A meno di una settimana dalle elezioni, i sondaggi indicano come mai, da molto tempo, la competizione non sia stata così incerta. L’ultimo sondaggio del New York Times (1)indica un risultato pari (48 a 48%), l’ultimo sondaggio della CNN dà sostanziale parità (47 a 47). Secondo l’aggregatore di sondaggi 538, il 26 ottobre Kamala Harris era in vantaggio su Donald Trump di 1,4 punti percentuali. Nei sette Stati che determineranno i voti del Collegio Elettorale, i sondaggi mostrano che la corsa presidenziale è in parità o con solo uno o due punti di vantaggio per uno dei due candidati. I democratici ritengono che Kamala Harris sia in vantaggio nei pochi Stati di cui ha bisogno per ottenere i 270 voti del Collegio elettorale: Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e il singolo distretto del Nebraska (2).
La maggior parte delle persone che non sostengono Trump continuano a chiedersi come sia possibile che la competizione sia così tirata. Dopo tutto, Trump è stato un pessimo presidente che ha cercato di ribaltare il risultato delle ultime elezioni. È un criminale condannato, uno stupratore condannato, un truffatore, un bigotto e un razzista. Decine di persone che hanno lavorato nell’amministrazione di Donald Trump lo hanno definito una minaccia e hanno deciso di appoggiare Kamala Harris. L’ex capo dello staff di Trump, John Kelly, un ex generale conservatore, ha definito Trump “fascista” (3) e ha riferito di conversazioni in cui Trump ha espresso ammirazione per Adolf Hitler. Il compagno di corsa di Trump, J.D. Vance, se possibile è peggio di Trump.
Per capire come siamo arrivati a questo punto, dobbiamo fare un passo indietro e guardare al contesto nazionale, internazionale e storico in cui si inseriscono queste imminenti elezioni. Ci sono ragioni sia cicliche che strutturali che spiegano la persistenza di Trump.
In primo luogo, il clima economico. A detta di tutti, l’economia statunitense ha registrato la ripresa più forte di tutti i suoi concorrenti dopo la pandemia di Covid. Tuttavia, ha ancora sofferto di un’impennata inflazionistica senza precedenti negli ultimi 40 anni. Sebbene il tasso di inflazione si sia avvicinato alle medie storiche, i prezzi rimangono più alti di quanto non fossero prima della pandemia. Ciò significa che per la maggior parte del mandato di Joe Biden, i salariati hanno visto diminuire il loro tenore di vita. Tuttavia, l’amministrazione Biden ha posto fine al welfare dell’era Covid (4).
Se guardiamo al mondo e alle elezioni dello scorso anno, la maggior parte dei governi uscenti dell’era Covid è stata sconfitta dalle forze di opposizione: Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Argentina, Olanda e Italia, solo per citarne alcuni. In Canada i sondaggi prevedono attualmente una cocente sconfitta per il primo ministro Justin Trudeau [il leader dei conservatori cattolici Pierre Poilievre, ammiratore di Margaret Thatcher, è in vantaggio su Trudeau nei sondaggi N.d.T.].
Trump sta quindi beneficiando di un sentimento antigovernativo del tipo “cacciamo i colpevoli”. Da questo punto di vista, la forza dell’economia statunitense e l’indecenza del MAGA (“Make America Great Again”, lo slogan di Trump) potrebbero essere gli unici elementi che tengono Harris in corsa.
Il punto “strutturale” è che esiste un ampio blocco di conservatori che rappresenta circa il 46-47% dell’elettorato e che sostiene Trump a prescindere da tutto. La metà di queste persone sono conservatori religiosi cristiani. È lì che si riunisce la maggior parte delle persone che sostengono le politiche conservatrici, che si oppongono ai cambiamenti sociali e così via. Le politiche di Trump potrebbero essere descritte come “restaurazioniste”, come se si trattasse di riportare gli Stati Uniti agli anni ’50 – o comunque agli idealizzati anni pre-Covid di Trump.
Una seconda caratteristica strutturale che mantiene Trump competitivo è il Collegio Elettorale, una reliquia costituzionale del 1700 progettata per preservare il sostegno degli Stati meridionali schiavisti agli albori della Repubblica. I voti per l’elezione del presidente sono espressi Stato per Stato, e questi voti sono assegnati in modo sproporzionato a vantaggio degli Stati conservatori e rurali.
