Dalla disoccupazione giovanile alla crisi immobiliare: il collasso di un sistema economico rivela le fragilità del regime
La narrazione della “ascesa inarrestabile” della Cina, pilastro della propaganda del Partito Comunista negli ultimi decenni, si sta sgretolando sotto il peso di una realtà sempre più difficile da nascondere. Il rallentamento economico sta facendo emergere le contraddizioni di un sistema che ha basato la propria sopravvivenza sullo sfruttamento intensivo della forza lavoro e sulla repressione del dissenso.
La spirale del declino
Il panorama economico cinese di fine 2024 dipinge un quadro desolante: fabbriche che chiudono, imprenditori che fuggono, lavoratori che tornano ai villaggi d’origine, e un’ondata crescente di disperazione che si manifesta persino in tragici gesti estremi. Le strade una volta brulicanti di attività sono ora desolatamente vuote, con interi edifici di uffici abbandonati e centri commerciali deserti.
“Se entri in un edificio per uffici oggi, trovi interi piani vuoti, senza più aziende”, racconta un membro della comunità imprenditoriale di Shanghai. Le statistiche confermano questa percezione: solo nel terzo trimestre del 2024, sono stati registrati 937 eventi di protesta, con un aumento del 27% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tre quarti di questi episodi riguardavano salari non pagati, progetti abitativi incompiuti ed espropri di terreni.
La frustrazione sociale sta assumendo forme sempre più preoccupanti. Una serie di attacchi mortali negli scorsi mesi – tra cui accoltellamenti e attacchi con veicoli contro la folla – ha allarmato funzionari e cittadini comuni, suggerendo un legame tra la stagnazione economica e l’aumento della violenza. In risposta, il Partito ha dispiegato truppe paramilitari per proteggere le scuole in diverse città, mentre a Foshan, nel sud del paese, numerosi istituti scolastici hanno installato barriere di cemento e metallo per prevenire attacchi con veicoli.
La fuga degli imprenditori
Uno dei fenomeni allarmanti è quello che viene ormai chiamato “l’esodo dei boss”. Come spiega un residente di Hong Kong: “Ogni anno ci sono padroni di aziende che scappano, ma di solito aspettano la fine dell’anno. Quest’anno è stato il peggiore: l’esodo è iniziato prima e i numeri stanno raggiungendo livelli record in vari settori, sia grandi che piccoli.”
Le conseguenze di questa fuga sono devastanti per i lavoratori. A Guangzhou, il settore dell’abbigliamento ha visto la chiusura di numerose fabbriche, con metà della forza lavoro costretta a tornare nei luoghi d’origine. Lo stesso sta accadendo a Wuhan. Un operaio locale descrive la situazione come “un inferno vivente”.
# La cultura del “996” e la crisi del lavoro
La crisi ha evidenziato le profonde contraddizioni del modello di sviluppo cinese, in particolare nel settore tecnologico e manifatturiero. La cultura del lavoro “996” – lavorare dalle 9 del mattino alle 9 di sera, sei giorni alla settimana – è diventata il simbolo di un sistema sempre più insostenibile.
Il caso di Zhang Jun, un tecnico specializzato in una fabbrica del settore automobilistico, è emblematico. Con uno stipendio base di appena 2.000 yuan (circa 278 dollari), Zhang è costretto a fare straordinari estenuanti per arrivare a uno stipendio vivibile di 6.000 yuan (833 dollari). “Il 70% del mio reddito viene dagli straordinari”, spiega. “Con un salario base così basso, non abbiamo scelta se non accettare orari di lavoro estremamente lunghi.”
Ma ora anche questo precario equilibrio sta vacillando. Paradossalmente, i lavoratori non temono tanto il sovraccarico di lavoro quanto la sua mancanza. “Se l’azienda limita gli straordinari”, spiega un operaio di BYD a Wuxi, “il nostro reddito crolla a circa 4.000 yuan (556 dollari) al mese, una cifra con cui è impossibile sopravvivere in una città come questa.”
Il collasso del settore immobiliare
La crisi del settore immobiliare, un tempo motore della crescita cinese, ha innescato un effetto domino sull’intera economia. Secondo dati recenti, il mercato immobiliare cinese ha visto una contrazione senza precedenti, che ha colpito non solo le grandi aziende di costruzioni ma tutto l’indotto, dai fornitori di materiali agli studi di design.

“Il nostro studio di interior design è praticamente fermo”, racconta Wen Ting, una giovane laureata. “Quando ho fatto un colloquio a Guangzhou, offrivano uno stipendio base di 1.200 yuan (167 dollari), una cifra che non copre nemmeno l’affitto. E anche aggiungendo le commissioni, era impossibile arrivare a 2.500 yuan (347 dollari).”
