Stati Uniti. “È l’economia che conta, stupido!”

Tempo di lettura: 16 minuti

La storia delle elezioni del 2024 si è rivelata straordinariamente chiara. In un contesto politico in cui la maggior parte degli elettori e delle elettrici riteneva che il Paese si stesse muovendo in una  direzione sbagliata, percependo come inadeguato lo sviluppo dell’economia, e dove la maggior parte affermava che l’inflazione aveva causato loro gravi difficoltà, gli elettori  le elettrici hanno deciso di esprimersi contro il partito al governo rappresentato dalla vicepresidente Kamala Harris.

Donald Trump ha conquistato il voto popolare per la prima e unica volta [a differenza del 2016 e del 2020, nel 2024 ha ottenuto 73’407’735 voti contro i 69’074’145 di Kamala Harris]. Il voto a suo favore è progredito non solo nelle zone rurali, ma anche nelle periferie e persino nelle roccaforti democratiche come New York e Chicago. Secondo gli exit poll, Kamala Harris ha fatto meglio di Joe Biden nel 2020 tra gli americani più abbienti, ma Donald Trump ha fatto meglio rispetto al 2020 tra tutte le altre fasce della popolazione.

Uno dei luoghi comuni della politica americana si può riassumere in questo slogan: “È l’economia che conta, stupido” [frase usata da Bill Clinton nel 1992, su suggerimento del suo stratega Jim Carville]. Se l’economia è in crescita e la gente ha un lavoro e salari più alti, il partito al potere viene solitamente riconfermato. Se l’economia è in crisi e la gente fatica a sbarcare il lunario, gli elettori di solito votano per l’opposizione. Per la maggior parte del suo mandato, mentre l’economia si riprendeva dallo shock della pandemia di Covid-19, Biden è stato un presidente straordinariamente impopolare. La sua impopolarità ha sconcertato i suoi consiglieri, che non sono riusciti a conciliarla con gli indicatori economici “macro” che mostravano e mostrano come gli Stati Uniti abbiano registrato la ripresa più forte di qualsiasi altro Paese comparabile dopo la pandemia di Covid 19 (Seth Masket, direttore del Center on American Politics dell’Università di Denver, 17 ottobre).

Tuttavia, il Covid ha lasciato dietro di sé turbolenze economiche, tra cui i più alti tassi di inflazione che gli americani abbiano mai visto negli ultimi 40 anni, il che equivale, ovviamente, a una riduzione dei salari reali. Anche l’esplosione delle spese militari per sostenere le guerre in Ucraina e a Gaza sta alimentando l’inflazione. Di conseguenza, sotto l’amministrazione Biden il tenore di vita dei lavoratori e delle lavoratrici americani/e è diminuito, mentre il boom del mercato azionario ha permesso ai più ricchi di cavarsela alla grande.

Quasi tutti i governi in carica in Europa, Asia e America Latina – la maggior parte dei quali ha dovuto affrontare disagi e recuperi post-Covid più difficili rispetto agli Stati Uniti – che si sono confrontati con l’elettorato nell’ultimo anno hanno perso o sono stati gravemente indeboliti. La sostituzione di Joe Biden con Kamala Harris a metà estate ha dato ai Democratici la speranza di evitare questo destino, dato che Biden era chiaramente destinato a perdere contro Trump. Alla fine, Kamala Harris non ha potuto impedire che, in qualità di vicepresidente in carica, tutti gli aspetti negativi rivolti a Biden le sono stati addebitati. [1]

Questa è la terza elezione presidenziale di fila [Trump-Hillary Clinton nel 2016, Trump-Joe Biden nel 2020, Kamala Harris-Trump nel 2024] in cui il partito al governo perde e il presidente in carica ha trascorso la maggior parte del suo mandato con un indice di popolarità inferiore al 50%. Questo forse dice molto di più sul malcontento di fondo della società americana che su di un candidato in particolare.