Sebbene i democratici abbiano ottenuto più voti dei repubblicani in sette delle ultime otto elezioni presidenziali nazionali, i repubblicani (compreso Trump nel 2016) hanno “vinto” due volte la presidenza pur perdendo il voto popolare durante questo stesso periodo. Per questo motivo l’intera campagna presidenziale è incentrata sulla vittoria in sette “swing States”, i cui elettorati sono nettamente divisi tra i due partiti. E’ ipotizzabile che Trump vinca il voto popolare, ma la maggior parte degli osservatori presume che sarà Harris a vincere il voto popolare nazionale. Ma Trump potrebbe ancora diventare presidente conquistando un numero di voti sufficiente negli stati in bilico per prevalere nel Collegio Elettorale.
Tutto questo significa che Trump vincerà in modo assoluto? Non c’è modo di saperlo. Ma quello che possiamo supporre è che, a meno che (o anche se) Harris non vinca in modo decisivo, Trump dichiarerà la vittoria e affermerà che le elezioni gli sono state “rubate”. Trump e il suo partito hanno gettato le basi per una serie di sfide sui voti statali, sulla certificazione elettorale e su altre sfide legali che potrebbero spingere la Corte Suprema, favorevole a Trump, a pronunciarsi a suo favore.
A differenza del 2020, quando Donald Trump si affidò a un gruppo di avvocati del tipo “Guerre Stellari” (5) per gestire la sua campagna e i principali repubblicani si rifiutarono di credere alla sua menzogna sulle “elezioni rubate”, il Partito Repubblicano è ora più fermamente schierato con la strategia di Trump.
Inoltre, come ha sottolineato l’esperto legale pro-democratico Neil Katyal, per avere successo nel 2020, Trump avrebbe dovuto invertire il risultato elettorale in molti Stati. Se le elezioni sono così tirate come sembra oggi, il risultato finale potrebbe essere deciso dal voto in uno o due Stati. La strategia di Trump avrebbe allora maggiori probabilità di successo di quante ne avesse 4 anni fa.
Ai Democratici non mancano le risorse. Kamala Harris ha raccolto ben un miliardo di dollari negli ultimi tre mesi. Gli spot pubblicitari dei Democratici dominano l’etere e hanno un enorme vantaggio organizzativo, che comprende personale pagato e volontari negli swing States. I democratici si dichiarano più “entusiasti” di votare rispetto ai repubblicani (si veda il sondaggio Gallup del 29 agosto). La questione più importante per i Democratici, il diritto all’aborto, sarà tema in votazione in referendum organizzati in dieci Stati e che si svolgeranno lo stesso giorno delle elezioni presidenziali, compresi due Stati in bilico, l’Arizona e il Nevada. Questi referendum potrebbero portare alle urne un elettorato più favorevole a Harris. La domanda chiave è: possono tutti questi fattori superare le condizioni economiche e strutturali favorevoli a Trump?
La campagna di Kamala Harris sembra aggressiva, con un blitz mediatico, numerosi comizi e prese in giro di Trump. Le apparizioni di Trump rivelano la sua incoerenza e il suo malcostume. La campagna di Harris sembra anche credere – e probabilmente ha informazioni a sostegno di questa tesi – che una parte consistente dei repubblicani si schiererà a suo favore. Ecco perché la campagna della Harris ha enfatizzato il sostegno e le dichiarazioni dei generali dell’era Trump e ha fatto campagna con personaggi come l’ex deputata repubblicana Liz Cheney.
Secondo alcune stime, Joe Biden aveva conquistato quasi un quinto del piccolo numero di repubblicani che si definivano “liberali” o “moderati” nel 2020. Ma nel complesso, Biden ha ottenuto il sostegno di appena il 5% dei repubblicani, rispetto al 4% che aveva votato per Hillary Clinton nel novembre 2016. Forse Kamala Harris otterrà più sostegno repubblicano di Joe Biden, ma non sarà un numero enorme di voti.
E quale messaggio invia la campagna di Kamala Harris verso i repubblicani ai sostenitori democratici di base? Kamala Harris e il suo team hanno rifiutato la concessione simbolica di permettere a un funzionario eletto americano di origine palestinese di sostenerla dal podio della Convenzione nazionale democratica di Chicago in agosto.
Oggi celebra, in un’intervista con la figlia Liz, l’ex vicepresidente Dick Cheney, che milioni di persone considerano un criminale di guerra per il suo ruolo nell’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003. Il fatto che Kamala Harris accolga repubblicani conservatori e antiabortisti nella “grande casa” democratica dimostra cosa sia realmente il Partito Democratico: un partito di centro-destra che difende lo status quo capitalista.
In un’elezione così ravvicinata, che si riduce a poche decine di migliaia di voti in Stati chiave, potrebbero esserci centinaia di motivi per cui un candidato vincerà e l’altro perderà. Il movimento filo-palestinese degli “Uncommitted” ha dichiarato di non poter sostenere Harris, ma di non volere la vittoria di Trump. Questo può essere interpretato come un’indulgenza per dire che le persone che hanno votato Uncommitted contro Biden possono ancora votare per Harris.
