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In questo periodo marcato da segnali assai poco gradevoli per il mondo (il massacro del popolo palestinese, la disastrosa lunga guerra in Ucraina, l’auge dell’estrema destra, occorre fare una lista completa?) ci mancava solo una grande catastrofe ambientale. Eccola puntuale: nella Comunità Valenciana, in Spagna, una tremenda alluvione ha letteralmente devastato buona parte dei comuni della cintura nord di Valencia, provocando in pochi minuti un numero ancora imprecisato di morti (se ne calcolano più di mille) e causato distruzioni mai viste in queste zone.

Perché puntuale? Non certo per la sfiga che sembra perseguitare il pianeta ultimamente ma per cause concrete. Il fenomeno atmosferico cha ha colpito Valencia è conosciuto da tutti coloro che abitano da secoli in prossimità del Mediterraneo (anche dalle nostre parti) come “goccia fredda”. I numerosi corsi d’acqua in secca che sboccano nel mare lungo la costa, per un effetto dovuto sostanzialmente alla differenza di temperatura stagionale del mare e delle perturbazioni metereologiche, provoca piogge torrenziali e straripamenti improvvisi dei corsi d’acqua “dormienti” e no. Se a questo si aggiunge la forsennata urbanizzazione dei litorali e la speculazione edilizia di questi ultimi decenni -sulle coste spagnole ma anche sulle nostre-, unita ad una filosofia di apres moi le deluge (mai meglio detto) dei potenti e ad un persistente negazionismo climatico degli stessi, abbiamo la non-casualità del disastro.

Evidentemente, la “goccia fredda” non è un fenomeno nuovo. Ciò che è nuovo (e ampiamente previsto dagli studiosi del clima, dai meteorologi e compagnia) è il suo fenomenale aggravamento dovuto alle mutate condizioni della crisi climatica in corso. Sono anni e anni che le conseguenze estreme di questa crisi sono conosciute e paventate ma poco, o nulla, è stato fatto. I periodici summit internazionali sul clima (l’ultimo la COP 28 di Dubai alla fine del 2022) hanno, in realtà, solo contribuito a creare un nuovo e redditizio mercato economico globale (il mercato dei crediti sul CO2). Risposte utili all’umanità, appunto nessuna.

Da una crisi all’altra: fin qui siamo arrivati

E così, fra una COP e l’altra, la crisi è arrivata anche nel nostro ricco, tecnologico e sicurissimo mondo. Non si tratta solo più di una lontana minaccia ma di una realtà quotidiana. Ce l’abbiamo a casa. Onde di calore estremo, siccità, fiumi e ghiacciai in secca (vi ricordate del Po?) alluvioni disastrose… La “dana” di Valencia rappresenta, per il momento, l’episodio climatico estremo più grave accaduto in Europa in questo secolo ma non è che il primo della serie. In realtà, e non per essere profeti di sventura, è sufficiente che un fenomeno del genere accada in una zona densamente abitata, una grande città o la sua periferia. Appunto. Siamo tutti e tutte avvisate.

Ma c’è un altro problema, che probabilmente rende il tutto ancora più mortifero e angosciante. Il sistema di allarmi climatici di cui – in teoria – era dotata l’amministrazione regionale, è stato totalmente ignorato. Il paradosso (per cui c’è un numero così elevato di vittime) è che l’allarme è stato dato solo quando il disastro era in corso, con migliaia di automobili in giro, trasformate in trappole mortali. A cinque giorni alla catastrofe, cioè quando scrivo, i soccorsi arrivano alle zone colpite ancora con il contagocce e sono stati mobilitati solo poche migliaia di militari, pompieri, poliziotti e soccorritori di professione. Sono stati rifiutati aiuti internazionali. Decine di migliaia di donne e uomini di Valencia e di tutta la Spagna, volontari, arrivano a piedi ai comuni devastati e tentano con mezzi di fortuna di soccorrere le persone e sgombrare il terreno dalle montagne di fango e detriti. Nella migliore delle ipotesi, si può affermare che le “autorità”, fondamentalmente quelle del Governo Autonomo valenciano, in mano al PP, abbiano ampiamento sottovalutato la situazione e che ancora non si rendano conto della dimensione del disastro. E della loro responsabilità. Nella peggiore, si potrebbe oltretutto affermare che le fantasie costruite nelle “stanze dei bottoni” del potere continuano ad avere il sopravvento sulla realtà: hanno smantellato mesi fa le istituzioni locali della protezione civile perché “assistenza mangiasoldi” – usando lo stesso linguaggio dell’argentino Javier Milei -, non danno cifre dei dispersi (probabilissime vittime, a quest’ora) per una demenziale strategia informativa basata sul silenzio, non chiedono aiuti a nessuno (nemmeno al governo spagnolo), rimproverano le famiglie dei morti per “disturbare”… Tutto ciò ricorda vagamente le reazioni della destra spagnola (il PP) al potere anni fa dopo gli attentati di Madrid (Atocha) o la crisi della petroliera Prestige naufragata in Galizia. Anche allora davano la colpa a tutti meno che a sé stessi, vittime della loro cecità nel decifrare la realtà. E quella destra è caduta, proprio per questo.