La generazione dei “figli a tempo pieno”
Di fronte a questo scenario economico sempre più cupo, un nuovo fenomeno sociale sta emergendo in Cina: i “quanzhizi” (全职子女), letteralmente “figli e figlie a tempo pieno”. Alla fine del 2022, è stato creato su Douban un gruppo chiamato “Centro di scambio del lavoro per figli a tempo pieno”, che ha rapidamente raggiunto oltre 4.900 membri. È la risposta di una generazione che, trovandosi di fronte a un mercato del lavoro ostile, sceglie di tornare a vivere con i genitori, scambiando lavoro domestico e compagnia per il sostentamento economico.
La storia di Sarah, 28 anni, laureata in inglese, illustra le complessità di questa scelta. Dopo la laurea magistrale, ha tentato di diventare insegnante in una scuola pubblica. “Nel 2021, il governo ha imposto un giro di vite al settore dell’istruzione privata. Con l’epidemia e la crisi economica, i datori di lavoro hanno iniziato a ridurre i costi e ad aumentare l’efficienza, mentre il numero di laureati continua a crescere”, spiega. “Vedo la svalutazione dei titoli di studio e una competizione estremamente feroce. In inglese, mezzo punto in meno può significare una differenza enorme nella graduatoria.”
Linzi, un’altra “figlia a tempo pieno” che vive a Hangzhou con la madre, rappresenta un caso diverso. Laureata in broadcasting quattro anni fa, ha scelto deliberatamente di non cercare lavoro. “Ho visto che i miei amici non erano più liberi e felici dopo aver iniziato a lavorare”, racconta. “Ho preferito studiare, giocare e stare con mia madre a casa.” Il suo mantenimento viene dalle attività commerciali della madre, che in passato gestiva un negozio di fiori.
Ma la vita dei “figli a tempo pieno” non è sempre così idilliaca come potrebbe sembrare. Wen Ting, che ha vissuto questa esperienza per oltre sei mesi, racconta di aver evitato di uscire per non dover affrontare le domande di parenti e vicini sul suo status lavorativo. “Mi sentivo profondamente in imbarazzo”, confessa.
La risposta del governo: tra negazione e adattamento
Di fronte a questo fenomeno, la reazione delle autorità cinesi è stata ambivalente. A luglio 2023, dopo sei mesi consecutivi di aumento della disoccupazione giovanile, il governo ha smesso di pubblicare i dati relativi, per riprenderli solo nel gennaio 2024 con una metodologia modificata che esclude gli studenti dal conteggio.
Ma i numeri reali potrebbero essere ben più allarmanti di quelli ufficiali. La professoressa Zhang Dandan dell’Istituto di Sviluppo Internazionale dell’Università di Pechino stima che il tasso di disoccupazione giovanile dovrebbe includere i 16 milioni di giovani che sono diventati “figli a tempo pieno” o dipendono dai genitori. Secondo questi calcoli, il tasso reale potrebbe raggiungere il 46,5%, molto più alto delle cifre ufficiali.

La censura si è intensificata anche nel settore dell’analisi economica. Di recente, i censori di internet hanno eliminato i discorsi di due economisti cinesi dopo che erano diventati virali. Uno di loro, Gao Shanwen, economista capo presso SDIC Securities, aveva descritto un fenomeno che definiva come ‘anziani vivaci, giovani senza vita e persone di mezza età senza speranza’, evidenziando come le province con popolazioni più giovani mostrassero una crescita dei consumi più debole rispetto alle regioni con residenti più anziani.
In risposta, il governo ha sviluppato strategie alternative, come il “premio alla lumaca” – un sistema che premia i progressi graduali e costanti invece dei risultati immediati. Come spiega un articolo di Xinhua del giugno 2023, questo approccio “riflette il cambiamento nelle aspettative di carriera dei giovani, che non sono più focalizzati solo sul reddito, ma cercano anche realizzazione personale nel lavoro.”
Adattarsi per sopravvivere
Nel frattempo, i giovani stanno sviluppando strategie di adattamento sempre più varie. Wen Ting, per esempio, ha finalmente trovato lavoro a Hangzhou, ma in un ruolo completamente diverso da quello per cui ha studiato. “Invece di fare la designer d’interni, gestisco account sui social media”, racconta. “Il lavoro è ‘nove-sei’ [dalle 9 alle 18], ma spesso diventa ‘nove-otto’. All’inizio non riuscivo ad accettare di avere un solo giorno libero a settimana, ora mi ritrovo a fare straordinari volontari. Mi sono ‘schiavizzata’, come diciamo noi.”