Ancora una volta, la strategia elettorale del Partito Democratico gli si ritorce contro

Nel 2016, Hillary Clinton ha mostrato il suo disprezzo per i sostenitori di Trump, allora prevalentemente bianchi, definendoli “pietosi”, invece di cercare di riconoscere la fonte della loro rabbia: la grave disuguaglianza di status economico. Otto anni dopo, con il sostegno a Trump più importante praticamente in ogni segmento della popolazione, è impossibile ignorare le ragioni di ordine economico che hanno allontanato gli elettori dai Democratici, mentre Biden ha continuato a vantarsi del fatto che l’economia statunitense durante il suo mandato è stata “la più forte del mondo” (25 luglio 2024 dichiarazione, “Dichiarazione del Presidente Joe Biden sul PIL del secondo trimestre 2024”).

Coloro che non ha la capacità finanziaria di lauti guadagni investendo in bors sono costretti a vivere alla giornata, non riescono ad arrivare a fine mese, e sono spesso costretti a svolgere due lavori contemporaneamente.

In un sistema politico in cui i due maggiori partiti capitalisti, i democratici e i repubblicani, si alternano per gestire il potere – senza un vero e proprio partito di opposizione – l’unico modo per gli elettori e le elettrici di esprimere la propria insoddisfazione nei confronti del partito al potere è quello di votare per l’altro, il minore dei due mali.

Inoltre, da quando Bill Clinton ha occupato la Casa Bianca [1993-2001], i Democratici hanno adottato le stesse politiche neoliberiste dei Repubblicani, mostrando un entusiasmo solo leggermente inferiore. Da Ronald Reagan in poi, i repubblicani hanno inveito contro gli “imbroglioni del welfare”, ma Clinton è stato il presidente che ha posto fine al “welfare come lo conosciamo” [3] negli anni ’90, spingendo milioni di poveri in una spirale di povertà che oggi continua da aggravarsi.

Negli ultimi decenni, i Democratici hanno deliberatamente corteggiato i voti delle persone benestanti e istruite, portando a una costante erosione del sostegno al Partito Democratico tra i suoi tradizionali elettori della classe lavoratrice e dei neri. Questa tendenza si è accentuata dopo la sconfitta di Hillary Clinton alle elezioni presidenziali del 2016. Eppure, negli anni successivi, i dirigenti del partito non hanno fatto nulla per cambiare questa strategia disastrosa. Hanno incoronato Joe Biden come candidato per il 2024, nonostante le sue facoltà mentali fossero in rapido declino, e poi, dopo averlo definitivamente escluso, si sono rifiutati di tenere una convention aperta all’interno del Partito Democratico in agosto, abbandonando così qualsiasi parvenza di democrazia all’interno del loro stesso partito.

Oggi, “le galline sono tornate nel pollaio”, in altre parole “subiamo le conseguenze delle nostre decisioni”. Donald Trump, pregiudicato, bigotto e mentalmente instabile, torna alla Casa Bianca con una vittoria schiacciante nel Collegio Elettorale (301 a 226), mentre i repubblicani hanno ripreso il controllo del Senato e potrebbero mantenere il controllo della Camera dei Rappresentanti, dato che il conteggio dei voti non è ancora stato completato [la sera del 7 novembre].

Uno sguardo più attento alla ripartizione elettorale del 2024 dovrebbe sfatare il mito che la maggioranza della popolazione sia composta da razzisti e misogini incorreggibili che credono a tutte le bugie di Trump – ad esempio che gli immigrati haitiani mangino i gatti domestici o che l’esercito debba radunare gli immigrati in deportazioni di massa. Ci sono già prove aneddotiche che molti elettori di Trump non credono alle sue affermazioni più stravaganti e non si aspettano che mantenga le promesse più radicali della campagna elettorale.

