Pubblichiamo l’intervento di Matteo Pronzini pronunciato lo sorso 18 novembre in occasione della discussione in Gran Consiglio sull’adeguamento dei salari minimi previsti dalla Legge cantonale sul salario minimo (LSM). (Red)
Le conclusioni alle quali giungono governo e commissione della gestione sono fondate sul rapporto presentato dall’IRE nell’aprile di quest’anno. Un rapporto che potremmo denominare “rapporto Merlino”, talmente sono magici, oscuri, azzardati e privi di rigore scientifico i dati e le considerazioni che contiene.
Azzardati e oscuri (basti guardare le diverse formule presentate al punto 5.1, quello sulla metodologia, per rendersene conto); una metodologia che punta su un miscuglio di dati provenienti da fonti diverse che, ancora una volta con leggerezza incredibile e poca credibilità, vengono assemblati in modo più che discutibile; un esercizio della serie mettere assieme carote con patate. E non servono certo le avvertenze di cautela avanzate qua e là nel rapporto per renderlo rendere più credibile.
A questo si aggiunge la faccia tosta, non possiamo usare altra espressione, con la quale degli “scienziati” osano decretare le conseguenze di una politica prendendo come periodo di verifica due anni. Il dumping salariale o i processi con i quali si modificano i salari all’interno di un dato contesto economico-sociale prendono anni per affermarsi: pretendere di verificare qualcosa nello spazio di due anni è pura arroganza quando non si sconfina nella malafede.
Infine sullo studio pesa il fatto che esso – così come le diverse inchieste salariali alle quali fa riferimento – tocca sostanzialmente il settore manufatturiero e dice poco o nulla sul settore terziario, vero motore – dal punto di vista occupazionale ed economico – del mercato del lavoro cantonale.
Ma, dal nostro punto di vista, la contestazione più forte riguarda le certezze che lo studio ipotizza (e che nelle mani dei partiti di governo diventano Vangelo).
Vediamo qui velocemente le conclusioni dello studio e alcune osservazioni relative.
1) si sostiene che, grazie alla Legge sul salario mensile (LSM) nei settori interessati vi è stato un aumento dei salari.
Una evidenza che non necessitava certo uno studio semi-esoterico per dimostrarlo. Era insito nella stessa LSM il fatto che si andava a migliorare i salari dei lavoratori e della lavoratrici pagati/e al di sotto di questo minimo (come spesso si è ricordato un settore ridotto dal punto di vista quantitativo e tutto sommato marginale).
2) si sostiene che la LSM non ha spinto verso il basso i salari assai vicini al limite del salario minimo.
Anche qui era una conclusione prevedibile poiché è evidente, in un’ottica puramente aziendale intesa a mantenere un minimo di gerarchia tra la forza-lavoro, che i datori di lavoro hanno mantenuto o, seppur di poco, migliorato qualche posizione, soprattutto nei livelli salariali a ridosso del salario minimo legale. Abusiva, tuttavia, la conclusione del rapporto della commissione della gestione che, lapidaria, afferma che “In questo senso possiamo valutare positivamente l’introduzione del salario minimo per tutte le classi di lavoratrici e lavoratori”. Aspettiamo la prossima rilevazione nazionale sui salari e poi vedremo quanto valgono queste osservazioni.
3) si sostiene che la LSM nel settore manufatturiero avrebbe avuto un’influenza determinando aumenti dell’ordine del 3% su redditi.
In realtà gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un aumento del rincaro, in parte compensato nel settore manufatturiero (automaticamente a livello contrattuale, con conseguenze anche nei settori non sottoposti a CCL per un effetto di vicinanza). Il rapporto della commissione, con il solito oscuro linguaggio, è costretto a riconoscere come vi fosse già una tendenza in atto che nulla ha a che vedere con l’introduzione del salario minimo.
4) si sostiene che il salario minimo non ha avuto una rilevanza dal punto di vista economico e sociale: niente effetto di sostituzione, niente effetto sui giovani lavoratori, etc. etc.
Tutte cose per nulla dimostrate – e con l’impianto statistico messo in atto non si capisce come tutte queste affermazioni avrebbero potuto essere dimostrate – ma che la commissione nel suo rapporto fa proprie come delle evidenze.
In sostanza, lo studio e il rapporto della commissione arrivano a delineare una situazione salariale che sarebbe ora risolta; adesso che sono stati cancellati (almeno in parte) i bassi redditi si può continuare come se nulla fosse.
Così il dibattito sul salario minimo diventa una specie di gara tra chi vorrebbe essere un po’ più generoso e chi invece pensa che con la LSM e i livelli fissati sia stato fatto abbastanza e che la situazione salariale nel nostro Cantone sia ora normale.
Noi continuiamo a pensare che, da tempo oramai, vi sia in atto un vero e proprio dumping salariale nel nostro Cantone; e il dumping non significa che esistono alcune migliaia di lavoratori e lavoratrici pagati malissimo (quelli di cui, seppur assai parzialmente la LSM ha affrontato); ma significa che vi è una costante spinta verso il basso di tutto il sistema salariale.
Persino settori super protetti da contratti collettivi di lavoro e decreti di obbligatorietà generale (che trasformano i salari minimi contrattuali in salari minimi legali per il settore) vi è in atto una tendenza verso il basso (una situazione di dumping). Le statistiche dell’edilizia cantonale: i dati statistici, più ampi e corrispondenti alla realtà di quanto non lo siano quelle combinate dell’IRE, mostrano una chiara tendenza verso il basso delle medie salariali per le principali categorie. E potremmo fare altri esempi di altri settori.
Un dumping, per finire, che ha molte altre conseguenze: ci limitiamo a citarne due.
Quella, ormai nota, della cosiddetta fuga dei (giovani e non solo) cervelli verso altri Cantoni e paesi. La LSM – soprattutto se i salari minimi sono a questi livelli – non offrirà alcun contributo alla soluzione di questo problema. Anzi, poiché il sistema salariale si spinge nel suo complesso sempre più verso il basso – è evidente che questi settori – spesso qualificati – non hanno altra alternativa che emigrare. Come in passato.
La seconda, ancora peggiore: l’attrazione verso il Ticino di aziende a bassi salari. La recente decisione di Zalando di calare in Ticino è significativa. E potremmo dire esattamente il contrario – prendendo simili esempi: che un salario minimo legale codificato a livelli così bassi attira simili aziende e permette di perpetuare la presenza di altre aziende (ad esempio, la presenza di Swatch in Ticino – circa 600 dipendenti – non si spiega in nessun altro modo).
Infine una considerazione – e non poteva essere diversamente – sullo scandalo rappresentato dal fatto che la nostra iniziativa popolare sulla difesa delle condizioni di lavoro e contro il dumping sia ancora ferma a ormai quasi 5 anni dalla sua presentazione.
È interessante notare, ad esempio, che tutto l’armamentario messo in piedi dagli eminenti ricercatori dell’IRE per “combinare” dati e serie statistiche sarebbe del tutto inutile se la nostra iniziativa venisse approvata. Infatti, ogni contratto stipulato in Ticino dovrebbe essere notificato (così come ogni scioglimento) con l’indicazione del salario, della mansione, dell’orario di lavoro, etc. Una base statistica finalmente seria per una discussione seria. Che al momento tale non è.