Con uno stipendio che le permette a malapena di coprire le spese base, Wen Ting riceve ancora supporto dai genitori, che le inviano regolarmente medicine tradizionali e integratori, preoccupati per la sua salute. “Ogni volta che prendo questi rimedi, penso: non solo non guadagno abbastanza, ma devo anche prendere integratori per sostenere il ritmo di lavoro per cui vengo sottopagata.”
La fine del “miracolo cinese”?
Ciò che emerge da queste storie è il quadro di una profonda trasformazione sociale. I risparmi accumulati dalla generazione dei genitori durante il boom economico – che nel 2013 avevano reso la Cina il paese con il più alto tasso di risparmio al mondo – stanno fungendo da ammortizzatore sociale per una generazione di giovani che si trova ad affrontare prospettive economiche radicalmente diverse.
Un recente sondaggio tra giovani tra i 20 e i 30 anni nelle città di primo e secondo livello rivela che oltre il 70% ha risparmi inferiori a 100.000 yuan (13.889 dollari). In un altro sondaggio, solo il 39% dei cinesi considera la propria situazione finanziaria migliore rispetto a cinque anni fa, un crollo rispetto al 77% del 2014.
“Il mondo è cambiato”, dice Wen Ting, rispondendo a chi la accusa di avere aspettative troppo alte. “Forse quando loro si sono laureati non era così terribile trovare lavoro, ma ora è davvero difficile. L’intero sistema è diverso.”
La piattaforma China Dissent Monitor, gestita dal gruppo Freedom House con sede a Washington, ha monitorato oltre 7.000 casi di disordini pubblici in Cina negli ultimi due anni e mezzo. Di questi, più del 46% erano legati a proteste dei lavoratori e oltre un quarto coinvolgeva proprietari di immobili. Nell’ottobre 2024, la piattaforma ha registrato 435 proteste, il numero mensile più alto da quando ha iniziato a tracciare questi dati, con un significativo aumento delle proteste legate al settore immobiliare.
Verso un nuovo modello di sviluppo?
La crisi attuale va oltre le pure statistiche economiche. Sta mettendo in discussione il modello di sviluppo che ha caratterizzato la Cina degli ultimi quarant’anni. Come si chiedeva la BBC l’anno scorso, il fenomeno dei “figli a tempo pieno” rappresenta “una ridefinizione delle aspettative sociali” o semplicemente “un’auto-narcosi” di fronte a una realtà troppo dura da affrontare?
La risposta probabilmente sta nel mezzo. Da un lato, questo fenomeno riflette una crisi economica profonda e la non sostenibilità di un modello di sviluppo basato su manodopera a basso costo e straordinari estenuanti. Dall’altro, rappresenta forse l’emergere di nuovi valori e aspirazioni tra i giovani cinesi, che cercano un equilibrio diverso tra lavoro e vita personale.
Ma per molti, come Wen Ting, che ora lavora in una città lontana da casa guadagnando appena abbastanza per sopravvivere, o Sarah, che ha finalmente ottenuto il posto da insegnante dopo innumerevoli tentativi, la questione non è filosofica ma pratica. Come dice Wen Ting: “Non è che non vogliamo ‘toglierci la veste di Kong Yiji’ [riferimento letterario che indica l’abbandono di aspirazioni irrealistiche], è che anche lavare i piatti per un po’ non risolve il problema. Come spiegheremo questi anni di vuoto nel curriculum?”
La repressione del dissenso e la censura delle voci critiche sull’economia non possono più nascondere una realtà sempre più evidente: il modello di sviluppo cinese sta evidenziando profonde crepe conseguenti al peso delle proprie contraddizioni. Come ha osservato un commentatore cinese prima che la censura lo silenziasse: “I giovani stanno risparmiando su vestiti e cibo, spengono le luci e mangiano noodles liofilizzati”. È l’immagine di un paese molto diverso da quello raccontato dalla propaganda ufficiale.
(fonti utilizzate: China Digital Times, RFI, VOA Chinese, Shenzhen Micro Time, Labor Info, BBC Chinese, Xinhua – nello specifico, le testimonianze di lavoratori e giovani sono state pubblicate da Shenzhen Micro e Labor Info, due testate online particolarmente attente agli aspetti sociali e del lavoro)
*articolo apparso su https://www.facebook.com/andrea.ferrario.125?locale=it_IT il 19 dicembre 2024.