Come ha raccontato Shwan McCreesh sul New York Times del 14 ottobre, ad esempio:
“Uno degli aspetti più strani del fascino politico di Donald J. Trump è questo: molte persone sono felici di votare per lui perché semplicemente non credono che farà molte delle cose che dice di voler fare.
L’ex presidente ha dichiarato di voler mettere il Dipartimento di Giustizia in stato di massima allerta e di
incarcerare gli oppositori politici. Ha detto che avrebbe epurato il governo da tutto ciò che non è leale e che difficilmente assumerà qualcuno che ammetta che le elezioni del 2020 non sono state rubate. Ha proposto “una giornata veramente violenta” (citata da Rebecca Davis O’Brien nel NYT del 30 settembre) in cui la polizia potrebbe essere impunemente “straordinariamente brutale”. Ha promesso deportazioni di massa e ha previsto che sarebbe stata “una storia sanguinosa”. E mentre molti dei suoi sostenitori sono entusiasti di queste parole, ce ne sono molti altri che pensano che sia tutto parte di un grande spettacolo”.

Come ha dichiarato un sondaggista repubblicano al NYT (articolo di Shawn McCreesh citato) “la gente pensa che stia dicendo cose a effetto, che si stia pavoneggiando, perché fa parte di ciò che fa, del suo gioco. Non credono che stia per accadere davvero”. Solo il tempo ci dirà se questa ipotesi è corretta o meno [4].

Finché i voti non saranno completamente contati in tutto il Paese, la maggior parte dei dati analitici attuali si basa sugli exit poll, che devono quindi essere considerati come stime. Detto questo, hanno mostrato che quasi un elettore di Trump su cinque è una persona di colore, un cambiamento importante rispetto al 2016. Trump ha conquistato il 26% dei voti dei latinos (Washington Post, 6 novembre, articolo di Aaron Blake – un gruppo certamente differenziato in termini di origine e localizzazione, ndr), anche in alcune contee di confine a prevalenza latina nel Texas meridionale. Trump ha guadagnato in modo meno spettacolare tra gli elettori neri, ma ha comunque ottenuto tra il 13% e il 16% del voto complessivo (rispetto ai risultati a una sola cifra delle elezioni precedenti) e tra il 21% e il 24% tra gli uomini neri, secondo Politico (6 novembre).

Nonostante la crisi dei diritti riproduttivi dovuta al divieto dell’aborto, il vantaggio di Harris tra le donne è stato solo dell’8%, il più basso dal 2004. In alcuni Stati in cui sono stati approvati referendum a favore del diritto all’aborto, Trump ha comunque vinto. È il caso del Missouri, dove gli elettori hanno annullato il divieto dell’aborto, ma dove la maggioranza ha comunque votato per Trump (NYT, 6 novembre).

Il sostegno incondizionato di Joe Biden alla guerra genocida di Israele a Gaza è costato a Kamala Harris almeno una parte dei voti tra gli elettori arabi, musulmani e pro-palestinesi, anche se le statistiche nazionali non sono ancora disponibili. Ma Trump ha vinto nella città prevalentemente araba di Dearborn, Michigan, dove numerosi sondaggi avevano già mostrato che gli elettori si stavano rivoltando contro Biden, e poi contro Harris, a causa del loro sostegno alle atrocità israeliane in Palestina e Libano. Kamala Harris ha ottenuto solo il 36% dei voti a Dearborn, contro il 68% di Biden nel 2020. Ora sembra che, mentre alcuni hanno votato per Trump, il 18% degli elettori ha votato per Jill Stein del Partito Verde, rispetto a meno dell’1% per i Verdi nel Michigan nel suo complesso.

Per contro, Kamala Harris ha vinto tra gli elettori che guadagnano 100’000 dollari o più all’anno, in quello che sembra essere un riallineamento politico a lungo termine, anche se Trump mantiene il sostegno dei super-ricchi miliardari.

I consigli di Bernie Sanders

Come ci si poteva aspettare, il senatore del Vermont Bernie Sanders ha aspettato solo un giorno per emettere una critica severa alla campagna di Kamala Harris. “Non dovrebbe sorprendere che un Partito Democratico che ha abbandonato la classe operaia scopra che la classe operaia l’ha abbandonato”, ha affermato Bernie Sanders nella sua dichiarazione. “I grandi interessi economici e i consulenti ben pagati che controllano il Partito Democratico impareranno da questa campagna disastrosa? ….Probabilmente no”. [6]

