt-Right”, e ha stretto un’alleanza con Donald Trump, di nuovo alla Casa Bianca.
Media come il Financial Times, il Guardian, El País e Repubblica hanno recentemente criticato aspramente il miliardario proprietario di X. Il suo proclama “una guerra civile è inevitabile”, sulla scia dell’ondata di pogrom islamofobici nel Regno Unito promossi proprio da Twitter ad agosto, è uno di quelli che segna un’epoca. Non sono passati inosservati nemmeno l’intervista-massaggio dello stesso Trump sul vecchio Twitter, il deepfake di Kamala Harris che ha diffuso aggirando le regole della sua stessa piattaforma, o i tentativi dell’estrema destra globale di riprodurre i disordini dell’estrema destra britannica anche in Spagna usando come pretesto uno stupro a Magaluf (Maiorca) e un omicidio a Mocejón (Toledo).
Un tempo imprenditore coccolato, seducente e innovativo, un vero e proprio Iron Man, Musk è ora visto più simile al Dottor Destino e, nel mondo reale, una minaccia per le democrazie occidentali, grazie alla deriva di X, il social network di cui è diventato prima dipendente e poi proprietario.
L’imprenditore nato a Pretoria, figlio spirituale dell’apartheid sudafricano, è allo stesso tempo un miliardario in difficoltà, il più ricco e uno degli uomini più influenti del mondo, proprietario dell’industria sociale che ha plasmato la politica internazionale nell’ultimo decennio, un troll autopercepito come spiritoso, il nuovo leader dell’estrema destra “anti-woke” (il termine “woke”, inteso come stato di allerta contro le ingiustizie sociali e le discriminazioni, soprattutto legate al razzismo, è diventato il termine più comunemente usato dall’estrema destra contro il progressismo, ndt), uno spaccone che ha dovuto ritrattare più volte le sue gaffe, un cryptobro (un termine usato per indicare chi investe in criptovalute, ndt) e un paranoico con problemi di sonno e dipendenze. “Vuole colonizzare Marte e il suo ego è grande quasi quanto il pianeta rosso”, conclude un articolo dello storico e scrittore Derek Seidman.
La deriva di X verso l’estrema destra
Due punti esclamativi (!!) sono diventati il segno distintivo utilizzato dal proprietario di X per mobilitare e spingere l’estrema destra internazionale. “È il marchio della bestia”, sintetizza Carlos Benéitez, membro del progetto di analisi delle fake news e dei social network Pandemia Digital. Abituato a rispondere ai messaggi degli altri utenti della sua piattaforma con un codice laconico basato su parole ed emoji (💯, cool, wow ecc. ), attraverso le due esclamazioni ha promosso i messaggi di account anti-immigrazione come quelli di Tommy Robinson (Stephen Yaxley-Lennon), ex leader della English Defence League, dell’account @iamyesyouareno o, in Spagna, i messaggi di Rubén Pulido, analista de La Gaceta, un media della Fondazione Disenso, collegato a Vox.
Benéitez distingue due tipi di accelerazione nell’espansione dei contenuti di estrema destra su X dall’acquisto di Musk nell’ottobre 2022. Una è legata all’espansione di fake news, bufale, discorsi di odio razzista, religioso e lgbti-fobico. “Hanno modificato l’algoritmo: mostrano di più perché questo è l’obiettivo di Musk”, sintetizza questo ricercatore. L’altro momento di accelerazione è legato alla promozione apparentemente casuale che lo stesso Musk, la persona con il maggior numero di follower su X (non senza imbrogli), fa di alcuni di questi contenuti attraverso esclamazioni o altri tipi di interazioni, cosicché “la gamma di impressioni e interazioni, sia naturali, da parte di persone che ricevono queste informazioni, sia da parte di account automatizzati, aumenta”, dice Benéitez.
Per la giornalista Marta G. Franco, ricercatrice sui social, Musk è forse la migliore notizia che l’estrema destra abbia avuto in questo periodo storico:
È il braccio tecnologico della destra reazionaria, un ulteriore tassello della “Alt-Right”, o come vogliamo chiamare quella mutazione ultra-tossica del capitalismo che è nata in risposta all’ondata di movimenti per il cambiamento che si sono articolati attraverso Internet negli ultimi due decenni. Si tratta di un ulteriore passo in questa “Internazionale dell’Odio”: prima hanno iniziato a investire in bot, troll pagati, siti web di fake news e influencer che la pensano allo stesso modo, e con Musk è arrivata l’opportunità di comprare i media stessi per continuare a distorcere la conversazione pubblica.
