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Alcuni giorni fa, un’inquietante vicenda ha coinvolto Iñigo Errejon, per lunghi anni importante dirigente di Podemos, braccio destro di Pablo Iglesias, e ora, dopo complesse vicende politiche che sarebbe inutile ricostruire in questo quadro, dopo aver dato vita ad una nuova organizzazione di sinistra (Mas Madrid), arrivato ad essere capogruppo al parlamento della coalizione di Sumar, che fa parte della maggioranza che sostiene il governo dello stato spagnolo, capitanato dal socialista Pedro Sanchez.
Pur non ammettendo esplicitamente i fatti, Errejon  si è dimesso da tutti i suoi incarichi politici, compreso quello di deputato, dopo che sono state rese pubbliche diverse denunce nei suoi confronti per presunti comportamenti sessuali inappropriati e atteggiamenti sessisti, sia attraverso il social network della giornalista Cristina Fallarás, che raccoglie storie anonime di donne, sia più esplicitamente attraverso la denuncia presentata alla polizia dall’attrice Elisa Mouliaá.
Naturalmente, la cosa ha fatto in Spagna particolare clamore visto che Sumar è una delle forze di sinistra che più sostengono il femminismo e la lotta contro la violenza di genere.
Non vogliamo qui soffermarci sulle ripercussioni della vicenda sul piano parlamentare o governativo. Ma pensiamo utile riportare tradotto in italiano l’articolo “Errejón i nosaltres” scritto dal compagno Martì Caussa, del comitato editoriale della rivista Viento Sur e attivista del movimento catalano antirazzista Stop Mare Mortum, un articolo che interroga i maschi, soprattutto quelli di sinistra.

Noi ed Errejon

Quando dico noi, intendo gli uomini di sinistra. Penso che dobbiamo riflettere su come il suo comportamento ci metta tutti in discussione. Dobbiamo chiederci se dobbiamo fare di più che condannare gli atti di cui diverse donne accusano Errejón e mostrare solidarietà nei loro confronti.
Personalmente, sono giunto alla conclusione che dobbiamo farlo. Il 24 ottobre, lo stesso giorno in cui Errejón ha reso pubbliche le sue dimissioni, durante il dibattito seguito alla proiezione del magnifico documentario You Are Not Alone, una collega del quartiere mi ha chiesto: “Martí, mi dispiace che tu sia l’unico uomo presente alla riunione, ma dobbiamo dire che siamo stufe. Noi donne non ce la facciamo più”.
Quella sera qualcosa è scattato nel mio cervello. Nei giorni successivi ho letto e parlato molto con gli amici sulla possibilità che il caso Errejón segnasse un prima e un dopo, e questo articolo è il risultato di tutto ciò.
In questi giorni molte persone hanno ripetuto una constatazione ovvia: una persona può comportarsi pubblicamente in modo di sinistra, persino femminista, e allo stesso tempo essere un maschilista e un abusatore di donne. Può essere un altro membro dell’immenso gruppo di uomini che opprimono metà dell’umanità e che a volte, imprudentemente, identifichiamo solo con gli uomini di destra.
Ultimamente sono state pubblicate più testimonianze e denunce contro gli uomini di sinistra come sessisti, molestatori e abusatori di donne. Vi consiglio di andare sul canale Instagram di Cristina Fallarás (@cfallaras) e di leggere diversi post. Potrebbero non piacervi tutti, potreste interrogarvi sull’uso delle reti per fare accuse, ma sono sicuro che rimarrete scioccati e che arriverete alla conclusione che tutte queste testimonianze sono solo esempi specifici di un problema strutturale e profondo nel collettivo maschile.
Il caso Errejón, con le ripercussioni che ha avuto e avrà, potrebbe forse diventare l’innesco per una riflessione approfondita. Sappiamo che la stragrande maggioranza degli uomini è stata educata ad essere macho e, quindi, oppressore delle donne. Alcuni di noi pensano di esserne consapevoli e questo, almeno nel mio caso, è dovuto essenzialmente all’esistenza del movimento femminista e al lavoro educativo delle mie colleghe e amiche.
Ma, a questo punto, è necessario che noi uomini ci poniamo delle domande su cosa fare:

  • Impegnarsi a non essere sessisti nel nostro comportamento pubblico e personale: sì, certo, senza questo impegno non possiamo iniziare a fare nulla.
  • Non essere complici di ambienti permissivi, non tacere di fronte a comportamenti sessisti dei nostri colleghi? Senza questo impegno non possiamo iniziare a fare nulla. Sì, senza un ambiente favorevole o passivo, i comportamenti sessisti si ridurrebbero drasticamente.
  • Ascoltare le lamentele e le denunce delle donne e agire di conseguenza? Sì, questo è il modo per evitare di dover riconoscere gli errori di disattenzione quando il male è già stato molto grande.
  • Sostenere le richieste del movimento femminista?Certo, questo movimento è la principale difesa delle donne maltrattate e la principale forza per respingere il maschilismo.
  • Confidare che il movimento femminista sia sufficiente a cambiare la coscienza della maggior parte degli uomini? No, mi sembra una fiducia ingiustificata e una fuga dalle responsabilità.
  • Promuovere attività pubbliche, sociali e politiche, come i collettivi maschili anti-macho? Sì, assolutamente.

In realtà, già da anni esistono azioni pubbliche e collettive di questo tipo. Ad esempio il 21 ottobre in città come Siviglia, Barcellona e altre, in occasione della giornata internazionale degli uomini contro la violenza maschile. Si tratta di imparare da tutte queste azioni e di vedere quali altre possono essere promosse.

La stragrande maggioranza degli uomini di sinistra è socialmente e politicamente attiva nei sindacati, nelle associazioni di quartiere, nei centri civici, negli atenei, nelle organizzazioni culturali e sportive e in molti altri luoghi.
Sarebbe importante rendere tutti questi luoghi spazi sicuri per le donne e le persone LGTBI. Alcuni colleghi mi hanno detto che esistono esperienze in cui uomini e donne svolgono questo compito. In tutti questi spazi sembra anche importante mettere in guardia sui rischi della leadership, perché facilmente genera situazioni di potere che possono diventare tossiche per l’integrità delle donne, come in questa testimonianza: “La sua strategia per tenerla sulle spine era sempre la stessa: ‘Podemos sta facendo molti progressi e richiede molto lavoro e io l’ho capito’. Arrabbiata, dice che il tempo ha confermato che lui usava la sua posizione di potere per maltrattarla”.
Cosa succederà se noi uomini riusciremo a perdere i nostri privilegi (i nostri vantaggi esclusivi, speciali o eccezionali)? Lo stesso, ad esempio, di quando abbiamo perso il nostro diritto esclusivo di voto e le donne hanno avuto il diritto di voto. Perdere privilegi significa guadagnare come persone e fare qualche passo avanti verso il tradizionale obiettivo della sinistra di costruire una società in cui le persone possano realizzare pienamente il loro potenziale. La sconfitta del machismo e del sistema patriarcale su cui si basa sarà un grande trionfo per l’umanità.
Torniamo al presente. Se condividiamo l’obiettivo di promuovere attività pubbliche, sociali e politiche, come collettivi di uomini anti-macho avremo molto lavoro e qualche grattacapo davanti a noi. E forse in questo momento non sappiamo come iniziare a farlo. Ma il primo passo è sempre quello di sollevare il problema, discuterne ed essere disposti ad agire.
Diamoci da fare!

*articolo apparso sulla rivista Viento sur