La critica di Bernie Sanders è vera (soprattutto la frase “probabilmente no”), ma è difficile prenderla per buona. Dopo tutto, Sanders e altri surrogati “progressisti” del Partito Democratico, come la deputata Alexandria Ocasio-Cortez (AOC), hanno sostenuto “a fondo” – prima Joe Biden, poi Kamala Harris durante la sua breve campagna. Entrambi hanno condotto una campagna in molti Stati a sostegno della Harris. Quest’ultima ha concesso a Sanders e ad AOC spazi di parola privilegiati alla Convenzione nazionale democratica (rifiutando di ammettere un solo oratore pro-palestinese), dove i loro discorsi erano destinati a costruire la fiducia nella Harris tra la base progressista del Partito democratico [7]. E ora Sanders ci dice che la campagna di Harris era condannata alla sconfitta fin dall’inizio?

Sanders ha certamente ragione quando critica i Democratici come il partito che rappresenta lo status quo. Ma non dimentichiamo che Sanders e AOC sono stati tra coloro che hano difeso fino all’ultimo la scelta Biden prima che i leader democratici e i finanziatori lo spingessero fuori dalla corsa. La piattaforma “Opportunity Economy” di Kamala Harris ha posto l’accento sull’imprenditorialità, con qualche vago cenno alla riduzione dei costi sanitari, abitativi e alimentari. Anche la sua proposta, apparentemente “importante”, di aggiungere a Medicare la copertura dell’assistenza domiciliare per gli anziani e i disabili, è stata poco più di un discorso – e anche in questo caso, solo una goccia nell’oceano di ciò che sarebbe necessario per riformare a fondo il sistema sanitario guidato dal profitto che lo rende inaccessibile a milioni di persone.

Kamala Harris avrebbe potuto battere Donald Trump se si fosse candidata con il programma di Bernie Sanders? Ne dubitiamo. È difficile candidarsi come “avversario” quando si è il vicepresidente in carica di un’amministrazione impopolare. Ma lei non ci ha nemmeno provato.

Harris e AOC hanno organizzato eventi su misura con leader sindacali come il presidente dell’UAW Shawn Fain. I leader sindacali hanno citato la presenza di Joe Biden a un picchetto dell’UAW, le sue nomine al National Labor Relations Board e la creazione di “buoni posti di lavoro sindacali” nell’ambito degli investimenti infrastrutturali come prova del fatto che Joe Biden (e presumibilmente Kamala Harris, come suo successore) è stato il presidente più “pro-sindacale” degli ultimi dieci anni. Ma le famiglie dei sindacati offrono solo un sottile vantaggio ai democratici, con solo il 53% che vota democratico, rispetto al 58% del 2012. E tutto questo in un contesto in cui la sindacalizzazione della forza lavoro è complessivamente solo del 10% – e solo del 6% nel settore privato; anche questi temi sindacali non avranno risonanza con la classe operaia nel senos ampio del termine.

In un momento in cui l’opinione pubblica sta dando ai sindacati il più alto livello di sostegno di sempre (si veda Union Track, l’articolo di Ken Green, 16 ottobre 2024, sul sondaggio Gallup), forse i leader sindacali dovrebbero dedicare più tempo e denaro ad aiutare i lavoratori a organizzarsi piuttosto che spendere milioni in campagne elettorali a favore dei Democratici.

E l’affluenza alle urne?

Ci vorranno settimane prima di avere un’idea chiara della struttura di tutti i voti espressi nelle elezioni del 2024. Ciò che non è in discussione è che, per la prima volta, Trump ha ottenuto la maggioranza dei voti. È il primo repubblicano a vincere il voto popolare presidenziale dopo George W. Bush nel 2004.

Al 7 novembre, Trump aveva ricevuto circa 72,7 milioni di voti, contro i 68,1 milioni di Kamala Harris. L’esperto di elezioni Michael McDonald stima che l’affluenza complessiva sarà di circa il 64,5% della popolazione in età di voto, in calo rispetto a poco meno del 66% del 2020. Si tratta di un leggero calo rispetto all’affluenza del 2020, che era stata la più alta dal 1900. L’affluenza del 2024 sembra quindi destinata a essere tra le più alte da oltre un secolo.