L’analista Jonathan Freedland ha definito Musk “la figura più importante dell’estrema destra globale” e ha ricordato che “ha il più grande megafono del mondo”. La verità è che non è solo. Oltre a “super-condivisori” come Robinson e i commentatori e influencer di estrema destra Andrew Tate e Ashley St Clair, e ad account come “End Wokeness” e l’anti-musulmano “Europe Invasion”, lo stesso Trump e l’eccentrico britannico Milo Yiannopoulos, ex redattore del Breitbart di Steve Bannon, l’organo di informazione non ufficiale del trumpismo 1.0, che è stato bandito da Twitter dopo essersi fatto promotore delle molestie razziste e obesofobiche nei confronti dell’attrice Leslie Jones.
L’arrivo di Musk nella sala di controllo di X è stato un trionfo per gli ultras. Ha ripristinato gli account di Robinson, Trump, Yiannopoulos, dell’ultra anti-trans Graham Linehan e anche del rapper Kanye West – noto antisemita – anche se quest’ultimo ha poi rinunciato al suo account. In un articolo di addio a X, l’editorialista Katie Martin ha descritto la deriva del social network e come i prepotenti lo abbiano fatto proprio attraverso uno “stillicidio di razzismo casuale, bigottismo da edgelord (una persona molto provocatoria, ndt), polemiche in malafede, disinformazione grossolana, pornobot loschi, truffe ciniche, cospirazioni da cappello di paglia e sciocchezze cripto”.
Algoritmo e filosofia della fine della specie
I cambiamenti, tuttavia, non si sono limitati all’emergere di questo ecosistema internazionale di Alt-Right. La mancanza di trasparenza è stata la caratteristica di X. Sebbene esistessero già vie limitate di accesso alla conoscenza delle decisioni prese da Twitter per la sua comunità di utenti, Musk ha deciso di chiuderle tutte. L’interfaccia di programmazione delle applicazioni (api), che forniva informazioni sull’impatto delle campagne, è diventata a pagamento, rendendo molto più difficile tracciare la diffusione della disinformazione e delle fake news. Inoltre, Musk ha apportato una serie di modifiche per potenziare il suo profilo, che è diventato il più seguito della rete solo dopo la sua acquisizione.
Benéitez riassume in poche frasi come è avvenuta questa ascesa:
Musk chiese agli ingegneri di Twitter perché i suoi contenuti non avessero un impatto maggiore. E uno di loro ha risposto che era perché i suoi post non generavano interesse: l’algoritmo analizza tale interesse attraverso il tempo di ritenzione, quanto tempo ci si ferma a leggere il tweet, le risposte che riceve, i retweet, i “mi piace”, i salvataggi, ecc. Qual è stata la risposta? Il licenziamento dell’ingegnere e la richiesta che l’account del proprietario fosse escluso dall’algoritmo per essere promosso in modo massiccio.
Musk ha letteralmente costruito il proprio casinò sulla base di una serie di comunità che erano cresciute senza prestargli molta attenzione. “Ci siamo fatti prendere la mano perché pensavamo che fosse redditizio – in realtà, penso ancora che sia stato redditizio per diversi anni”, afferma Marta G. Franco, che prosegue: “Jack Dorsey, il precedente mandarino di Twitter, aveva un profilo affabile, ma l’arrivo di Musk ci ha ricordato il problema iniziale: non possiamo dare tanto potere a nessuno, non possiamo dipendere dal magnate del momento”. In ogni caso, nessuno mette in dubbio che tutto sia cambiato: “Chiedetevi: se X fosse inventato nella sua forma attuale oggi, vi iscrivereste?”, ha sparato retoricamente Katie Martin nel suo addio alla piattaforma.