Ma se non lo faranno, o se voteranno per Jill Stein del Partito Verde, o se non parteciperanno alle elezioni, o si asterranno sul voto presidenziale sulla loro scheda elettorale, tutto ciò potrebbe costare il Michigan a Kamala Harris? Se così fosse, la colpa sarebbe solo dei Democratici.
Qualunque sia l’esito delle elezioni, il loro significato politico sarà contestato. Se Kamala Harris vincerà, i suoi sostenitori la vedranno come una conferma dell’apertura ai Repubblicani e della difesa dell’esercito e di una politica di immigrazione “hard border”. Se Harris perderà, senza dubbio i democratici “centristi” diranno che non si è spinta abbastanza a destra. E i socialdemocratici progressisti, come il senatore Bernie Sanders e la deputata Alexandria Ocasio-Cortez, molto probabilmente diranno che non si è spinta abbastanza a favore delle classi lavoratrici. Per il momento, entrambi gli schieramenti mantengono un basso profilo… e coprono Harris. E se Harris perderà, la maggior parte dei suoi sostenitori si dispererà per lo stato del paese e si chiederà se hanno perso del tutto il contatto con esso.
I Democratici sono ottimisti per quello che vedono “sul terreno”. Finora, il voto anticipato per posta e le nuove registrazioni sembrano funzionare a loro favore. Saranno loro a supervisionare la macchina elettorale a livello statale [ci sono elezioni simultanee nelle contee, nelle città…N.d.T.] nella maggior parte degli stati chiave. A pochi giorni dal voto, è ancora troppo presto per dire quali saranno i risultati.
Lo stato attuale delle elezioni dovrebbe almeno evidenziare l’assurdità del sistema, il suo totale dominio da parte del denaro e dei ricchi, e il fatto che nessuno dei candidati sta affrontando i problemi fondamentali che l’umanità si trova ad affrontare oggi: la crisi climatica, l’insicurezza socio-economica e la cosiddetta crisi migratoria.
*editorialista di SocialistWorker.org. La traduzione in italiano è stata condotta dalla versione in francese apparsa su alencontre.org a cui si devono anche le note.
[1] In un articolo di Nate Cohn sul New York Times del 1°novembre dedicato alla credibilità dei sondaggi nell’attuale battaglia presidenziale, l’autore esordisce così: “I sondaggi hanno sottovalutato Donald J. Trump nel 2016. Lo hanno sottovalutato di nuovo nel 2020. Possiamo quindi fidarci dei sondaggi questa volta? Mi viene posta spesso questa domanda, e se devo dare una sola risposta rapida, è semplice: no. No, non ci si può fidare dei sondaggi, almeno non se si intende la “fiducia” nel senso in cui la intendo io. Non si può dare per scontato che il candidato in testa ai sondaggi vincerà. Non sono misure esatte, e le elezioni sono ormai così vicine che anche un sondaggio eccellente può far sentire qualcuno imbrogliato la sera delle elezioni”.
L’autore indica due possibilità: quella “ottimista” e quella “pessimista” e conclude: “Non sapremo se l’ipotesi ottimista o quella pessimista sono giuste finché i sondaggi non chiuderanno e i risultati non inizieranno ad arrivare”.
[2] Si veda l’articolo di Anthony Lacoudre sul sistema elettorale e sulla situazione specifica del Nebraska, pubblicato sul sito Actu-Juridique.fr.
[3] Si veda il dossier su Trump e il trumpismo pubblicato sul sito alencontre.org il 30 ottobre.
[4] Nel marzo 2020, l’amministrazione Trump, nell’ambito di una decisione del Congresso (Cares Act: Coronavirus, Aid, Relief and Economic Security), ha inviato assegni per un massimo di 1.200 dollari per ogni adulto o individuo che ha ricevuto meno di 99.000 dollari nell’anno precedente. A questa somma vanno aggiunti 600 dollari per ogni bambino di età inferiore ai 17 anni.
[5] Nell’agosto 2019, Trump ha dichiarato: “Questo è un momento storico, un giorno storico, in cui si riconosce che lo spazio è centrale per la sicurezza nazionale e la difesa dell’America”. Il comando militare istituito, denominato Spacecom, “garantirà che il dominio dell’America nello spazio non sia mai sfidato o minacciato, perché sappiamo che il modo migliore per prevenire i conflitti è prepararsi alla vittoria”. Diversi analisti sottolineano che uno dei legami tra Trump ed Elon Musk si sta forgiando su questo progetto, che corrisponde ai crediti che il boss di SpaceX potrebbe ottenere.