Gli exit poll indicano che Trump ha conquistato il 56% di quell’’8% costituito da elettori ed elettrici che votavano per la prima volta. Circa il 6% degli elettori di Biden nel 2020 è passato a Trump nel 2024, rispetto a circa il 4% degli elettori di Trump ad Harris. Nonostante i migliori sforzi di Harris per attirare i repubblicani sotto l’ala dei democratici, questo non ha rappresentato una differenza significativa.

Rispetto al 2020, quando Biden ottenne 81 milioni di voti e Trump circa 74 milioni, sia i Democratici che i Repubblicani sembrano guadagnare meno voti, anche se Trump potrebbe alla fine ottenere il risultato del 2020. Ma il Partito Democratico avrà perso di 10 milioni di voti.

Dove sono finiti i voti democratici del 2020? Una piccola parte è andata a Trump, ma sembra che la maggior parte di questi elettori sia rimasta a casa. A Detroit e Philadelphia, due delle principali roccaforti del Partito Democratico negli Stati del Michigan e della Pennsylvania, l’affluenza democratica non c’è stata. Dopo tutto il clamore suscitato dalla campagna porta a porta di Kamala Harris, a Detroit ha ottenuto meno voti della pessima campagna di Hillary Clinton del 2016.

Una delle strategiste di Kamala Harris ha spiegato (Brigde Detroit, 6 novembre) perché questo è accaduto a Detroit: “Sono rimasta scioccata dal numero di persone che hanno detto di aver già votato, il che ci ha permesso di concentrarci su coloro che non hanno votato. Alcuni elettori sono cinici e insoddisfatti di tutto, (dicono) che non cambia mai nulla. Si potrebbero scrivere 20 storie diverse su quello che pensano gli elettori del Michigan, e sarebbero tutte vere”.

Kamala Harris, la candidata “repubblicana leggera”.

Come ci si poteva aspettare, i media mainstream hanno tratto le lezioni sbagliate dai risultati delle elezioni del 2024. L’editoriale del 6 novembre del New York Times, ad esempio, ha dato la colpa ai progressisti, affermando che “Il partito deve anche chiedersi perché ha perso le elezioni… Ha impiegato troppo tempo per riconoscere che gran parte del suo programma progressista stava  alienando gli elettori, compresi alcuni dei suoi più fedeli sostenitori. E da tre elezioni a questa parte,che i Democratici faticano a trovare un messaggio convincente che risuonasse con gli americani di entrambi i partiti che hanno perso fiducia nel sistema, spingendo gli elettori scettici verso la figura più evidentemente dirompente, anche se una grande maggioranza di americani riconosce i suoi gravi difetti”.

Ma come ha correttamente osservato Fairness and Accuracy in Reporting (FAIR) il 7 novembre, “Kamala Harris non si è presentata come una progressista, né in termini di politica economica né di politica identitaria. Ma per un media istituzionale [allusione al NYT e incluso il Washington Post]che ha ampiamente integrato, piuttosto che contrastato, le narrazioni di Trump basate sulla paura riguardo agli immigrati, ai transgender e alla criminalità, incolpare la sinistra è infinitamente più allettante che ammettere le proprie colpe”.

Kamal Harris ha scelto di corteggiare i repubblicani, non i progressisti, nel periodo precedente alle elezioni. Questo ha stravolto i tradizionali rituali della seduzione elettorale, con la democratica Kamala Harris che si è prostrata davanti agli elettori repubblicani e il repubblicano Trump che ha cercato (con un po’ più di successo) di corteggiare in particolare gli elettori latinos. Il sostegno di Kamala Harris ai diritti riproduttivi e all’eliminazione del soffitto di vetro tra uomini e donne è passato in secondo piano rispetto alla ricerca di un terreno comune con i repubblicani sulle questioni sociali.

Piuttosto che concentrarsi su ciò che la distingue da Donald Trump, Kamala Harris ha condotto una campagna da “repubblicana leggera”, enfatizzando ciò che aveva in comune con i repubblicani: la sua opposizione all’immigrazione e il sostegno alla repressione del confine meridionale; ribadendo il suo incrollabile sostegno al genocidio israeliano in Palestina; vantandosi di possedere una pistola Glock con la speranza di compiacere i sostenitori delle armi.

