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Trump è un fascista e tra i suoi collaboratori ci sono chiaramente molti fascisti. Oltre a Elon Musk e al suo saluto nazista, ci sono, tra gli altri, i preoccupanti pedigree di individui come Steve Bannon, Stephen Miller e Laura Loomer. La situazione è estremamente grave e non deve essere banalizzata. Tuttavia, gli Stati Uniti non sono ancora un paese fascista. C’è il rischio che lo diventino, ed è una sfumatura importante. Trump agirà per garantire che questo passaggio avvenga (il che non significa una ripetizione del fascismo storico), ma la strada da percorrere è ancora lunga.

Il fascismo come rottura

Il fascismo è caratterizzato dalla distruzione dei diritti democratici e dalla frammentazione sociale. Ciò implica la distruzione dei movimenti sociali, in particolare dei sindacati, la trasformazione del sistema giudiziario in uno strumento al servizio della tirannia di un Capo e l’abolizione di ogni forma di libertà di stampa e di espressione in generale, nonché del diritto di sciopero. Non siamo ancora a questo punto.
Dobbiamo evitare ragionamenti semplicistici, che portano a false conclusioni. Ad esempio: la democrazia borghese è una falsa democrazia, che nasconde la dittatura del capitale. Questo è vero, ma non ne consegue che il capitalismo produca inevitabilmente il fascismo. Né ne consegue che un candidato dispotico come Trump possa facilmente condurre gli Stati Uniti dalla democrazia borghese al fascismo. Questa transizione è un salto qualitativo e richiede una rottura brutale.
La caratteristica principale del fascismo nella sua lotta per il potere (che lo distingue da un “semplice” colpo di Stato militare) è che compie questa rottura facendo affidamento su un movimento di massa extraparlamentare della piccola borghesia e del sottoproletariato, con l’aiuto di truppe d’assalto terroristiche, mobilitate con menzogne, odio e demagogia nazionalista pseudosocialista.
È ovvio che tutti questi elementi sono presenti in qualche misura nel trumpismo: il MAGA come movimento di massa, la demagogia sociale, le bugie sistematiche, l’odio, i Prou boys e gli Oath keepers come bande violente. Quindi il pericolo fascista è molto, molto reale e dobbiamo sottolineare questo aspetto. Ma dobbiamo anche insistere sul fatto che la rottura non è avvenuta. Potrebbe accadere, ma non ci siamo ancora arrivati.

I punti di forza e di debolezza di Trump

E questa rottura non avverrà così facilmente. Lo vediamo nella marea di reazioni indignate provocate dalla grazia generale che Trump ha concesso ai rivoltosi coinvolti nel violento attacco al Campidoglio del gennaio 2021. Ciò è particolarmente evidente nelle reazioni virulente dei giudici che hanno denunciato la grazia e negato categoricamente che i beneficiari siano protetti da qualsiasi eventuale ripresa delle denunce.
Trump è in piena forma, ma è più debole di quanto sembri. Ha dovuto rinunciare alla scandalosa nomina di Matt Gaez a procuratore generale. Solo un americano su 10 appoggia la sua scelta di nominare Pete Hegseth come Segretario alla Difesa (tre su 10 sono contrari, e Hegseth è stato quasi bocciato al Senato). Il MAGA è un movimento di massa, ma non (ancora?) un partito di combattimento disciplinato, paragonabile a quelli di Hitler o Mussolini.
Trump ha ovviamente dei vantaggi: la Corte Suprema, dominata dai suoi sostenitori, gli ha garantito l’immunità, il Partito Repubblicano è sotto il suo controllo e i movimenti sociali (che hanno manifestato in massa contro la sua nomina nel 2016-2017) questa volta sembrano storditi, spaventati dalla portata della sua vittoria. Trump sta sfruttando questa situazione per dare l’impressione di una marcia trionfale che niente e nessuno potrà fermare. In realtà, deve affrontare notevoli ostacoli. Uno di questi è la contraddizione tra le promesse populiste fatte alla base MAGA, da un lato, e, dall’altro, la realtà politica di un governo di cleptocrati e miliardari che se ne fregano di quelle promesse.
Questa contraddizione tra populisti e miliardari è tipica del fascismo. Era presente anche nel partito nazista. Hitler la “risolse” uccidendo circa duecento capi dell’ala fascista-populista, i capi delle SA (nella “Notte dei lunghi coltelli”, giugno 1934). Ma a quel punto la sua dittatura era già consolidata da oltre un anno. Quella di Trump non lo è. Il divario tra il MAGA e i miliardari ha cominciato ad aprirsi già prima dell’inaugurazione, quando Bannon e Musk si sono scontrati violentemente sulla questione dei migranti. Lo storico Timothy Snyder prevede che queste tensioni si aggraveranno. E probabilmente ha ragione. Ecco un piccolo esempio: un sindacato di polizia che aveva chiesto di votare “legge e ordine” sta rompendo con Trump dopo la liberazione dei rivoltosi che hanno calpestato “legge e ordine” attaccando il Campidoglio…