Ernesto Hinojosa, uno dei tweeter più popolari nella storia del social network in Spagna e che se n’è andato poco dopo che Twitter è diventato X, abbonda in questa apoteosi di narcisismo che ha messo fine, se non alla storia commerciale del social network, almeno all’impressione precedente che fosse un terreno neutrale:
Musk è ciò che si ottiene quando si mette insieme una crisi di mezza età con 200 miliardi di dollari. Alcuni comprano una decappottabile, lui ha comprato un social network. Il problema è che proprio il fatto di essere stato attaccato a Twitter per così tanto tempo ha fatto sì che molte persone, che fino a quel momento conoscevano solo la versione che la stampa aveva creato del sudafricano, una sorta di Tony Stark (il vero nome di Iron Man) nel mondo reale, vedessero la sua vera personalità come quella di un ragazzino viziato con molti e molti soldi. E questo non è andato proprio giù a Musk, che è ossessionato dalla sua eredità e, come fanno tutte queste persone, ha dato la colpa al “wokismo”, e visto che gli unici a ridere di lui sono i nazisti e i troll di estrema destra, ora abbiamo il social network nello stato in cui si trova.
Un episodio biografico – la transizione di genere della figlia – è la pietra miliare a cui Musk fa riferimento per spiegare il suo essere diventato il principale agente dell’estrema destra contro quello che lui chiama il “virus woke”. Una serie di articoli di Émile P. Torres sulla rivista online statunitense Salon, tuttavia, ha dato qualche contesto e approfondimento in più all’ideologia elitaria del sudafricano, allineata a una corrente chiamata “lungoterminismo”, che propone una soluzione eugenetica e malthusiana di riduzione della popolazione umana e di sostituzione con un altro tipo di sapiens “migliorato” dall’intelligenza artificiale.
L’autore di questi articoli definisce il lungoterminismo, verso il quale Musk ha mostrato pubblicamente il suo interesse, come “una visione del mondo quasi religiosa, influenzata dal transumanesimo e dall’etica utilitaristica, che afferma che ci potrebbero essere così tante persone digitali che vivono in vaste simulazioni informatiche milioni o miliardi di anni nel futuro che uno dei nostri obblighi morali più importanti oggi è quello di prendere provvedimenti per garantire che esista il maggior numero possibile di queste persone digitali”. Il filosofo svedese Nick Bostrom, sostiene Torres, è la figura chiave per capire cosa c’è oltre l’armamentario pop e semplicistico anti-woke con cui si maschera il proprietario di X:
Musk vuole colonizzare lo spazio il più velocemente possibile, proprio come Bostrom. Musk vuole creare impianti cerebrali per migliorare la nostra intelligenza, proprio come Bostrom. Musk sembra preoccuparsi che le persone meno “intellettualmente dotate” abbiano troppi figli, proprio come Bostrom. E Musk è preoccupato per i rischi esistenziali delle macchine superintelligenti, come Bostrom. (…) Le decisioni e le azioni di Elon Musk nel corso degli anni hanno più senso se lo si considera un “bostromiano” a lungo termine. Al di fuori di questo quadro fanatico e tecnocratico, tutto ciò avrebbe molto meno senso.
Da Twitter a X: l’establishment in rivolta
“Le strategie politicamente corrette della ‘società civile’ sono tutte ben intenzionate e legate a questioni importanti, ma sembrano muoversi in un universo parallelo, incapaci di rispondere al disegno di meme cinici che stanno rapidamente conquistando le posizioni chiave del potere”, scriveva Geert Lovink poco prima dell’acquisizione da parte di Musk di uno spazio politico cruciale come Twitter. Da allora, l’algoritmo del social network che nell’ultimo decennio ha concentrato le comunicazioni sociali di presidenti, ministri, rappresentanti istituzionali e un gran numero di persone di interesse, tende a favorire la cultura dei meme e l’ideologia dei troll in misura maggiore di quanto non facesse fino a quell’autunno del 2022.
Lo stesso Musk ha fornito diversi esempi di questa modalità di funzionamento. Sebbene i membri del nuovo governo laburista del Regno Unito abbiano risposto timidamente all’intervento diretto di Musk nel conflitto causato dai pogrom razzisti sulle isole, Musk non ha esitato a sfidare lo stesso primo ministro Keir Starmer e a diffondere (e cancellare) fake news sull’immigrazione. Starmer e il suo gabinetto sono stati il bersaglio degli scherni e delle imprecazioni dell’iperattivo magnate.
Quando, il 12 agosto, il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, ha scritto una lettera al proprietario di X in cui, con la retorica profumata e burocratica dei centri di governo, lo avvertiva della “due direttive” che obbligano X a moderare i contenuti della piattaforma, Musk si è di nuovo scatenato come uno che pensa di essere esilarante. La questione sembra seria dal punto di vista finanziario – le multe possono arrivare al 6% delle entrate di X – ma il miliardario di Pretoria ha risposto con un’immagine tratta dal film Tropic Thunder (nell’immagine qui sopra) e il messaggio “Take a big step back, and, literally, fake your own face” (Fai un passo indietro e scopati in faccia).