Un presente ed un futuro incerti e complessi

Oggi rischia non solo di cadere a Valencia (speriamo) ma anche di trascinare altri nella sua caduta. In modo particolare il governo “di progresso” di Madrid. Secondo la legislazione vigente, il governo centrale non può immischiarsi in questioni di competenza dei governi regionali autonomi. In questo caso, non si tratta di un governo ribelle come quello catalano del 2017, che aveva osato convocare un referendum “illegale” e che era stato deposto dall’interpretazione del famoso articolo 155 della Costituzione e a colpi di manganello. Qui si tratta del fatto che le attribuzioni sulla protezione civile, trasferite alla Generalitat valenciana, sono gestite in modo assolutamente insufficiente e pazzesco dai responsabili politici locali e del suo incompetente e megalomane presidente. Ma nel 2017 a Barcellona non c’erano stati morti e devastazioni, solo disobbedienza. Qua i morti non si contano, letteralmente. Pedro Sanchez ha mantenuto un atteggiamento che alcuni considerano inadeguato, senza imporre la volontà dello Stato ed assumersi la responsabilità di organizzare i soccorsi, invece di lasciala nelle mani della Comunità Valenziana, ma in realtà ha rispettato le regole, anche se di malavoglia. Per queste mani legate istituzionali sta rischiando grosso: la visita ufficiale che oggi i due presidenti hanno effettuato in uno dei municipi più colpiti, insieme al re ed alla regina, ha profondamente offeso gli abitanti ed i volontari che, al grido di “assassini”, hanno preso a sassate e a manciate di fango la comitiva dei rappresentanti dello Stato spagnolo. Alcuni se la sono presa particolarmente con lui, il Primo Ministro, tutto sommato quello meno responsabile, insieme al monarca.

I mass media parlano già di probabili “infiltrazioni” di elementi dell’estrema destra fra le vittime abbandonate ed incazzate dell’alluvione, ma l’argomento regge fino ad un certo punto. Vox, il partito dell’estrema-estrema destra spagnola, ha fatto parte del governo della Comunità Valenciana fino a qualche mese fa e la sua responsabilità nella recente gestione politica della regione è chiara a tutti. Che esista poi un tentativo dei neofranchisti di strumentalizzare il dolore e la frustrazione della gente nei confronti di un ceto politico fallimentare e percepito lontanissimo, è un altro discorso, anche plausibile in questo clima di estrema confusione in cui l’antipolitica del “tutti sono uguali” sta facendosi largo.

Questa distanza politica è quindi un fatto su cui più di uno dovrebbe riflettere, sia nel governo spagnolo, sia fuori. Una distanza che semplicemente si ridurrebbe oggi con una gestione efficiente e solidale dei soccorsi, insieme ad una trasparenza informativa di fondo che a tutt’ora manca.

Ma il ceto politico spagnolo non è il solo a dover apprendere velocemente una lezione: in tutta Europa si fa strada sempre più smaccatamente l’identificazione di gruppi politici al potere e l’assenza di umanità ed empatia nei confronti delle persone (vedi il voto sui centri di deportazione di Meloni) che ha molto a che vedere con la sottovalutazione e l’indifferenza di alcuni nei confronti di una cisi climatica ed umanitaria come quella di Valencia. Il rischio che corrono loro è quello di dover affrontare qualche rivolta o di vedersi, al limite, sfrattati momentaneamente dall’alta torre d’avorio in cui vivono. Per noi il rischio è assai maggiore: morte, dolore e perdite per la loro criminale e colossale stupidità.

Che dire per il futuro? Le proposte e le richieste da mettere avanti nei confronti delle amministrazioni, locali e no, sono quasi ovvie e si rifanno ad una idea semplice. È troppo tardi per evitare il peggio ma non è tardi per ridurre il rischio. Oltre ad una preparazione efficiente e rinforzata della protezione civile, soprattutto nelle zone inondabili (e questo richiede un investimento finanziario che forse qualcuno non è disposto a realizzare), è ora di pensare seriamente ad un vasto programma di messa in sicurezza di dette zone, insieme a quelle sismiche. È un discorso che si sente ogni volta che c’è un terremoto nella nostra penisola, ma che una settimana dopo viene regolarmente dimenticato. Questo significa infatti un intervento di grande respiro, che probabilmente comprende anche numerose azioni di decostruzione. In un paese dominato all’abusivismo edilizio, non dovrebbe essere un discorso così strano. Ma lo diventa subito, naturalmente. Tutti sono disposti a portare ad esempio il caso della casupola abusiva eretta con tanti sacrifici dal poveraccio di turno ma nessuno denuncia i grandi palazzinari e le grandi imprese, responsabili reali del dissesto territoriale e che potrebbero – e dovrebbero – essere espropriate senza tanti giri di parole.

*articolo apparso su Sinistra Anticapitalista 4 novembre 2024