Strategia d’urto

La democrazia borghese americana è profondamente corrotta dal denaro, ma è solidamente radicata in una vasta rete di istituzioni e di pesi e contrappesi legati ai principi costituzionali. In questo contesto, ci vorrebbe un grande shock per rompere in modo decisivo con il fascismo. Hitler ha stabilito il suo potere assoluto usando come pretesto l’incendio del Reichstag (27/2/33), appena un mese dopo la sua nomina a Cancelliere. Trump sta senza dubbio cercando qualcosa di simile dichiarando lo stato di emergenza contro “l’invasione” al confine, o minacciando Panama. Ma la sua base MAGA ha votato per lui soprattutto nella speranza che abbassasse i prezzi dei beni di consumo quotidiano. La caccia ai migranti (di cui l’economia statunitense non può fare a meno nell’agricoltura, nell’edilizia e nell’industria della ristorazione) non servirà a nulla, così come i dazi – anzi!
La difficoltà di Trump sta nel muoversi rapidamente verso la dittatura, prima che i suoi elettori si rendano conto dell’inganno, che il bluff della sua “strategia d’urto” si sgonfi e che i movimenti sociali si sveglino. La loro passività è infatti la sua più grande risorsa. L’assenza di lotte di massa incoraggia le grandi imprese a “osare il fascismo” alla maniera di Trump. Senza questa passività, la spregevole vigliaccheria degli eletti repubblicani che ingoiano senza battere ciglio l’indulto per i rivoltosi del gennaio 2021 – che ingoiano, di fatto, la narrazione che il tentato colpo di Stato non ha avuto luogo, e che ingoiano anche l’autorizzazione per gli sgherri fascisti a tirare fuori i pugni ogni volta che il Leader ne ha bisogno! – sarebbe politicamente insostenibile.


Si potrebbe obiettare che le grandi imprese statunitensi non hanno bisogno di bande fasciste. Musk & Co non sono minacciati dalle lotte sociali, il sindacalismo è debole e la democrazia borghese sembra il modo migliore per servire i loro interessi. Cosa vogliono allora questi potenti imprenditori? Il rilancio dei combustibili fossili, gli investimenti nell’intelligenza artificiale, una serie di deregolamentazioni… A priori, nulla di tutto ciò sembra richiedere un regime fascista… Allora perché il trumpismo, e in che misura, è una forma di fascismo? La domanda merita di essere posta. A mio avviso, il paradosso diventa più chiaro se consideriamo il contesto di catastrofe ecologica nel quale  l’imperialismo statunitense sta lottando per salvare la propria egemonia.

Egemonia ad ogni costo

È un dato di fatto: il capitalismo cinese è talmente dominante nel settore delle tecnologie “verdi” che i politici occidentali, se vogliono rispettare l’Accordo di Parigi, non hanno altra scelta che comprare cinese, rafforzando così Pechino a scapito dell’imperialismo statunitense. Questo è inaccettabile per la coppia Trump-Musk. La loro risposta: mantenere l’egemonia puntando molto sull’intelligenza artificiale. Ma questo richiede enormi risorse energetiche e il controllo imperialista su una serie di risorse minerarie. Ciò significa una massiccia dipendenza dai combustibili fossili e un ritorno alla politica delle cannoniere (Groenlandia, Panama, ecc.). Il che significa negazionismo climatico e bugie sistematiche. Il che significa disprezzo assoluto per le terribili minacce poste dalla catastrofe ecologica alla vita di centinaia di milioni di esseri umani che non ne sono responsabili. Quindi l’odio per chi resiste, l’esaltazione virilista della forza come mezzo per garantire agli Stati Uniti il loro “spazio vitale” (anche su Marte…) e la volontà di sottomettere l’Europa. Vi è una coerenza abbastanza chiara.

Il progetto Trump-Musk non è “isolazionista”. È un piano radicalmente e selvaggiamente imperialista per l’egemonia a tutti i costi. La sua applicazione coerente, in una prospettiva di lungo periodo, richiede un regime politico brutale e cinico, capace di assumere spietatamente una barbarie malthusiana senza precedenti nella storia. Qualcosa di simile a Netanyahu – di cui Trump è un sostenitore incondizionato – ma su scala globale. È una rottura con gli ideali di giustizia, democrazia e uguaglianza tra tutti gli esseri umani; con l’etica umanista, con la razionalità dell’Illuminismo e persino con i valori morali professati dalle religioni monoteiste. Lo spirito di questa rottura perseguita il trumpismo. Dobbiamo essere grati al vescovo di Washington, Marianne Budde, per averlo messo a nudo, a modo suo, nel suo appello pubblico a Trump.
Ci sono due rischi nel gridare troppo velocemente “il fascismo è al potere”: da un lato, il rischio che masse di persone si dicano che, tutto sommato, il “fascismo” non è poi così male come si afferma; dall’altro, il rischio che persone più consapevoli si dicano che tutto è sbagliato, o addirittura si nascondano per paura di essere prima o poi trascinate in un campo di concentramento. Questi due rischi fanno il gioco dei fascisti.

No pasaran!

Allo stesso tempo, la minaccia fascista è molto reale e il trumpismo la incarna e le dà un terribile impulso globale. I fascisti stanno facendo progressi ovunque. Ma non hanno vinto. Possono essere fermati. Non certo alleandosi con la cosiddetta destra “democratica” stile Liz Cheney, ma con una mobilitazione di massa. Per i diritti democratici, i diritti sociali, contro le menzogne e le disuguaglianze, contro il razzismo, contro il sostegno ai genocidi, per i diritti delle donne e delle persone LGBT. Senza dimenticare la madre di tutte le battaglie: la lotta per salvare l’unico pianeta vivibile del sistema solare. Con la lotta contro i criminali capitalisti che sono pronti ad annientarlo per salvare i loro profitti e la loro egemonia.

Alziamo la testa, siamo capaci non solo di denunciare ma anche di analizzare. Indigniamoci, mobilitiamoci, organizziamoci. No pasaran!

*articolo apparso su Gauche anticapitaliste il 28 gennaio 2025.