Contemporaneamente, i suoi più convinti sostenitori hanno lanciato meme e ammonizioni contro l’“attacco alla libertà di espressione” e l’“autoritarismo” della Commissione europea. Questo argomento e la distorsione tra il quadro statunitense stabilito dal Primo Emendamento, e quello europeo, più basato sui diritti, ha generato, in parte, la crisi tra Musk e le istituzioni. Breton si riferiva al Digital Services Act (dsa), una direttiva – senza equivalenti nel Regno Unito o negli Stati Uniti – per la tutela dei diritti fondamentali, che X potrebbe aver violato durante l’intervista tra Musk e Trump. Una sentenza preliminare emessa a luglio indica che X potrebbe aver violato la direttiva assegnando il banner blu di “account verificato” ad account falsi.
Questa non è l’unica indagine in corso da parte della Commissione europea. Finora, gli sforzi europei per punire Musk per aver messo in atto queste pratiche di discorsi d’odio sono stati portati avanti solo da esterni. In Brasile è andata diversamente: il giudice Alexandre de Moraes ha lanciato un’offensiva giudiziaria contro la disinformazione in cui ha richiesto la chiusura e il controllo di diversi account associati all’estrema destra – di politici, blogger e influencer – legati al tentativo di assalto al Congresso brasiliano del gennaio 2023, dopo la sconfitta di Jair Bolsonaro e la vittoria elettorale di Luis Inácio Lula da Silva.
Con la motivazione che la legge brasiliana consente di bloccare i contenuti per proteggere le istituzioni del paese, Moraes ha avviato un’indagine contro Musk, accusandolo di ostruzione alla giustizia. Il giudice aveva ordinato a X di bloccare i profili di sei utenti dello spazio di Jair Bolsonaro, un ammiratore di Musk, ma Musk si è rifiutato di rispettare la decisione del tribunale.
Oltre al suo solito repertorio di “battute” e accuse di “censura” sulla rete che gestisce, Musk ha risposto chiudendo gli uffici di X nel paese latinoamericano. L’account ufficiale di X per gli affari governativi ha fatto pressione sul magistrato con un messaggio minaccioso: “Il popolo brasiliano deve fare una scelta, democrazia o Alexandre de Moraes”. La storia è andata avanti e Moraes ha ordinato, con una decisione controversa, la sospensione di X dal territorio brasiliano.
L’UE evita il confronto diretto
Nell’Unione Europea, tuttavia, nonostante le crescenti critiche, il potere di Musk sembra protetto. Bruce Daisley, ex vicepresidente di Twitter per l’Europa, sul Guardian, Marietje Schaake, consigliere della Commissione europea, sul Financial Times e un editoriale su El País hanno esortato a non lasciare che le azioni del miliardario restino incontrastate, ma nessuno dei leader ha optato per un confronto diretto. Schaake ha tuttavia sottolineato uno dei punti deboli meno sfruttati nella critica a questa industria sociale, ovvero la chiusura del rubinetto del denaro pubblico:
Alcuni leader aziendali sono diventati così potenti da credere di poter manipolare i processi democratici o di aggirarli del tutto. Invece di cedere, come fanno troppo spesso i leader politici, le aziende dovrebbero pagare un prezzo per l’aggressione e potrebbero alla fine perdere contratti o altri accessi lucrativi ai governi (che continuano a spendere di più per le tecnologie dell’informazione).
Tra i partiti di centro estremo, il più esplicito è stato l’euro parlamentare italiano e renziano Sandro Gozi, molto vicino al presidente francese Emmanuel Macron: “Se Elon Musk non rispetterà le regole europee sui servizi digitali, la Commissione europea chiederà agli operatori continentali di bloccare X o, nel caso più estremo, li costringerà a smantellare completamente la piattaforma sul territorio dell’Unione”, ha dichiarato. Il primo a prendere le difese di Musk è stato un altro noto esponente dell’estrema destra, l’ex ministro italiano Matteo Salvini.