L’ex rappresentante repubblicana Liz Cheney si è unita a Kamala Harris nel corso della campagna. Suo padre, il criminale di guerra e neo-conservatore Dick Cheney, ha appoggiato Kamala Harris con grande clamore.

Ma in mezzo a tutta questi avvenimenti elettorali, non era chiaro cosa rappresentasse davvero Kamala Harris. Come procuratore e poi procuratore generale della California all’inizio della sua carriera, non era né di destra né di sinistra, trasformandosi in un convinta “liberal” [centro-sinistra] quando si è candidata alle primarie del 2019. Quest’anno, dopo l’abbandono di Biden, si è candidata alla presidenza con l’intenzione di apparire più conservatrice. Così ha fatto un voltafaccia totale sua sua opposizione liberale del 2019 alla fratturazione petrolifera e sul suo sostegno a “Medicare per tutti” – ma senza ammettere di aver davvero cambiato idea su questi temi importanti. Come ci si poteva attendere, molti elettori ed elettrici hanno rifiutato questa candidata apparsa poco sincera, rappresentante dell’amministrazione Biden in carica, e hanno optato per lo sfacciato miliardario, che ha dimostrato di essere pronto almeno a muovere le cose, nel bene e nel male.

Queste sono le sfortunate scelte che gli elettori desiderosi di cambiamento sono stati costretti a fare all’interno del duopolio bipartitico che tiene l’elettorato americano in una camicia di forza.

Un elettorato in collera, non trovando alternative valide a sinistra si rivolge alla destra

Negli ultimi decenni, la sinistra americana è stata troppo debole per avere un impatto sulle elezioni – una tendenza che è peggiorata negli ultimi anni. L’ascesa dei Democratic Socialists of America (DSA) è stata ispirata dai successi elettorali del socialista indipendente Bernie Sanders nel 2016 e nel 2020 [è stato rieletto nel Vermont nel 2024]. In entrambi i casi, però, Sanders si è piegato alle richieste dei potenti del Partito Democratico e ha finito per sostenere i candidati da loro scelti, prima Hillary Clinton e poi Joe Biden. E, come già detto, Sanders ha fatto una campagna entusiasta  a favore di Biden e poi di Harris.

Non sorprende che la crescita del DSA – sebbene sia ancora un’organizzazione molto piccola con un’influenza marginale sulla politica statunitense – abbia coinciso con la decimazione di gran parte della sinistra rivoluzionaria, che era già in declino da tempo. L’obiettivo miope di ottenere un’influenza politica più ampia per la sinistra attraverso il Partito Democratico ha indubbiamente giocato un ruolo nel proseguire questo sviluppo, ma non ha impedito il deterioramento generale della sinistra. Il sostegno di Sanders e AOC a Biden e Harris lo illustra perfettamente.

Di fatto, il DSA ha accelerato il declino dell’influenza della sinistra concentrandosi sulle elezioni piuttosto che dando priorità alla costruzione di movimenti sociali di base in grado di influenzare la politica al di fuori dell’arena elettorale. Non a caso il Partito Democratico è tradizionalmente considerato dalla sinistra rivoluzionaria americana come “il cimitero dei movimenti sociali”.

Questo punto può essere facilmente dimostrato in negativo, usando come primo esempio la dipendenza delle organizzazioni per i diritti dell’aborto dai politici del Partito Democratico. I movimenti sociali per i diritti all’aborto e la liberazione delle donne hanno ottenuto, attraverso le organizzazioni di base, il diritto all’aborto quando la Corte Suprema degli Stati Uniti ha emesso la sentenza Roe v. Wade nel 1973, quando alla Casa Bianca c’era Richard Nixon, un antiabortista. Ma nei decenni successivi, le organizzazioni pro-choice si sono affidate ai Democratici per difendere il diritto all’aborto e per due decenni non ci sono state grandi manifestazioni pro-choice. Eppure i Democratici, in quanto partito del compromesso, hanno permesso che il diritto all’aborto venisse eroso e infine annullato nel 2022. Da allora, nessuno di questi politici ha cercato di ricostruire un vivace movimento pro-choice per cambiare lo status quo, anche se hanno provocato una crisi dei diritti riproduttivi che sta uccidendo le donne (New York Intelligencer, 4 novembre, articolo di Irvin Carmon),