La verità è che la Commissione europea non sta ancora valutando l’espulsione di X dall’ecosistema dell’informazione, non c’è stato un esodo di politici e sembra improbabile che Musk decida di rompere con il mercato europeo, poiché, per quanto poco redditizio economicamente, è fondamentale politicamente. Nel caso della Spagna, la diffusione di false informazioni sul delitto Mocejón (l’uccisione di un ragazzino che aveva scatenato un’ondata di post razzisti ma che poi è stata attribuita ad un giovane di nazionalistà spagnola, reo confesso, ndt) non ha portato ad alcuna messa in discussione dei media (X) ed è stato avviato solo un processo contro l’“anonimato” sui social network.
È anche una questione di soldi
Nel profilo di Musk realizzato da Marco D’Eramo nel giugno 2022 per la New Left Review (qui disponibile in italiano su L’Internazionale, ndt), il giornalista italiano ha fornito la chiave del successo commerciale del “pretoriano”. Al di là della sua immagine di eccentrico e visionario, D’Eramo ha notato come la valutazione delle aziende di Musk, “così come le stime casuali della sua ricchezza personale, si siano sempre basate sulla promessa di un’espansione futura e di un traguardo imminente”. Questa formula aveva e ha tuttora un cliente importante: lo stesso governo degli Stati Uniti. Nonostante le tonnellate di chiacchiere dei centri di potere della Silicon Valley contro gli stati nazionali, il fatto è che senza il loro sostegno non si può comprendere la crescita di Tesla, la società di punta dell’impero di Musk, e degli altri suoi progetti, l’azienda aerospaziale Spacex, Open Ai (intelligenza artificiale) e Neurolink (neurotecnologia).
“Le aziende di Elon Musk hanno ricevuto miliardi di dollari in sovvenzioni governative negli ultimi due decenni”, ha riassunto Business Insider nel 2021. Un’inchiesta del 2015 del Los Angeles Times ha stimato che fino a quell’anno le aziende di Musk avevano beneficiato collettivamente di circa 4,9 miliardi di dollari di aiuti governativi. L’articolo di Business Insider ha aggiunto nuove cifre: 2,89 miliardi di dollari per Spacex dalla National Aeronautics and Space Administration (NASA), altri 653 milioni di dollari in un contratto con l’aeronautica militare statunitense e una parte non pubblicata degli astronomici 600 miliardi di dollari che il governo federale ha messo sul tavolo per le aziende durante la pandemia.
Pertanto, l’interesse di Musk per la campagna di Donald Trump non deriva solo da una simpatia personale. Il già citato articolo di Derek Seidman spiega come il proprietario di Tesla si sia discostato dalle sue precedenti affinità partitiche, che corrispondevano all’atteggiamento della maggior parte dei miliardari, che donano denaro sia ai democratici che ai repubblicani – anche se non nella stessa misura – in attesa di politiche pubbliche che rafforzino le loro posizioni o aprano nuove vie di accumulazione. Per sua stessa ammissione, Musk ha votato democratico in passato, ma l’alleanza con Trump si è solidificata con l’aumentare della sua retorica anti-sindacale. Già da luglio, l’imprenditore si era impegnato a donare 45 milioni di dollari al mese alla campagna elettorale di Trump nell’ambito di un Political Action Committee (gruppo di interesse regolamentato per il finanziamento, ndt) che comprende altri magnati dell’economia digitale, come il cofondatore di Palantir Joe Lonsdale e i gemelli Tyler e Cameron Winklevoss, noti per il loro ruolo nella fondazione di Facebook e nella guida della criptovaluta Gemini.
L’impresa non è altruistica. Il settore della Silicon Valley guidato da Musk, e anche quello imprenditoriale che non ha rotto con la candidatura di Kamala Harris, si aspetta che il nuovo governo consegni la testa di Lina Khan, presidente della Federal Trade Commission, una “tenace oppositrice di fusioni e acquisizioni che danneggiano i consumatori e i lavoratori” e “il primo vero difensore delle leggi antitrust che gli Stati Uniti abbiano avuto da anni”, secondo il commentatore politico Jim Hightower. Sembra sciocco parlare dei problemi finanziari di una persona con un patrimonio di 221 miliardi di dollari, ma l’accumulo di perdite è quantomeno rilevante. Tesla, l’azienda di punta dell’impero di Musk, si trova ad affrontare una quota di mercato che si riduce ogni anno. Nel 2024 l’azienda controllerà il 12% del mercato, mentre cinque anni fa aveva il 17,5%. Le sue vendite sono in calo e il prezzo delle azioni è sceso del 10% quest’anno.