L’unica soluzione proposta dal New York Times – e dall’establishment liberal – è quella di aspettare i prossimi cicli elettorali per votare: “Coloro che hanno sostenuto Trump in queste elezioni dovrebbero osservare con attenzione il suo esercizio del potere per vedere se corrisponde alle loro speranze e aspettative, e se così non fosse, dovrebbero rendere nota la loro delusione e votare alle elezioni di metà mandato del 2026 e del 2028 per rimettere il Paese in carreggiata”.

Tuttavia, questa è tutt’altro che una soluzione. Le elezioni in sé non determinano di solito l’equilibrio del potere politico e sociale in un dato momento. Di solito riflettono questi equilibri di potere – anche se a volte possono consolidarli o indebolirli – e possono quindi essere influenzate da movimenti esterni all’arena elettorale.

Oggi, negli Stati Uniti, la bilancia del potere è decisamente inclinata a favore della destra, in parte a causa della debolezza della sinistra. Il proverbio dice: “La natura ha paura del vuoto”. Quando i Democratici fanno eco ai Repubblicani spostandosi a destra e la sinistra segue i Democratici per vincere le elezioni, gli elettori non sentono alcun punto di vista alternativo da sinistra. Così la destra vince.

Questa è la situazione in cui ci troviamo oggi. È facile fare degli immigrati il capro espiatorio dei problemi della società, quando non esiste una spiegazione di sinistra al calo dei salari e al livello elevato dell’inflazione, che rinvierebbe alle politiche divisive e dominanti della classe capitalista.

L’unica possibilità di cambiare gli equilibri di potere risiede in una lotta – con le sue espressioni organizzate – radicata a livello di base. Abbiamo avuto un assaggio di ciò che questa lotta potrebbe significare l’anno scorso, quando gli United Auto Workers (UAW) hanno condotto l’offensiva contro le tre grandi case automobilistiche e hanno vinto. Ne abbiamo avuto un assaggio anche la scorsa primavera, quando i manifestanti pro-palestinesi hanno formato accampamenti nei campus universitari degli Stati Uniti.

Ma un’impennata molto maggiore dei movimenti sociali e della lotta di classe nelle sue varie espressioni è una condizione necessaria per cambiare l’equilibrio di potere tra le classi. Fino ad allora, i ricchi continueranno a celebrare la loro fortuna. Lo status quo prevarrà, a prescindere da chi abbiamo votato. E Trump entrerà in carica a gennaio, con conseguenze che oggi nessuno può prevedere.

*Lance Selfa è autore di The Democrats: A Critical History (Haymarket, 2012) e curatore di U.S. Politics in an Age of Uncertainty: Essays on a New Reality (Haymarket, 2017). Sharon Smith è autrice di Subterranean Fire: A History of Working-Class Radicalism in the United States(Haymarket, 2006) e Women and Socialism: Class, Race, and Capital (Haymarket, 2015). La traduzione è stata condotta dalla versione francese del testo apparsa su www.alencontre.org il 7 novembre 2024 alla cui redazione si devono le note del testo.

[1] Parlando per la prima volta il 22 luglio, dopo il ritiro di Joe Biden dalla corsa alle presidenziali, Kamala Harris ha elogiato il bilancio di Biden: “In un solo mandato, ha già un bilancio migliore della maggior parte dei presidenti in due mandati”.