Se Tesla sembra in difficoltà, la diagnosi relativa a X è peggiore. Dal suo acquisto e in gran parte dopo il cambio di nome, un disastro in termini di valore del marchio, l’azienda è alla deriva ed è passata dal costo di 44 miliardi, che era quello pagato da Musk, a essere valutata meno di 20 miliardi. Alla fine di agosto, il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo che ha avuto un’eco mondiale. Il titolo, “I 13 miliardi di dollari che Elon Musk ha preso in prestito per comprare Twitter sono diventati la peggiore operazione di fusione-finanziamento per le banche dalla crisi finanziaria del 2008-2009”, indicava un luogo familiare: X ha perso metà del suo valore dall’arrivo di Musk e gli investitori oscillano tra il rispetto per il creatore di Tesla come persona capace di immaginare future espansioni economiche e la crescente consapevolezza che è un individuo tossico per gli inserzionisti.
Il social network ha visto la crescita degli utenti ristagnare e, sebbene la concorrenza non sia riuscita ad avvicinarsi ai suoi numeri, gli studi indicano che nelle ultime elezioni ha anche perso influenza rispetto alle elezioni precedenti. Con profitti annuali che si aggirano intorno ai 160 milioni di dollari e un servizio del debito che comporta un esborso annuale di 1,5 miliardi di dollari, secondo lo stesso Musk, le prospettive finanziarie sono critiche, soprattutto perché, dalla nascita di X, le grandi aziende hanno voltato le spalle agli investimenti pubblicitari nel network. Musk le ha prima definite idiote, poi ha cercato di riconquistarle con un mea culpa e da allora le ha accusate di cospirare contro di lui. La sua piattaforma ha intentato una causa contro inserzionisti come Unilever e Mars, nonché contro un’agenzia di marketing per quello che sostiene essere un accordo di “boicottaggio illegale”. Un agente pubblicitario ha espresso crudamente le ragioni degli inserzionisti per abbandonare X: “I grandi marketer se ne sono andati, il sistema di verifica è un casino, metà dei tuoi follower sono ora sexbot, le persone più interessanti si sono trasferite altrove, le persone che sono ancora lì postano di meno e la tua timeline è solo un flusso infinito di miseria. Come puoi difendere la pubblicità su una piattaforma del genere?”
“Nessuno sa per quanto tempo ancora X potrà sopravvivere, visto che l’azienda non pubblica i suoi risultati finanziari. Ma a novembre lo stesso Musk ha ammesso che X potrebbe rischiare la bancarotta a causa del boicottaggio pubblicitario”, ha osservato la rivista Fortune. Lo stesso articolo indica che, sebbene il buco sia relativamente piccolo rispetto al suo patrimonio, l’unica opzione per il proprietario di Tesla è continuare a vendere azioni della casa automobilistica, mentre il resto dei suoi progetti (Spacex o Neuralink) continuano a operare sulla base della mai pienamente realizzata “promessa di future espansioni e imminenti traguardi”.
Il potere politico e i giornalisti continuano a sostenere X
Tuttavia, i principali critici di Musk non omettono un fatto fondamentale, ovvero che la sua importanza è più politica che economica. “Musk non ha comprato X per fare affari, ma per guadagnare influenza”, riassume Marta G. Franco.
È quello che è sempre successo con i media in perdita che sono stati mantenuti da uomini d’affari. Ciò che potrebbe uccidere X non è quindi la perdita di reddito, ma di rilevanza politica: che i politici smettano di usarlo come primo luogo in cui pubblicare le loro dichiarazioni, che i grandi media smettano di fare di tutto per avere visibilità su X, che gli influencer su X abbiano meno portata di quelli su altre piattaforme.
Nel dicembre 2020, Ernesto Hinojosa ha smesso di usare Twitter. Il suo account, Shine Mcshine, ha 165.000 follower e da allora non si è più mosso. “Non si trattava solo del numero di follower, ma del fatto che ero su quel social network praticamente dall’inizio. L’ho visto crescere, trasformarsi, diventare la piazza pubblica de facto di Internet”, riassume qualcuno che, probabilmente con suo rammarico, rientra nell’etichetta di influencer. Oggi Hinojosa pubblica su Mastodon, un network dove ha “solo” 22.000 follower. “Ciò che mi ha spinto a lasciare è stata la deriva che la piattaforma ha preso dopo l’acquisizione da parte di Musk. Onestamente, ho avuto la sensazione che rimanendo lì stessi partecipando alla sua trasformazione in un luogo progettato appositamente per amplificare le opinioni che più aborrivo. E ora, quando ci torno per curiosità, vedo che il tempo mi ha dato ragione”, dice.