[2]

[3] Alana Semuels, su The Atlantic del 1° aprile 2016, ha ricordato che “se i numeri sono da credere, la riforma del welfare [di Clinton] è stata un successo. Nel 1995, prima dell’approvazione della legge di riforma, più di 13 milioni di persone ricevevano assistenza finanziaria dal governo. Oggi sono solo 3 milioni. “In poche parole, la riforma del welfare ha funzionato perché abbiamo lavorato tutti insieme”, ha scritto Bill Clinton, che ha firmato la legge sulla responsabilità personale e la riconciliazione delle opportunità di lavoro del 1996, in un articolo pubblicato sul New York Times nel 2006. Bill Clinton ha fatto una campagna elettorale con la promessa di “porre fine al welfare come lo conosciamo” e oggi è fin troppo chiaro che ci è riuscito”.

[4] Torneremo sulle reti iperconservatrici, attori di orientamento controrivoluzionario, che oggi costituiscono l’ossatura del trumpismo. Sylvie Laurent fornisce molti dettagli. Si veda il dibattito ad accesso libero su Mediapart del 7 novembre.

[5] Business Insider del 28 ottobre elenca i miliardari che sostengono Trump: Elon Musk, Steve Schwarzman, Miriam Adelson, Diane Hendricks, Harold Hamm, Andrew Beal, Bernard Marcus, Tilman Fertitta, Bill Ackman, Douglas Leone, Jeffery Hildebrand, Kelcy Warren, Paul Singer, Jan Koum, Richard ed Elizabeth Uihlein, Ike Perlmutter, Joe Ricketts, John Paulson, Steve Wynn, Woody Johnson, Warren Stephens, Cameron e Tyler Winklevoss, Linda McMahon, Timothy Mellon, Robert e Rebekah Mercer, Robert Bigelow, ecc.

[6] Nel documento di Bernie Sanders pubblicato su X il 6 novembre, egli aggiunge: “Prima era la classe operaia bianca, e ora sono anche i lavoratori latini e neri [che hanno preso le distanze dal Partito Democratico]. Mentre la leadership democratica difende lo status quo, il popolo americano è arrabbiato e vuole un cambiamento. E hanno ragione.
Oggi, mentre i ricchi se la passano bene, il 60% degli americani vive di stipendio in stipendio e la disuguaglianza di reddito e ricchezza non è mai stata così grande. Incredibilmente, i salari settimanali reali, corretti per l’inflazione, per il lavoratore medio sono più bassi oggi di 50 anni fa.
Oggi, nonostante l’esplosione della tecnologia e della produttività dei lavoratori, molti giovani avranno un tenore di vita inferiore a quello dei loro genitori. E molti di loro temono che l’intelligenza artificiale e la robotica peggioreranno ulteriormente la situazione.
Oggi, nonostante spendiamo molto di più pro capite rispetto ad altri Paesi, rimaniamo l’unica nazione ricca a non garantire l’assistenza sanitaria a tutti come diritto umano, e paghiamo i prezzi di gran lunga più alti al mondo per i farmaci da prescrizione. Siamo l’unico grande Paese che non riesce nemmeno a garantire un congedo familiare e medico retribuito
”.

[7] Rashida Tlaib e Ilhan Omar, le prime due donne musulmane a far parte del Congresso degli Stati Uniti, sono state rielette alla Camera dei Rappresentanti. Rashida Tlaib, che è anche la prima donna di origine palestinese a sedere al Congresso, è stata rieletta martedì per un quarto mandato come rappresentante del Michigan, con il sostegno della grande comunità arabo-americana di Dearborn. Ilhan Omar, ex rifugiata e somalo-americana, ha riconquistato il suo seggio per un terzo mandato in Minnesota, dove rappresenta il 5° distretto, fortemente democratico, che comprende Minneapolis e alcuni sobborghi. Critica del sostegno militare degli Stati Uniti a Israele nella sua guerra contro Gaza, Rashida Tlaib si è candidata senza opposizione alle primarie democratiche e ha sconfitto il repubblicano James Hooper.

articoli correlati

Mujica

È morto Pepe Mujica, lo storico leader dell’Uruguay. Una vita straordinaria, da tupamaro a presidente

russia_putin_9 maggio

Russia. La Grande Guerra Patriottica come strumento di propaganda di Putin

manifestation-stahl-gerlafingen-unia-9-11-2024_manu-friederich

Barattare il rispetto dei diritti sindacali per un piatto di lenticchie?