Nonostante il fatto che l’abbandono di X sia poco più di un microgesto individuale e che la somma di questi gesti non abbia finora toccato il corpo della piattaforma, i tentativi e gli appelli a lasciare il social network si susseguono con sempre maggiore frequenza. In seguito agli eventi nel Regno Unito, la piattaforma Bluesky ha registrato un aumento del 60% dell’attività sugli account britannici e l’azienda ha riferito di un afflusso di politici sul social network. I fili, la concorrenza sollevata da Meta (Facebook), Bluesky e Mastodon sono in corsa per diventare prima una sorta di scialuppa di salvataggio per le migliaia di persone che ogni settimana abbandonano il vecchio Twitter, e poi si vedrà. Il flusso di uscite da X è continuo, ma la tensione per gli utenti è significativa: lasciare X può significare “essere lasciati fuori dalla conversazione pubblica”, cosa che non riguarda solo i politici.
Un utente di Mastodon ha riflettuto sulle conseguenze individuali di un cambio di piattaforma:
Lasciare twitter e passare a Mastodon è un salto nel vuoto, è così e basta. Durante il percorso perderai molti contatti e amici che ti sei fatto negli ultimi anni, cambierai routine per qualcosa che non sai cosa sia. Se avete anche molti follower e/o in qualche modo fa parte del vostro lavoro (giornalisti, artisti, artigiani ecc.) può anche significare una perdita di denaro, di clienti…
ha sottolineato, prima di lasciare una frecciatina: “È normale che non abbiate il coraggio di fare questo salto, ma non vendetelo a me come una sorta di attivismo”.
Hinojosa preferisce anche essere prudente nell’inquadrare l’attuale momento di critica come l’inizio di una sconfitta definitiva del magnate sudafricano:
Sarei molto cauto nel firmare il certificato di morte di X così presto; non solo Musk ha abbastanza soldi per finanziare di tasca propria il suo giocattolino a tempo indeterminato, ma finché politici e personaggi pubblici non abbandoneranno questo social network, non lo faranno nemmeno i giornalisti, e di conseguenza continuerà a essere importante nella vita quotidiana di Internet.
Questa sembra essere la chiave e il punto debole che X può sfruttare. Il “giardino recintato” che era Twitter sotto Jack Dorsey si è trasformato in una landa sovraffollata, gerarchica e dominata dall’estrema destra sotto Musk, ma il linguaggio burocratico della Commissione europea continuerà a scontrarsi ancora e ancora con la logica del trolling che è diventata la norma nei media più influenti del XXI secolo. “L’anello debole sono, come ho detto, i politici”, dice Hinojosa, ”finché personalità come i capi dei governi continueranno a usare la piattaforma per i loro annunci pubblici, sarà in circolazione per molto tempo. Anche se è piena di bot e nazisti, come in questo caso”.
Marta G. Franco vede una piccola crepa nel breve termine che potrebbe accelerare la crisi del vecchio Twitter:
Penso che il declino di X correrà parallelamente all’intensità con cui Musk insiste nel metterlo al servizio della campagna di Trump. Se esagera, i democratici se ne andranno. La domanda è se si sposteranno semplicemente su Meta (il social Threads) o se inizieranno a prendere la questione più seriamente e a diversificare le piattaforme. Penso che non siano così stupidi e che sarà più la seconda ipotesi.
La capacità di influenza politica degli Stati Uniti è quindi una delle chiavi che possono condizionare l’immediato futuro del settore, sia nel caso di X che dei suoi rivali, quelli aziendali – anche se open source come Bluesky – e quelli cooperativi – Mastodon. Nell’Unione Europea, lo sviluppo di una direttiva sui servizi digitali può alleviare gli aspetti più dannosi della cultura del troll promossa dal management di X, ma il problema principale continua a essere l’accumulo di potere in un singolo individuo. Un fatto che si aggrava solo se quell’individuo crede, tra le altre cose, che la specie umana debba cedere il passo a macchine superintelligenti, come in passato i bisonti hanno ceduto il passo ai pistoleri.
* storico dell’arte e giornalista, tra i fondatori del giornale digitale El Salto: Questo articolo è apparso su elsaltodiario.com il 23 agosto 2024